Recentemente – ma ne sono venuta a conoscenza in ritardo – sul Corriere della Sera è stato pubblicato un interessante carteggio fra Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale ANPI, e Ernesto Galli della Loggia.
Pagliarulo risponde con chiarezza ed efficacia ad un primo intervento di Galli della Loggia, una risposta che consiglio di cercare e leggere. Dalla sue parole si ricavano precedenti affermazioni di Galli, che non nascondono un certo fastidio, un fastidio che uno “storico” (?) dovrebbe, a mio avviso, evitare. Addirittura Galli sembra spiegare la vicinanza di Fratelli d’Italia ad argomenti e gruppi nostalgici di fascismo come «postura difensiva contro le smargiassate dell’antifascismo di professione». Mi chiedo. E’ il linguaggio di uno storico? O di un editorialista di uno dei maggiori quotidiani del paese? E’ mai possibile? Intanto, non si comprende quale possa essere l’antifascismo di professione. Essere stati ed essere antifascisti è una scelta ideale e politica. Nel passato, una scelta difficile e pericolosa. Non è detto che ogni parola o atteggiamento di chi è antifascista vada preso a scatola chiusa.
Ne parlarono molto bene a suo tempo, con accenni critici, Pier Paolo Pasolini e Umberto Eco. Io stessa ho avuto modo di trovare poco convincenti certe ritualità ripetitive. O il trovare in persone che si ritengono sinceramente antifasciste poca comprensione per i sofferenti o gli ultimi della terra del nostro presente. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con le smargiassate a cui si riferisce Galli.
Quello che invece mi ha colpito, è il giudizio che Galli, nella risposta a Pagliarulo, dà della nostra Costituzione. Un giudizio negativo. Con un merito, però della chiarezza. Inutile fare l’inchino alla Costituzione, come a volte abbiamo visto fare negli ultimi decenni, e mettere poi mano a riforme costituzionali devastanti o a leggi anticostituzionali. Galli della Loggia sostenne il referendum di Renzi, che tagliava moti rami inutili e dannosi - dicevano - della Costituzione e che per questo era da sostenere .
Ora comprendo meglio perché. La nostra è una Costituzione che prende molto sul serio il bene comune e l’uguaglianza. Ma a Galli piacciono le Costituzioni minimaliste - afferma - che riducono lo Stato a freddo notaio di diritti individuali. Usa il termine individui, non cittadini. Una riedizione della Thatcher degli anni d’ oro. Con tutti i disastri sociali che ne sono seguiti, e non solo in Inghilterra. Che uno Stato - anche la parola Repubblica non piace a Galli - si attivi per l’uguaglianza, gli sembra qualcosa di obsoleto, sorpassato. Ferro vecchio da buttare. Voi progressisti siete astratti, ci dice. Seguiamo nuvole. Una visione, la sua, statica, mi pare. Quasi da darwinismo sociale. Diritti individuali civili (forse) e politici (il voto ogni tanto, non importa con quale legge elettorale) e , per il resto, si salvi chi può. Sperare in altro è segno di fanciullaggine immatura.
Mi viene in mente Berlusconi, meno raffinato di Galli, che, presidente del Consiglio, disse, senza infingimenti, con questa costituzione bolscevica governare è un inferno. Per liberisti e individualisti una Repubblica che si propone di rimuove gli ostacoli che impediscono l’ uguaglianza è una utopia non solo perché è impossibile, ma perché non deve esserci.
Certo, la nostra è una Costituzione frutto del migliore antifascismo. E’ un fatto storico. La scrissero Padri e Madri Costituenti che il fascismo l’avevano patito sulla pelle e la vollero, proprio a partire dalla loro esperienza, antifascista. C’è pluralismo cultuale e politico, nella Costituzione. E’questo che non piace a Galli. La vorrebbe minimalista, tessuta con un filo delle stesso colore. Diritti civili e politici, casomai senza esagerare. E quelli sociali? Questi li vollero non solo i postbolscevichi, ma la componente cattolica della Assemblea Costituente, Vangelo alla mano. Solidarietà, condivisione, pani e pesci equamente suddivisi. Non sono comunista, dice Papa Francesco, sono cristiano.
Ma ad Ernesto Galli della Loggia non dispiace, forse, l’idea che il popolo che soffre, lasciato indietro dalla sinistra, si alloggi verso destra.
A Galli accade quanto ho riscontrato anche in altri casi. Comunista in gioventù, è tormentato dal pentimento, e non lavora sulla critica, doverosa, a quanto nel comunismo non è andato bene, Italia compresa. Ma, per stare dalla parte del sicuro, diventa un simpatizzante di destra. Ricordo una sua conferenza di molti anni fa, a Ravenna. Incensò Cavour – tanto di cappello, è ovvio – e ridicolizzò Mazzini, come ridicolizza, oggi, parlando di smargiassate, gli antifascisti.
Suggerisco a Galli di leggere un bell’articolo di Asor Rosa su la Repubblica di alcuni giorni fa. Non ci sarebbe stata Teano - Vittorio Emanuele II re d’Italia - senza la gioventù mazziniana e garibaldina a Calatafimi.
I malumori di Galli della Loggia mi fanno concludere che la sua professione non è quella dello storico. Ma quale è?
Maria Paola Patuelli