Questo Paese di furbetti ne ha conosciuti tanti, di ogni peso e caratura. Ma adesso siamo indiscutibilmente al top. Abbiamo la furbetta di Palazzo Chigi, sullo scranno più alto. Si chiama Giorgia Meloni.
Lamenta sui social la “palese assurdità” della tesi che “due autorevoli ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte… rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida”. Ha ragione l’Anm quando afferma la ovvia distinzione tra responsabilità politica e responsabilità giuridica. E Meloni sa benissimo che affermare la prima a nulla vale quanto alla seconda. Laddove non lo avesse saputo, siamo ragionevolmente certi che qualcuno glielo ha detto.
Diverso sarebbe stato se la Meloni avesse dichiarato: “Il tal giorno alla tale ora ho ricevuto una telefonata da Tizio, o una mail da Caio, o un’informativa da Sempronio, sulla situazione Almasri, a seguito della quale ho dato istruzioni, nell’esercizio della funzione di direzione e coordinamento a me spettante ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione, di rilasciare Almasri disattendendo la richiesta del giudice internazionale, di metterlo su un aereo di Stato e di trasferirlo in Libia”. Questo avrebbe potuto configurare una responsabilità giuridica a suo carico.
Dobbiamo pensare che dalle carte disponibili per i magistrati non emergano certezze su una simile telefonata, mail, informativa, istruzione. Se esistono e non sono arrivate ai magistrati, qualcuno le ha coperte. Se è così, Meloni lo sa. Trovi il modo di dirlo ai giudici nella sede appropriata. Invece, cosa fa? In sostanza, li accusa di non averle imputato che “non poteva non sapere” (un’eco di polemiche lontane in un contesto diverso). Come si sono permessi di dubitare della saldezza del suo controllo sulle redini del cavallo imbizzarrito di Palazzo Chigi?
Ma anche sotto il profilo della responsabilità politica i conti non tornano. Nella formula il termine chiave non è solo “politica”, ma soprattutto “responsabilità”. Sta a significare che si fa valere in luoghi in cui almeno in principio è possibile una sanzione. Nel nostro ordinamento il luogo per la responsabilità politica del governo è uno solo: il parlamento. Sappiamo bene che a Meloni il parlamento non piace, come non gradisce le conferenze stampa con domande scomode. Preferisce parlare al popolo sovrano attraverso i social. Ma quando si discute di regole formali, non si può far conto sui follower. Certo, i numeri parlamentari li conosciamo, e l’esito di un confronto sarebbe scontato. Ma presentarsi nella sede appropriata e affrontare il dibattito sarebbe un atto di rispetto non tanto per l’aula, quanto per il Paese. Dicendo, ovviamente, la verità.
Apprendiamo che per solidarietà si siederà in aula al fianco di chi è rimasto all’attenzione dei magistrati. Un inutile show. È una teatralità che in nulla aiuta gli sventurati di governo. Ci fa solo capire che Meloni continua – forse perché costretta – a sostenere in specie Nordio. Di gran lunga il peggiore ministro della Giustizia della storia repubblicana, che non perde mai l’occasione di tacere.
Meloni ha conquistato la copertina di Time, e certo è stato un successo mediatico notevole, ampiamente festeggiato dalla destra. Ma bisogna andare oltre la foto e arrivare al testo. C’è una frase che vogliamo notare. Descrive Meloni come portatrice di un’agenda al passo con l’ascesa globale di leader autocratici: “consolidare il potere esecutivo, attaccare i media, controllare la magistratura, mettere nel mirino gli immigranti irregolari, limitare alcune forme di protesta”. È importante che la rivista, certo non sospetta di sinistrismo, colga sia che il controllo dei magistrati è tra gli obiettivi dell’esecutivo, sia che quel controllo s’iscrive in un complessivo scivolamento verso forme autocratiche di gestione dei poteri di governo.
Vedremo quale seguito giudiziario avrà la vicenda Almasri. Ma è certo che siamo a una scena – e nemmeno la prima – del copione referendario sulla riforma della giustizia. Meloni colleziona sul piano internazionale certificazioni di inutilità, di assenza o ritardo, come accade per il genocidio di Gaza o la guerra in Ucraina, o – su un piano diverso – per i dazi trumpiani. Quindi la strategia dei prossimi mesi sarà inevitabilmente quella di trovare ogni occasione di distrazione di massa.
Il tema delle riforme si presta allo scopo. Lo stesso può dirsi della fase elettorale che si avvicina, come dimostra la mancetta di aggiungere alla Zes unica le Marche e l’Umbria. Benvenute al Sud. Spetterà alle opposizioni costruire un progetto politico alternativo degno del nome, e rivitalizzare in tutti i modi possibili una oggi esangue partecipazione democratica.