Biodiversità e cambiamenti climatici sono al centro della Giornata mondiale dell’ambiente 2020, promossa dalle Nazioni Unite il 5 giugno e giunta alla 46esima edizione. Sullo sfondo, la pandemia da Covid-19 che ha riportato al centro dell’attenzione mondiale la cenerentola del pianeta: la natura.
«La natura ci ha parlato forte e chiaro attraverso l’emergenza pandemica – ha chiarito in un messaggio il segretario generale dell’Onu António Guterrez -: ci ha detto che il nostro ecosistema è malato e che bisogna agire quanto prima per ripristinarlo. C’è un legame diretto tra pandemia, inquinamento che causa i cambiamenti climatici e impoverimento della biodiversità sul pianeta. Ecco perché tutto il 2020 è dedicato alla biodiversità».
Un messaggio, quello di Guterrez, basato su evidenze scientifiche citate dall’Onu, che dimostrano il legame diretto fra tre fenomeni che solo in apparenza non hanno niente in comune: biodiversità, cambiamenti climatici e pandemia.
Vediamo il primo anello della catena: la varietà delle specie vegetali e animali sul pianeta. Che cosa c'entra con il Covid-19? Ecco la spiegazione dell’Onu. «Ogni quattro mesi si diffonde tra gli esseri umani una nuova malattia infettiva, che nel 75% dei casi è di origine animale (come Ebola, Sars, Mers e ora il Covid-19) – spiega Guterrez -. Un ecosistema sano ci protegge da queste malattie. La biodiversità rende più difficile la diffusione dei patogeni, che prosperano fra specie uniformi, in ambienti inquinati, in assenza di zone cuscinetto naturali che pongono una distanza fra l’uomo e gli animali. Purtroppo però la biodiversità si è fortemente impoverita negli ultimi decenni, tanto che ora sono a rischio estinzione oltre un milione di piante e di specie animali. Eppure può giocare un ruolo essenziale per prevenire future pandemie: se riuscissimo a fermare la perdita di biodiversità e a invertire la rotta, ci farebbe da scudo agli agenti patogeni di origine animale».
Non a caso, la biodiversità rappresenta uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile Onu (Sdg) sottoscritti da quasi tutti i Paesi del mondo . Un obiettivo, l’Sdg numero 15, per niente secondario: la biodiversità è legata anche alla prosperità economica. Secondo l’Onu, più di metà del Pil mondiale – equivalente circa a 44mila miliardi di dollari – è moderatamente o altamente dipendente dalla natura. Non solo: più del 70% dei poveri traggono il loro sostentamento dalle risorse naturali, attraverso l’agricoltura, la pesca e altre attività.
Anche l’inquinamento spiana la strada alla diffusione delle pandemie. «Le persone che vivono in aree fortemente inquinate sono esposte a maggiori rischi di morte per pandemie come il Covid-19», spiega senza mezzi termini, in una nota, David Boyd, relatore speciale dell’Onu su diritti umani e ambiente.
Il quale non a caso l’anno scorso così ammoniva, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente 2019: «L’inquinamento atmosferico è un killer silenzioso, invisibile e prolifico, responsabile della morte prematura di 7 milioni di persone ogni anno, e tocca in maniera sproporzionata le donne, i bambini e le comunità povere». Il dato è contenuto nel Rapporto 2019 dell’Organizzazione mondiale della sanità che segnala per l’Italia 80mila morti all’anno a causa dell’inquinamento.
Solo studi approfonditi potranno forse ipotizzare quanta parte dei morti da Covid-19 può essere correlata all’inquinamento e quante vittime sono “sovrapponibili”. Intanto, sono sottoposti in questi mesi a peer review da parte della comunità scientifica i primi studi che tracciano una chiara correlazione, fra cui quelli condotti da Francesca Dominici ad Harvard e dalla Società italiana di Medicina Ambientale.
Non consola l’abbassamento (peraltro dibattuto) delle emissioni inquinanti conseguente al lockdown (attuato in molte aree del mondo per rallentare la diffusione del coronavirus): non appena le attività torneranno a pieno regime, gli effetti malefici dell’inquinamento si riproporranno, avverte l’Onu.
Non bisogna abbassare la guardia sull’inquinamento, fra le cause dei cambiamenti climatici, quindi. I danni da climate change sono molto più persistenti, forti e irreversibili di ogni pandemia, nel lungo periodo, ammonisce l’Onu.
Ecco perché l’Organizzazione delle Nazioni Unite sta levando la voce sempre più alta per richiamare l’attenzione sull’urgenza di attuare davvero i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi sul clima. Accordo firmato nel 2018, che impegna gli Stati firmatari a contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali, e a limitare tale incremento a 1.5°C, poiché questo ridurrebbe sostanzialmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
Intanto, la situazione non è migliorata, neanche dopo il suggestivo Summit Onu sul clima del settembre 2019 a New York. «Il mondo è già più caldo di 1,1°C rispetto agli albori della rivoluzione industriale, con un impatto significativo sul pianeta e sulle vite delle persone; se le attuali tendenze dovessero continuare, le temperature globali potrebbero già aumentare dai 3,4 ai 3,9°C in questo secolo, causando effetti climatici distruttivi su larga scala», ha avvertito l’Onu dopo il sostanziale fallimento della Conferenza delle parti (Cop25) a Madrid.
La Cop-26 di Glasgow, rimandata da novembre 2020 allo stesso mese del 2021 non dovrà deludere: il pianeta non può aspettare. E l’Italia avrà un ruolo da protagonista, come co-presidente della conferenza assieme al Regno Unito e come organizzatrice del summit dei giovani Youth4Climate e del vertice pre-Cop nel corso del quale si svolgerà la trattativa fra i Paesi.
Intanto, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, l’Onu lancia l’iniziativa “Race to zero”, che vede alleati campioni dell’economia reale con Paesi leader della lotta al climate change, con settori economici votati allo sviluppo sostenibile, con città e regioni che vogliono invertire la rotta, investitori che credono nel valore aggiunto dei criteri Esg (Environmental, social and governance) alla base della finanza sostenibile. Tutti i firmatari, fra cui molte fra le principali società multinazionali, si impegnano a raggiungere l'obiettivo delle zero emissioni entro il 2050. L’Italia ha già sottoscritto questo impegno, dopo la Cop-25 e partecipa all’iniziativa rappresentata dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa.
Una forte campagna sui social media, ricca di foto e di video d’impatto, accompagna il lancio del World environment day (Wed 2020). Fra i testimonial spicca la cantante Billie Eilish, idolodei Gen Z (la Generazione Z) e vincitrice di cinque Grammy Awards 2020. Nel video di lancio dell’evento fa notare che «Noi abbiamo bisogno di questo pianeta più di quanto il pianeta abbia bisogno di noi».
Una lezione saggia che questa diciottenne di Los Angeles, al pari della diciassettenne Greta Thunberg, impartisce ai leader mondiali. I quali perdono tempo in spaccature fra Paesi storici inquinatori (gli Usa di Trump che vuole ritirarsi dall’Accordo di Parigi) e Paesi di nuovo inquinamento (Cina in primis, sulle barricate dopo la guerra commerciale e di relazioni internazionali, il rallentamento del Pil e i danni da coronavirus generatosi proprio sul suo suolo).
Gli unici raggi di sole, in questo momento storico cupo, vengono quindi dalla società civile guidata dai giovani ambientalisti, dall’Onu (spesso inascoltata purtroppo), dalle imprese più illuminate che hanno intrapreso un percorso di sviluppo sostenibile, e dall’Unione europea, che con il Green new deal e il Next generation EU plan conferma e anzi potenzia gli investimenti per favorire la transizione dell’economia reale verso un’era più rispettosa dell’ambiente e degli esseri umani.