Non li ascoltate. Non ascoltate le loro offese, non leggete i loro insulti squallidi, pieni di sessismo, frustrazione, ignoranza. Non state a sentire chi vi dice che siete solo un bluff, né chi vi rimprovera per i giorni di scuola persi o chi vi invita ad andare a studiare invece di manifestare per l’ambiente. Non ascoltate nemmeno chi vi elogia troppo, chi vi sorride, dicendo di essere dalla vostra parte e dandovi una pacca sulla spalla. Non fidatevi, siate diffidenti, ostinati e se serve incazzati. Greta Thunberg e il movimento di milioni di giovani, tra i quali molti adolescenti, stanno subendo tante critiche per un solo motivo: fanno paura. Fanno paura perché erano anni che non si vedevano movimenti ampi e trasversali dedicati a temi di portata mondiale. Fanno paura perché, seppure in forma diversa, qualcuno ha ricominciato a farsi sentire, con un coro di voci che chiedono, pretendono e propongono alternative. Sono ragazzi, certo, con le proprie incertezze, con la loro semplicità, forse anche ingenui, ma ci sono e hanno una voce che altri hanno cercato di soffocare e altri hanno perso.
La generazione di chi scrive, per fare un esempio, è quella di Genova 2001, quella che parlava di ambiente, di sviluppo sostenibile e alternativo, di diritti umani, solidarietà, lotta al capitalismo e al profitto illecito, quella che chiedeva parità tra i popoli e la fine dello sfruttamento delle aree più povere, la fine delle guerre. La generazione che marciava, scendeva nelle piazze, provava invano a trovare dei riferimenti politici capaci di dar voce a quelle istanze. Quella generazione la voce se l’è vista strappare via con manganelli, proiettili, torture e depistaggi. Ci hanno punito e non siamo più riusciti a superare lo shock. Hanno vinto loro. Se non a livello individuale, sicuramente sul piano collettivo. Ed oggi molti dei problemi che affliggono il pianeta e le popolazioni di molte zone del mondo sono la concretizzazione degli allarmi che lanciavamo all’epoca. Inascoltati. Schiacciati dal pugno di ferro delle nazioni e dal ghigno dei potentati che le foraggiavano.
Oggi, ci sono milioni di ragazzi, ancora più piccoli dei nostri vent’anni dei primi anni Duemila, che stanno marciando per ottenere l’attenzione del mondo intero. Perché il loro obiettivo non è più un pezzo del pianeta, ma tutto il pianeta, che rischia di implodere se continuiamo a non occuparcene, se continuiamo a vivere e consumare pensando che dopo di noi non ci sarà nessuno. Invece ci saranno loro, o meglio ci vorrebbero essere e vorrebbero vivere in un mondo che presenti dei rimedi a ciò che oggi appare irrimediabile. Cosa hanno fatto di male, allora, questi ragazzi? Cosa per meritare non solo le conseguenze di anni di politiche scellerate e distruttive sull’ambiente, ma anche le offese, gli insulti per aver osato protestare? Nulla di male. Il punto è che chi attacca Greta e i ragazzi del Fridays for Future è semplicemente vigliacco. O invidioso.
Nel primo caso, perché Greta e i giovani del suo movimento stanno facendo quello che altri non fanno più, cioè scendere per strada, con i propri cartelloni, con le proprie opinioni, con quel sapere che hanno accumulato informandosi, studiando, cercando di capire, magari filtrando la carrellata indegna di fake news usate da chi vuole convincere i cittadini di tutto il mondo che chi esprime le preoccupazioni fondate e legittime per il futuro del pianeta è solo un catastrofista al soldo di chissà chi. Nel secondo caso, perché questo movimento è riuscito in quello in cui molti di noi hanno fallito: diventare mondiale e costringere i potenti a sedersi a un tavolo, a dire apertamente da che parte stanno, ad assumersi la responsabilità. Basterà? Forse no, ma c’è e, se invece di attaccarlo lo aiutassimo, forse sarebbe un bene per tutti noi.
Ma non accade, perché anche nell’epoca in cui viviamo i giovani sono odiati. Tranne se c’è da dar loro un demagogico diritto di voto, nella speranza che possano essere esche ingenue per il consenso utile a chi da anni li ignora o li riempie di fandonie. C’è persino chi rinfaccia a questo movimento la scelta di scioperare in un giorno non festivo. Una argomentazione talmente stolta da lasciare senza parole, soprattutto quando proviene da persone dotate di cervello e cultura. Perché chi sostiene una tale idiozia dimostra di ignorare tutta la storia dei movimenti di protesta che hanno cambiato il mondo. Non si è mai sentito che le manifestazioni per conquistare i diritti del lavoro si siano svolte fuori dall’orario di lavoro, per non dar fastidio ai padroni. O che le lotte per i diritti dei neri negli USA siano state fatte in giorni in cui i neri erano liberi dal lavoro per non disturbare gli schiavisti presso i quali prestavano servizio.
Davvero qualcuno pensa che questo, al pari del sessismo dei soliti decerebrati da tastiera o con il simbolino della Lega sulla giacca, sia un argomento capace di screditare l’impegno di milioni di ragazzi? Forse ci si dimentica che la scuola non è solo didattica, ma è il luogo nel quale si costruisce la cittadinanza, la consapevolezza di essere cittadini. A scuola ci si rapporta per la prima volta con una autorità diversa da quella genitoriale, a scuola si comincia a imparare il senso del diritto e del dover lottare, se serve, per difendere una causa o per ottenere quel diritto. Un giorno di lezione saltato per esercitare il proprio diritto alla partecipazione e alla cittadinanza vale più di tre giorni di lezione fatti di nozioni e formule, senza mai uno scambio, un dialogo sull’attualità in cui viviamo. Quella attualità nella quale è possibile esperire proprio ciò che istruzione e cultura insegnano.
Per tale motivo a Greta, alle ragazze e ai ragazzi che vogliono cambiare il mondo e chiedono un futuro diverso, dico di non ascoltare nessuno. Di continuare a formarsi e informarsi, studiare e marciare, protestare, chiedere, pretendere. Fatelo, perché i veri colpevoli sono quelli che non marciano, quelli che si illudono che basti un buon comportamento quotidiano e privato per mostrare al mondo intero che siamo arrivati al limite. C’è un passaggio dell’Odissea di Omero che è esemplare: ’Io, di sicuro i Proci superbi non biasimo affatto, se, da quei tristi che sono, commettono tanti soprusi: essi giocan la testa, ché mangiano senza riguardo tutti d’Ulisse i beni, pensando ch’ei più non ritorni; ma corrucciato sono col resto del popol, che tutti ve ne sedete in silenzio, né ardite coi vostri rimbrotti porre a dovere i Proci, che pure son pochi, e voi molti“.
Lottate, dunque, non ascoltate nessuno, siate ostinati e soprattutto combattete chi è più vecchio di voi e non è riuscito a fare di più. Combatteteci, metteteci da parte, costringeteci a sostenervi, a non imporre la nostra esperienza. Sbagliate e correggetevi, camminando a schiena dritta, con le vostre capacità, che sono tante e che molti nemmeno immaginano. Perché se c’è una cosa che chi è stato diciottenne o ventenne sa bene è che non esisterà mai una generazione che parlerà bene di quella che viene dopo. Io invece voglio augurarvi di essere migliori. E vi dico: sono con voi, ma voglio essere sconfitto da voi.