Ho vissuto il sessantotto, anche essendo ai margini per l’età (ero un po’ più giovane), perché mi ritrovavo nelle classi e nelle università in cui il movimento studentesco aveva più vivacità. Il temperamento “allergico alle ingiustizie”, l’ho portato con me nella scuola, come insegnante per cui i miei ragazzi avevano una spalla forte che li proteggeva, una coscienza libera da tecnicismi sterili, l’ottica di chi non dice: “Ho ragione perché ho ragione”, in un’epoca in cui essere insegnanti aveva ancora “il registro dalla sua parte”.
I ragazzi: i miei migliori amici, per la fiducia che avevo nel loro desiderio di giustizia.
Oggi, però, sono sconvolta, da insegnante in pensione, dal concetto di giustizia che sembra essere presente tra gli allievi (e, si direbbe, anche nella dirigenza) del Liceo Righi di Roma.
Occorre dire che sono bravi: si sono organizzati, hanno scritto un manifesto, si sono vestiti sexi e sono riusciti anche a fare arrivare la foto sui giornali. Decisamente possono essere orgogliosi.
«Tutto si è scatenato perché durante un'ora di buco con un compagno stavamo facendo un balletto da postare su tik tok - racconta la ragazza -. Lei è entrata senza dire nulla. Noi ci siamo rimessi a sedere e ci siamo scusati. A quel punto mi ha accusato di mercificare il mio corpo. E poi davanti alla vicepreside - denuncia la ragazza - la professoressa ha insistito, alzandosi la maglietta e muovendosi in modo sensuale per farmi capire che non voleva darmi della prostituta, ma tutelarmi. Ma a me ha detto un'altra cosa: che stavo vendendo il mio corpo». Dice la ragazza, parlando all’Adnkronos (un'agenzia di stampa multicanale di informazione e comunicazione italiana con sede a Roma).
Probabilmente non ha avuto tanta istantanea attenzione Greta Thunberg, l’attivista svedese diventata famosa per il suo sciopero contro il cambiamento climatico al primo picchetto davanti al Parlamento del suo Paese.
La professoressa del liceo Righi di Roma, al centro delle polemiche per il commento rivolto a una studentessa, sarà sottoposta a procedimento disciplinare. Io resto perplessa: siamo al centro di polemiche inesauribili per la durata del green pass, per i “no vax” l’utilizzo degli studenti che perdono la vita mentre sono impegnati in un percorso di alternanza scuola lavoro (e tanti studenti stanno, giustamente, protestando). Se non bastasse, abbiamo i venti di guerra tra Russa ed Ucraina a tener desta l’attenzione, la difesa dell’ambiente, il nucleare, la Corte costituzionale che boccia il referendum sull'eutanasia, la mutilazione genitale femminile (MGF) che continua a imperversare, la violenza sulle donne, l’alto numero degli stupri anche in ambito scolastico, la presenza del razzismo con insinuazioni di nazifascismo…
Insomma, di motivazioni per creare manifesti, fare cortei, protestare, ce ne sarebbero davvero tante, senza tirare in ballo il preteso “sessismo” di una sola insegnante che si è espressa infelicemente in un momento già tanto difficile per la scuola dove (causa covid), si dovrebbe essere ben lieti di riprendere le attività scolastiche in presenza. Invece no.
Il sessantotto ha avuto i suoi difetti, le sue vittime, e i suoi morti. Che cosa volevamo noi sessantottini? La nostra battaglia era basata tra l’altro contro il consumismo e, fin da allora, in difesa dell'ambiente, preavvisando tanti discorsi ambientalistici divenuti oggi tema centrale nei movimenti giovanili, laddove questi ci sono. L’idea era l’attuazione di manifestazioni, sempre nonviolente, che ci permettessero visibilità. C’era comunione tra studenti e operai e, tra i tanti episodi, resta famoso quello per cui il 9 febbraio del '66, a Milano, furono arrestati due anziani tipografi e sei giovani studenti e lavoratori. L’accusa: quella di aver diffuso volantini a favore dell'obiezione di coscienza, e di incitare i militari alla disobbedienza. Senza dimenticare che fra il 1º novembre 1955 e il 30 aprile 1975 giungevano le notizie della guerra combattuta in Vietnam, dei giovani morti assurdamente. “C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” cantava Gianni Morandi, nel 1966.
Parlando di Licei, le prime scosse del terremoto studentesco ebbero come epicentro il "Parini", a Milano. Successivamente, il ruolo di guida della contestazione passò ad uno dei licei più in auge nell'ambiente borghese della capitale, situato al quartiere Prati - una delle zone più eleganti di Roma: il "Mamiani".
La storia sarebbe lunga e, forse, i nostri simpatici studenti del Liceo Righi, di Roma, farebbero bene a rileggerla, magari con l’aiuto degli insegnanti.
Questi ragazzi non fanno cortei studenteschi preoccupati per la pace nel mondo, per il consenso negato all’eutanasia, per cambiare i programmi scolastici usurati, per il rischio della guerra in Ucraina, perché contrari al nucleare, per salvaguardare la terra, per la libertà di pensiero.
NO: loro protestano perché una dei loro insegnanti si è espressa male di fronte ad una studentessa che ballava in classe, pare ripresa da un cellulare, esibendo l’addome. Si è detto tanto contro di noi sessantottini, però, scusate. ERAVAMO DI ALTRA PASTA.
Bianca Fasano.