I fatti della Romagna ci stanno insegnando a cambiare atteggiamento verso il governo del territorio? Hanno convinto tutti a fermare il consumo di suolo subito e a occuparsi solo di manutenzione del territorio, abbandonando per sempre opere folli come il ponte sullo Stretto che sarà un bagno di sangue e un debito enorme per sempre? Governatori e sindaci hanno preso d’assalto i telefoni per fermare nuove impermeabilizzazioni avendo capito che il consumo di suolo moltiplica gli impatti negativi delle tempeste tropicali alle quali l’Italia deve abituarsi? Non mi pare proprio, se non poche eccezioni. Anzi l’ipocrisia ha aumentato il suo bacino d’utenza.
Proviamo a capirlo guardando che cosa bolle nella pentola urbanistica dall’altro capo della via Emilia, in provincia di Piacenza, diventata da una ventina d’anni a questa parte una vera e propria piattaforma di cemento per la logistica, insieme alle confinanti aree lombarde e piemontesi.
A Piacenza hanno da poco concluso un nuovo polo logistico dalle dimensioni faraoniche: Le Mose, tre milioni di metri quadrati di ex aree libere che ora sono asfalto e cemento. A Monticelli d’Ongina, Comune in riva al Po nel bel mezzo del Mab Unesco Po Grande (programma scientifico intergovernativo avviato nel 1971 per promuovere su base scientifica un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente attraverso la tutela della biodiversità e le buone pratiche dello sviluppo sostenibile), un accordo territoriale fuori scala ha in programma di scaricare a terra quasi quattro milioni di metri quadrati di cemento, dei quali un terzo è già stato realizzato, e le autorità fluviali stanno a guardare.
Sempre a Caorso hanno da poco avviato un polo di 146mila metri quadrati in località la Rotta dove, nonostante il ritrovamento di un’antica villa romana, si va avanti ugualmente. A Fiorenzuola ulteriori 240mila metri quadrati di aree, totalmente agricole e al 100% permeabili nel loro stato di fatto, sono sul tavolo della conferenza di servizio e pronte per essere approvate (area Careco).
Poi, nonostante l’incubo dell’alluvione, c’è chi continua a sognare altro cemento, altri consumi di suolo. Sul sito Invest in Piacenza, progetto di Confindustria Piacenza, si caldeggia la realizzazione del cosiddetto “bollone” ovvero un’area per 1,5 milioni di metri quadrati di cemento per un altro polo logistico (PPST3 Borghetto Roncaglia), località Croce Grossa. Sul sito si dice chiaramente e senza alcuna remora che si tratta di un “greenfield” ovvero di un suolo libero e permeabile. E si tranquillizza l’eventuale investitore dicendogli che la municipalità è pronta ad attivare il piano urbanistico in caso di richiesta per un insediamento “ad alto valore aggiunto”, espressione che non dice nulla e che comunque se ne frega del valore aggiunto da sempre offerto da un suolo libero.
Ciliegina sulla torta, in coda al sito Invest in Piacenza, vengono ringraziate la Provincia di Piacenza e ART-ER, una società consortile al 65% proprietà della Regione Emilia-Romagna, per il supporto alla promozione del cemento logistico. Dove sia la coerenza tra questa sponsorizzazione del cemento impermeabile nel piacentino e il fatto che ART-ER sia al tempo stesso promotrice della raccolta fondi per le popolazioni alluvionate della Romagna, non è dato di sapere.
Strabismo diabolico? Disgiunzione mentale? Ignoranza ecologica? Spericolatezza urbanistica? La logistica rappresenta al tempo stesso il più vorace consumatore di suolo e il più rapido impermeabilizzatore insieme alle strade ma anche il più appetibile tra i business immobiliari. E tutto questo probabilmente supera ogni pudore ecologico, ogni remora, ogni scrupolo e ha completamente ipnotizzato gli amministratori locali e i politici che si sono trasformati a loro volta in promotori immobiliari anziché in caparbi difensori del suolo e del paesaggio di tutti. Prova ne è il fatto che non dobbiamo ringraziare la politica emiliano-romagnola dell’unico polo logistico che finora è stato bloccato nel piacentino, perché a fermare i 150mila metri quadrati di cemento di Gossolengo sono stati cittadini, i comitati e le piccole associazioni ambientaliste. Solo loro dovremo ringraziare alla prossima alluvione se ci saranno meno danni.
E come se non bastasse, di tutte le recenti e future aree logistiche piacentine, solo Le Mose è collegata alla rete ferroviaria, mentre le altre hanno bisogno di strade, autostrade, rotonde, piazzole di sosta, aree di servizio e tutto quanto fa da corredo alla movimentazione delle merci via gomma. E quindi altro cemento, altra impermeabilizzazione in arrivo.
A proposito di impermeabilizzazione e di consumi di suolo in aree alluvionali, di cui la Regione Emilia-Romagna è campionessa indiscussa in Italia, anche queste aree logistiche hanno ridotto e andranno a ridurre la capacità di risposta idrologica e idraulica del territorio con conseguente innalzamento del danno atteso a popolazione e abitazioni.
I 24 ettari dell’area Careco a Fiorenzuola, per fare un esempio, saranno impermeabilizzati almeno per l’83%. Questa è tra le aree sensibili alle inondazioni legate al torrente Arda e quindi si trova in una zona completamente inondabile. Ciononostante non vi è opposizione da parte degli enti ma solo tenui indicazioni mitigative che si riducono alla realizzazione di qualche arginello o qualche scolo per mettere in salvo i capannoni che verranno realizzati. Ma il territorio nella sua globalità si salverà? Ne avrà beneficio? Se si azzera la permeabilità in 20 ettari, fino a 80 milioni di litri d’acqua potrebbero non essere più trattenuti da quei suoli e andare in giro chissà dove.
Ora si capisce che quello che ho appena raccontato è uno scenario di guerra al suolo e alla natura dove gli unici a opporsi sono veri e propri partigiani ecologici interpretati da circoli locali di alcune associazioni ambientaliste, come Legambiente e Italia Nostra, così come da piccoli comitati di cittadini in difesa di ambiente e salute, seguendo l’approccio One Health, sorti dalla sera alla mattina e animati da veri e propri alfieri ecologici (come Giuseppe Castelnuovo a Piacenza, ma non solo lui).
Dall’altra parte forze economiche e una politica strabica che si sbellica a insultare e a offendere chi si prende davvero cura del territorio e da anni chiede di fermare il consumo di suolo. Se solo minimamente li avessero ascoltati, oggi avremmo evitato tantissimi danni. Ed è vergognoso che siano così poche le voci politiche e intellettuali che, in queste giornate di lutto ecologico, difendono i comitati e i giovani che si infangano pur di portare all’attenzione di tutti il disastro ambientale messo a punto dalle attuali e passate generazioni. Preferiscono il silenzio borghese, l’immobilismo di comodo, il tatticismo camaleontico che oggi chiamano “fairness” e che ha come unico obiettivo di tenere chiusa la bocca a chi pensa con la propria testa.
Vandali in casa, direbbe Antonio Cederna. E a proposito del grande e insuperabile Antonio, concludiamo con una sua frase attualissima, tratta proprio da “Vandali in casa”, in cui sprona tutti coloro che vogliono stare dalla parte dell’ambiente a farlo senza troppi problemi e senza cadere nella trappola di chi accusa le persone ragionevoli di avere un brutto carattere ed essere polemiche e poi loda le persone conformiste e pavide per essere dalla parte giusta: “Da tempo immemorabile i vandali trionfano anche per il silenzio delle persone ragionevoli, per l’assenza di una forte posizione moralistica: in attesa di tempi migliori, è bene servirsi dei mezzi a disposizione, quali la incessante campagna di stampa, la polemica acre e violenta, la protesta circostanziata e precisa, lo scandalo sonoro… in un paese di molli e conformisti, la rivolta morale può essere almeno un elemento di varietà”.