Quando il ministro Giorgetti ha proposto di eleggere Draghi alla Presidenza della Repubblica affidando la gestione del governo ad una persona di sua fiducia era ovvio chiedersi perché avesse fatto una proposta del genere. Rispondergli che la sua proposta era uno strappo costituzionale era fin troppo facile. Giorgetti è spregiudicato ed è tra quelli che vogliono conquistare alla Lega la credibilità di partito di governo, ma quella avanzata era comunque una proposta fuori dall’attuale Costituzione. Se Draghi venisse eletto al Quirinale vi sarebbe già una anomalia evidente. Non è mai accaduto che il presidente del Consiglio in carica fosse eletto Presidente della Repubblica che in Italia è la carica istituzionale di garanzia per eccellenza, mentre il presidente del Consiglio è il leader della maggioranza politica del momento e quindi per definizione espressione di una parte, sia pure maggioritaria.
Ora è più chiaro che in realtà Giorgetti ha lanciato in campo una palla che altri gradiscono e in qualche caso ne traggono le reali conseguenze, a partire dalla proposta di modificare la Costituzione. Non si tratta solo della raccolta di firme di Meloni ecc. ora firmata anche da Salvini e Berlusconi. Ma di un giornalista noto come Marcello Sorgi, giornalista embedded, che ha chiarito che occorre fare un passo verso la modifica di fatto dell’assetto istituzionale (e quindi costituzionale), finché ad un certo punto se ne potranno trarre le conseguenze e modificarne il testo.
Due punti sono fondamentali.
Il primo è il ruolo del parlamento. Il parlamento è da tempo sotto tiro. La sua credibilità è ai livelli più bassi di sempre. Va detto per sincerità che i parlamentari fanno ben poco per sottrarsi alla caduta di credibilità, che ebbe un’accelerazione dal voto di un ordine del giorno, approvato dalla maggioranza di centro destra, in cui si affermava che Ruby era la nipote di Mubarak, come aveva ordinato Berlusconi. Poi qualcuno si chiede come mai a tanti venga l’orticaria al solo pensiero che si pensi seriamente che Berlusconi possa diventare Presidente della Repubblica. Ovvio: vorrebbe dire nominare il responsabile di gravi sfregi alle istituzioni della nostra Repubblica, senza mai dimenticare la condanna per frode fiscale che gli è costata la decadenza da senatore. Il parlamento purtroppo non ha subito solo questo scempio, ma ne ha avuti molti altri. Ad esempio, una sequenza di leggi elettorali che hanno distrutto il rapporto diretto tra il parlamentare e i suoi elettori. La legge Mattarella pur essendo maggioritaria per i tre quarti aveva salvato una parte di questo rapporto attraverso collegi maggioritari, in cui la scelta tra diversi candidati era diretto, quindi dopo l’elezione il parlamentare era spinto a mantenere il rapporto con i suoi elettori, anche con quelli che non l’avevano votato. Non era la legge migliore del mondo ma almeno alcuni aspetti come questo li aveva salvaguardati.
Dopo c’è stata la svolta, complice il porcellum e i suoi “eredi” che hanno mutato l’elezione del parlamentare nella sua nomina (di fatto) da parte del capo del partito (che decide le liste) perché essere in un certo collegio o in un certo posto nella lista bloccata fa la differenza tra essere eletto oppure no. Così il rapporto con gli elettori è stato troncato di netto. Gli elettori non conoscono i loro rappresentanti, gli eletti non hanno alcun interesse a stabilire un rapporto stabile con gli elettori. Così il parlamento ha perso il contatto con gli elettori, finendo per accumulare su di sé le insoddisfazioni che, anche con una sottile perfidia delle altre istituzioni, gli sono state scaricate addosso. Va aggiunto che la qualità dei parlamentari mediamente si è abbassata, legislatura dopo legislatura, tranne lodevoli eccezioni che confermano la regola. Su questa insoddisfazione di massa si è innestato l’attacco al ruolo del parlamento portato avanti dal Movimento 5 Stelle che ha puntato al taglio dei parlamentari con una scelta dissennata e l’ha ottenuto perseguendo l’obiettivo con due maggioranze opposte. Gli altri partiti (colpiti dal raptus dell’opportunismo?) non si sono chiesti se questo non avrebbe affossato definitivamente il ruolo del parlamento, ma hanno finito per votare il taglio, con un ridicolo bilanciamento di ulteriori modifiche della Costituzione, che come è noto sono complicate da ottenere e che non a caso si sono perse per strada. Il taglio certo dei parlamentari in cambio di incerte e modeste modifiche della Costituzione che non verranno approvate in questa legislatura.
Il referendum popolare ha confermato il taglio del parlamento e quindi avremo dalla prossima legislatura due Camere ridotte di un terzo, con la curiosa proposta del Pd di Zingaretti: dopo il taglio del parlamento arrivare ad una camera unica, confermando una notevole confusione di obiettivi e di tempi politici. Ora il parlamento sta prendendo altri colpi senza reagire, né i singoli parlamentari, né gli organi di rappresentanza a partire dal presidente. Decreti leggi a raffica, voti di fiducia, maxiemendamenti del governo per fare passare le leggi sono malanni cresciuti anno dopo anno, ma il vuoto non esiste, se il parlamento conta sempre meno il governo conta sempre di più. I rapporti di forza previsti dalla Costituzione tendono da tempo ad invertirsi. Con il governo Draghi siamo arrivati al monocameralismo di fatto. Non solo decreti legge, voti di fiducia, maxiemendamenti (vedi legge di bilancio in questi giorni) ma ormai anche una Camera per volta, l’altra non ha neppure il tempo di leggere i provvedimenti, può solo votare a favore, altrimenti cade il governo. Babau che spaventa i parlamentari come nessun altro. Con il governo Draghi la Costituzione di fatto è sempre più differente da quella scritta, il parlamento lavora a corrente alternata e per di più su provvedimenti decisi dal governo (non tutto) che il parlamento può solo approvare. Gli omaggi rituali al parlamento sono del tutto formali.
Prima o poi questa crisi del ruolo del parlamento scoppierà. O il parlamento si ribella e rifiuta di approvare provvedimenti a scatola chiusa, come usava qualche lustro fa, e pretende di intervenire e modificare le proposte, ristabilendo un rapporto equilibrato tra Governo e parlamento, oppure le idee espresse da Sorgi troveranno un terreno facile e si modificherà la Costituzione. Del resto sono decenni che la pressione internazionale spinge per superare le nostre istituzioni, poco importa che siano il simbolo della nostra identità nata dalla Resistenza.
Per questo una nuova legge elettorale è indispensabile prima delle prossime elezioni. Ormai la metà dell’elettorato non partecipa al voto, mostrando una disaffezione, una delusione preoccupanti per le sorti della democrazia del nostro paese. Proporzionalità e scelta diretta degli eletti da parte degli elettori sono i due pilastri di una scelta che può aiutare a risalire la china. La capacità di rappresentare il paese reale potrebbe tornare. Se il parlamento trovasse il coraggio e la convergenza necessaria per arrivare ad una nuova legge elettorale avrebbe riscattato almeno una parte della credibilità perduta e reso un servizio alla democrazia. La democrazia in Italia sta correndo dei rischi seri. Purtroppo i partiti che avrebbero dovuto e potuto porre la questione prima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica non hanno capito in quale trappola si sono cacciati rinviando le decisioni a dopo. Un errore che potrebbe costare molto caro. Alla democrazia.
La seconda grande questione riguarda il Presidente della Repubblica. Una Repubblica parlamentare ha nel Presidente un garante delle regole e deve svolgere la sua funzione che è vincolata alla Costituzione. Usava in passato lasciare la tessera di partito al momento dell’elezione. Una Repubblica Presidenziale è molto diversa. Il Presidente è il capo della parte che ha vinto le elezioni. Passare da un garante al capo di una fazione, ancorché maggioritaria, non è cosa da poco. Nel sistema politico americano i parlamentari sono eletti indipendentemente dal Presidente. Infatti può trovarsi in minoranza perché parlamento e Presidente sono poteri tra loro autonomi, salvo che una ondata politica unifichi tutto e a quel punto sono guai. È chiaro che non si può cambiare un pezzo rilevante del nostro sistema istituzionale senza preoccuparsi dei contraccolpi. L’accentramento dei poteri nell’esecutivo è già ora formidabile, oltre la previsione costituzionale. Se a questo si aggiungesse anche un cambiamento sostanziale nel ruolo del Presidente della Repubblica il rischio potrebbe essere una deriva presente già in altri paesi europei.
Draghi in sé non è questo, ma l’operazione che attorno al suo ruolo si è messa in moto finisce per arrivare alla conclusione che occorre cambiare la Costituzione e poiché nell’immediato questo non è possibile, in attesa di ottenerla si punta a creare uno stato di fatto, nella direzione vagheggiata da Giorgetti e da Sorgi.
Lo sciopero generale di Cgil e Uil è stato un segnale di sofferenza sociale forte. La camicia di forza che si sta costruendo lasciando nell’ombra le aree sociali più deboli e provate dalla crisi non avrà un percorso tranquillo. Qualcuno sta iniziando a chiedere di conoscere e discutere le scelte. La risposta evidenziata in occasione della legge di bilancio ha continuato, anche dopo lo sciopero e la manifestazione della Cisl, a trovare la soluzione tutta tra i partiti di maggioranza, senza lasciare spazio ad un confronto con il mondo del lavoro. Questo è inaccettabile e pone un serio problema politico. Può esserci un futuro socialmente accettabile per un paese che decide di lasciare ai margini il mondo del lavoro e che consegna le scelte alle imprese, rinunciando alla guida del sistema economico e sociale con un progetto tale da orientare gli investimenti, mentre finanzia le scelte più discutibili dell’Eni come la CCS (12 miliardi)? Con un ministro che continua a blaterare di nucleare, pur sapendo che in ogni caso non potrebbe essere disponibile entro le scadenze del G20, di Cop 26 e delle tappe decise dall’UE? Mentre l’unica risposta forte alla speculazione sui prezzi del gas sarebbe un piano di grandi investimenti nelle rinnovabili, rapidi e con tanti soldi. L’Agenzia di rating Deloitte ha spiegato che l’Italia potrebbe diventare il paese pilota nelle rinnovabili, nell’innovazione, negli investimenti, nell’occupazione di qualità. Sarebbe il caso di valutare la svolta politica che questo pone al paese, che il PNRR auspica ma non attua, che sarebbe bene sottoporre agli elettori, coinvolgendoli nelle scelte. Quindi non di presidenzialismo abbiamo bisogno, né tanto meno di personalizzazioni che lambiscono l’uomo della provvidenza, ma di scelte politiche chiare, condivise su cui il paese si unisce per scommettere sul futuro.
Per questo sarebbe bene lasciare in pace la Costituzione ed attuarla, interrompere la catena delle forzature interpretative, aprire una vera discussione politica sul futuro dell’Italia e per questo occorre che il Presidente della Repubblica sia scelto per la sua capacità di essere garante e non capo di una fazione. Occorre che il parlamento riprenda almeno in parte il suo ruolo, che il governo riprenda contatto con il suo ruolo. Approvata la legge di bilancio occorre dire chiaro che il periodo delle forzature è finito. Altrimenti le conseguenze potrebbero essere pesanti. Questo riguarda il futuro Presidente della Repubblica ma anche i presidenti della Camera e del Senato.
Cerchiamo di non rimpiangere la Costituzione che abbiamo e il suo impianto istituzionale, potrebbe essere troppo tardi.
Alfiero Grandi