Quanti sono gli ambientalisti in Italia? Nessuno lo sa,anche perché oltre alle associazioni storiche, come Italia Nostra e Fai, c'è il vasto arcipelago dei gruppi locali che difendono un paesaggio,un monumento,una valle, un centro storico, un'area archeologica. Secondo valutazioni approssimative, non meno di diecimila sono i comitati civici di tal tipo, e solo qualcuno fra chi vi appartiene è anche socio dei più noti sodalizi nazionali.I gruppi locali, ciascuno con decine o centinaia di membri,affrontano problemi che conoscono direttamente, e perciò lavorano con passione,e talvolta con successo,ma non fanno rete fra loro.Eppure i loro temi sono legati da strette affinità: se da difendere è un edificio storico,poco cambia che sia in Sardegna o nel Veneto, anche perché le leggi e l'articolo 9 della Costituzione, supremo presidio delle battaglie per la tutela,sono le stesse.
Perciò va salutata come un'importante novità la convergenza che si è creata fra «Tre città in difesa del bene comune»:Milano,Parma e Roma.Il terreno d'incontro è uno stesso problema, il pretestuoso rifacimento degli stadi come foglia di fico per sfrontate speculazioni edilizie. Uguale è la cornice di queste imminenti devastazioni urbane,l'infelice «Legge Stadi» del 2013 con le modifiche da allora intervenute, fino al decreto legislativo 30/2021.Identica l'arma che i tre comitati civici impugnano per vincere la battaglia:la Costituzione.
Di qui il loro slogan: «Scegliamo la Costituzione, non la speculazione: aboliamola Legge Stadi».In un intenso incontro online (fra gli intervenuti Veronica Dini, Paolo
Berdini, Paolo Pileri, Gianni Barbacetto) sono emerse le criticità di questi progetti.
A Milano, San Siro dovrebbe essere abbattuto e ricostruito (con 15.000 posti in meno) sull'adiacente Parco dei capitani,distruggendone per sempre il verde pubblico; mentre in luogo dell'attuale stadio sorgerebbero un centro commerciale,edifici residenziali ed altro: il tutto in concessione per 90 anni a imprese private in barba ai finanziamenti pubblici previsti.
Il comitato «Referendum per San Siro» chiede,al contrario,di salvaguardare lo stadio attuale e il verde pubblico,e di rigenerare il quartiere nel pubblico interesse anziché usare l'occasione per una speculazione privata. A Parma,dove l'attuale stadio (circa 1920-30) dialoga fittamente con tre quartieri residenziali, e soprattutto con il tessuto del prezioso, vicinissimo centro storico, anche attraverso un insieme di viali alberati,lo stadio verrebbe demolito per costruirne uno nuovo, aggiungendovi edifici commerciali, parcheggi e così via; anche qui, con una concessione di novant'anni,estranea alle consuetudini del nostro Paese; mentre il comitato
«Tardini sostenibile» dimostra che è ben possibile la conservazione dello stadio attuale, con alcune opere di aggiornamento.
A Roma, si vorrebbe demolire lo stadio di Pietralata, non lontano dalla stazione Tiburtina e dall'ospedale Pertini,e dunque in zona di altissima densità abitativa e con una mobilità sull'orlo del collasso. Al suo posto andrebbe non solo un nuovo stadio (60.000 posti, parcheggio solo per 3.000 auto), ma edifici commerciali e abitativi, una cementificazione di circa 80 ettari a spese di almeno 50 ettari di verde condannati a morte.
Come è mai possibile un tale assalto alle nostre città(e non solo alle tre che ho menzionato) a favore della speculazione edilizia? Ad autorizzarlo è la Legge Stadi,lanciata dal governo Berlusconi nel 2012(AC 2800),secondo cui era "urgente e indifferibile" costruire dappertutto nuovi stadi,favorendo la costruzione intorno ad essi di servizi alberghieri e residenziali. La manovra allora si arenò, ma venne ripresa dal governo Letta nella «legge di stabilità» 147/2013 (comma 304), che prescriveva finanziamenti pubblici e amplissime «semplificazioni» procedurali per la costruzione di nuovi stadi, purché risultasse di «pubblico interesse» e fosse finalizzata solo «alla sicurezza degli impianti e degli spettatori (...) con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale».
Questa pudica esclusione,ribadita anche nella legge 96/2017(governo Gentiloni),conviveva peraltro, nelle stesse leggi, con la concessione, al proponente del progetto, di realizzare anche «interventi relativi alraggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa». Sopravviveva dunque, anche in governi di altro orientamento politico, lo spirito dell'originaria proposta berlusconiana: costruite uno stadio, vidaremo lì accanto soldi e terreno per farci quel che volete.
Fu su questa base che la Società Eurnova propose di realizzare a Roma, accanto al nuovo stadio, un «Business Park», con tre grattacieli alti fino a 220 metri. Nell'intricata vicenda che ne seguì, dove il Comune si spinse fino a dichiarare il «pubblico interesse» dell'iniziativa (di qui le dimissioni di Berdini dalla giunta Raggi), spicca l'articolato parere pro veritate di Ferdinando Imposimato,secondo cui le costruzioni previste «non sono in alcun modo finalizzate allo stadio, ma hanno il solo scopo di procurare guadagni a vantaggio del proponente,secondo la strategia di insinuare l'edilizia residenziale speculativa, di volumetria esorbitante quella dell'impianto». Insomma,lo stadio e il «pubblico interesse» non sono se non un cavallo di Troia per contrabbandare e - scrive Imposimato - «mascherare un'operazione di mega speculazione edilizia».
Ma che vuol dire «pubblico interesse»? Nella Costituzione questa espressione,che ricorre all'articolo 82,è sinonimo di «interesse della collettività» (articolo 32),«interesse generale» (articoli 35,42,43 e 118),«utilità generale» (articolo 43). Formule non coincidenti ma convergenti nel definire un valore imprescindibile, che è il cuore stesso della Carta: il bene comune. Quale sia il «pubblico interesse» di concedere per 90 anni aree di proprietà pubblica e contributi finanziari a un proponente privato, è difficile capire. Né si vede il «pubblico interesse» di distruggere aree a verde pubblico aggravando il consumo di suolo, o di creare nuovi addensamentiin zone di delicata viabilità(a Roma,a ridosso di un ospedale!), alterandone gli equilibri abitativi e lo skyline. Dov'è mai,in tali progetti,la qualità della vita dei cittadini o l'interesse delle generazioni future?
Dov'è il rispetto della storia e dei paesaggi, prescritto dall'articolo 9 della Carta? E perché, per «semplificare» le procedure al punto di mortificare o annullare le competenze degli organi di tutela, si vuol togliere addirittura di mezzo un'istanza tecnica di valutazione dell'impatto sui paesaggi urbani? Perciò i tre Comitati civici hanno diramato un appello ai cittadini «affinché si informino e si mobilitino a tutela dei propri diritti» e ai politici perché con piena responsabilità rimettano al centro di questo conflitto di interessi non il profitto delle imprese ma la dignità e il bene dei cittadini.
Il segnale (gruppi di cittadini che ragionano insieme sull'interesse pubblico a Roma,a Parma,a Milano) è forte.
Se le numerose associazioni ambientalistiche che operano in Italia su base locale sapessero far rete fra loro (e con le associazioni nazionali), la forza complessiva d'impatto sarebbe tale che anche i più sordi fra i nostri politici sarebbero obbligati a prestarvi orecchio. Tenue speranza,forse: ma perché rinunciarvi senza nemmeno tentare?