La Corte dei Conti dell’Unione Europea ha dichiarato che il progetto dell’alta velocità Torino-Lione è non solo in ritardo sulla tabella di marcia, ma anche sulla storia. Infatti, oggi più che mai, a oltre venticinque anni di stanza dalla prima proposta, risulta obsoleto. Troppe cose sono cambiate. Nel frattempo i costi sono saliti dell’85 per cento rispetto alle previsioni iniziali.
Inoltre, sempre secondo la Corte dei Conti Ue, anche i presunti benefici sul piano ambientale non sarebbero poi così reali: le emissioni di CO2 verrebbero compensate solo venticinque anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura – che avverrebbe nel 2030: “Se raggiungono solo la metà del livello previsto, occorreranno cinquant’anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate”.
Gregory Doucet, il neo eletto sindaco di Lione, ha dichiarato: “Non bisogna insistere su un progetto sbagliato. È la scelta peggiore”, sostenendo che occorre invece “investire sulle infrastrutture già esistenti”, cioè la linea ferroviaria già esistente. È curioso che queste due voci, non certo aderenti al movimento Notav valsusino, si ritrovino a sostenere posizioni che quello stesso movimento sostiene da anni e che appaiono evidenti a molte persone di buon senso.
Invece di riflettere su queste critiche, alcuni nostri rappresentanti governativi, si sono subito affrettati a ribadire che l’opera si farà. Alla domanda: “Perché?” si potrebbe fornire una risposta raffinata: il tanto sbandierato e inseguito “sviluppo” (parola che ogni giorno sembra perdere di significato, tranne quello di essere uno slogan per non analizzare i problemi) che il Tav porterebbe, come sostiene Gilbert Rist è una sorta di mito fondante della società occidentale.
È l’equivalente dei miti di fondazioni delle società che chiamiamo “primitive”. Un mito non si discute, soprattutto se è un mito fondante: o ci si crede o crolla l’intero impianto della società. Per cui dobbiamo svilupparci, “crescere” all’infinito, tralasciando i danni collaterali sull’ambiente, pena la fine di un’era. Sarebbe una spiegazione che conferirebbe persino un tocco di dignità alla scelta di andare avanti e di immolarsi sull’altare di una credenza.
Purtroppo non è così, non c’è nulla di nobile nelle scelte dei diversi governi che si sono succeduti negli ultimi quasi trent’anni. C’è solo una questione di interessi, di denaro, nulla di mitico, o forse sì, per quei pochi che ne beneficerebbero. Ecco, il progetto Tav è il totem di quella corsa cieca e folle verso l’arricchimento di pochi sulle spalle di molti, di chi fa discorsi sulla transizione ecologica e poi vuole stravolgere un ambiente, quello della valle di Susa, già martoriato da una linea ferroviaria, due statali e un’autostrada.
Facile aggiungere l’aggettivo “green” a ogni iniziativa. Avere il coraggio di riflettere anche su errori passati richiede molto più coraggio.