Quelli a cui è sfumato il blitz, che prevedeva mozione di sfiducia e voto in autunno in rapida successione, urlano: «Chi ha paura del popolo?», è il momento di dare voce al popolo! Il popolo, quello reale, fatto di persone in carne ed ossa, sa esprimersi con la propria voce, ma spesso non viene ascoltato. Quello di cui parlano loro, invece, è un popolo “italiano”, indistinto, informe, quasi un corpo mistico, ma in vacanza, quindi smobilitato. Pur con grande copertura mediatica, durante questa crisi di governo estiva non si parlava d’altro. Nella prima mano della partita, chi ha dato le carte ben conosceva i regolamenti parlamentari.
Non a caso è stato un ex presidente del Senato a fornire la prima indicazione tecnico-politica su come comportarsi per far fallire la sfiducia a Conte. Nel Palazzo, in effetti, c’era e c’è effettivamente paura delle elezioni anticipate e ravvicinate. Tuttavia, se le mosse saranno dettate solo dalla paura della vittoria di un movimento ai bordi della democrazia, ma anche del proprio destino personale, è difficile immaginare la costruzione di un esecutivo lungimirante, all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Nel frattempo, per le forze politiche italiane i reali risultati elettorali delle europee e quelli virtuali di sondaggi e proiezioni restano un monito costante.
Quale sarà l’esito finale è presto per prevederlo. Sulla scena gli attori politici devono seguire il loro copione, e più smarriscono i contatti col proprio retroterra politico-sociale, più i loro gesti contengono fatti simbolici, gli unici che garantiscono un immediato, ma effimero, torno d’immagine. Tuttavia, in questa situazione si pone l’opportunità concreta. di mettere al centro del dibattito politico una riforma decisiva: quella della legge elettorale. Altro che voce, le forze politiche devono ridare ai cittadini il diritto di votare secondo Costituzione, facoltà che ci è stata rubata nel 2005, col cosiddetto Porcellum, e mai più restituita. La normativa vigente, approvata con la legge n. 51/2019, una legge gemella del Rosatellum (la n. 165/2017), conserva tutti i profili d’incostituzionalità della precedente.
La sua caratteristica principale è la privazione di qualsiasi scelta tra i candidati. Il voto non è personale, come richiede l’articolo 48 della Costituzione. Ahimè, per troppo tempo quell’aggettivo, «personale», è stato interpretato riduttivamente, un attributo dell’espressione del voto e non anche dell’oggetto del voto. Soltanto con l’annullamento parziale del Porcellum, poi, sono state censurate le liste bloccate. Oggi abbiamo collegi uninominali per i 3/8 dei seggi, vale a dire 236 nell’attuale Camera dei deputati, 150 se passa la riduzione dei parlamentari. I candidati non sono selezionati con primarie o procedure di selezione pubblica e trasparente, ma decisi dal partito, il suo capo o la sua oligarchia. Gli altri 394 o 250 sono alla proporzionale, ma su liste bloccate. Ci fosse almeno la scelta tra il candidato uninominale e la lista collegata: no, il voto congiunto è obbligatorio. Chi – stando ai proclami – ci vorrebbe «dare la voce», intanto ci ha tolto il diritto di eleggere, che deriva dal latino eli ere. E significa “scegliere”. Il Porcellum, invenzione di un leghista, aveva premio di maggio-ranza e liste bloccate, annullate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014.
Una lezione che non è stata compresa, tanto che si è approvata una nuova legge, l’Italicum, funzionale alla deforma costituzionale Renzi-Boschi. Per mantenere un premio di maggioranza hanno finto di far davvero scegliere agli elettori i candidati, ma non più del 10-15%, con i capolisti garantiti. Cosi è partito un nuovo ricorso e, dopo la deforma annullata dal popolo col referendum del 4 dicembre 2016, la Corte costituzionale ha annullato nel gennaio 2017 premio di maggioranza e la libertà di scelta del collegio d’elezione per il candidato pluri-eletto. Per far finta di rinunciare a qualcosa, dopo due annullamenti del premio di maggioranza, il Rosatellum apparentemente non lo prevede, per poter mantenere le liste bloccate, corte, massimo 4 candidati (anche in questo caso, nella convinzione che la Corte costituzionale male avrebbe digerito entrambi gli elementi in un’unica legge, che già condannò per il Porcellum).
Ma si tratta solo di un’apparenza: il premio di maggioranza, anche se “nascosto”, c’è e consente di avere la maggioranza assoluta della Camera all’unica lista/coalizione, che superi il 30% dei voti, purché distribuito in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale. Nel 2018 non e scattato perché due soggetti (centrodestra e M5s) avevano superato il 30% in modo squilibrato a Nord e Sud. Le liste corte e le pluri-candidature, fino a 5 collegi (bisognava evitare che per caso venissero proclamati candidati diversi da quelli prescelti) hanno inoltre fatto si che in alcune circoscrizioni della Camera non si siano assegnati seggi per mancanza di candidati: allora il seggio migrava da un capo all’altro dell’Italia come una pallina impazzita di un flipper.
La legge lo prevedeva, anche se si creavano circoscrizioni sovra rappresentate e sottorappresentate rispetto alla popolazione residente. Il guaio si è manifestato però in maniera irrimediabile al Senato, per fortuna in un solo caso: un seggio siciliano dei 5 Stelle. Per non per perdere uno scranno al Senato, dove la maggioranza giallo verde aveva margini ridotti, si è violato l’art. 57 comma 1 della. Costituzione, per il quale il Senato si elegge su base regionale. Inoltre, il trasferimento di seggi da una Circoscrizione ad altra viola gli artt. 48 e 58 della nostra Carta fondamentale, perché il voto non è più personale e diretto. Il rapporto medio italiano abitanti/senatore in Italia e di 192.000 abitanti per un senatore, in Sicilia 1/200.000, mentre scende a 1/128.000 in Umbria, perché favorita dal numero minimo di 7 senatori per Regione (art. 57 Cost.).
I siciliani hanno dunque perso il venticinquesimo senatore, e i loro voti son serviti ad eleggere una senatrice umbra. In quella Regione dunque il rapporto scende a 1/110.000. L’inconveniente dunque ha modificato gli equilibri su cui si basano i meccanismi di rappresentanza elettorale. Anche per questo, la modifica della legge elettorale è urgente, e non può essere lasciata nelle mani di Pd e M5s al governo se risolvono la crisi o a una maggioranza di destra guidata dalla Lega in caso di fallimento. Il popolo alzi la voce per dire basta alla ratifica di nominati, l’ennesima truffa, e per rivendicare la scelta dei propri rappresentanti. Perché la «sovranità appartiene al popolo» e la deve poter esercitare.