Può un governo legittimo adottare un atto normativo di natura provvisoria (decreto legge) in contrasto con la Costituzione e con gli obblighi internazionali dell’Italia? Se un tale decreto viene convertito in legge da una maggioranza parlamentare le violazioni costituzionali e internazionali in essa contenute diventano permanenti? A chi spetta l’ultima parola in questi casi?
Questi sono gli interrogativi elementari che si pongono dopo l’approvazione del decreto sicurezza. Chiunque abbia letto un manuale di diritto costituzionale – o solo sfogliato la Costituzione – conosce la risposta. Ad avere l’ultima parola, in questi casi, sono i garanti della Costituzione. In prima battuta il Capo dello Stato, che dovrà valutare in sede di promulgazione della legge il rispetto della “superiore” legalità costituzionale, potendo in caso rinviare la legge alle Camere per chiedere una nuova deliberazione. In seconda battuta la Corte costituzionale, che, nel corso di un processo, potrà accertare la legittimità costituzionale, facendo cessare l’efficacia delle disposizioni di legge in contrasto con la Costituzione con una sentenza di accoglimento.
Sono in molti a dubitare della legittimità costituzionale e del rispetto degli obblighi internazionali del decreto sicurezza, ora convertito in legge. Non solo avvocati, magistrati, costituzionalisti, studiosi di diverse discipline o personalità politiche varie, ma anche organi dello Stato.
Sono in molti a dubitare della legittimità costituzionale e del rispetto degli obblighi internazionali del decreto sicurezza, ora convertito in legge. Non solo avvocati, magistrati, costituzionalisti, studiosi di diverse discipline o personalità politiche varie, ma anche organi dello Stato. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha formulato un parere in cui si rileva esplicitamente come la normativa appena approvata dalle Camere non sia pienamente rispettosa “degli obblighi costituzionali derivanti dagli articoli 10 e 117 della Costituzione”. Un parere approfondito e articolato, che segnala una quantità di incongruenze e pericoli nel caso la normativa dovesse essere applicata; esso dovrà essere preso in seria considerazione da tutti, dai garanti in primo luogo.
Ma forse quel che più conta è che lo stesso Presidente della Repubblica aveva ammonito il Governo e, indirettamente, il Parlamento dei rischi. Infatti, l’emanazione del decreto sicurezza, il 4 ottobre del 2018, è stata accompagnata da una lettera rivolta al Presidente del consiglio nella quale Mattarella scriveva: “avverto l’obbligo di sottolineare che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”.
Ora, in sede di promulgazione il Presidente della Repubblica dovrà valutare la sussistenza di gravi vizi di legittimità costituzionale e, nel caso, inviare un messaggio alle Camere motivando le ragioni per una nuova e diversa delibera in materia. La vera questione allora diventa la seguente.
Ci sono i presupposti per un rinvio?
La dottrina costituzionalistica, nonché i precedenti dei rinvii, non sono univoci. Il Presidente valuta caso per caso. L’elasticità dei suoi poteri, d’altronde, è considerata un modo per meglio assicurare una garanzia dinamica alla Costituzione, ovvero adeguata ai tempi e alle mutazioni del sistema politico, nonché gli permette di considerare attentamente la gravità delle lesioni (la “manifesta incostituzionalità”) degli atti compiuti degli altri organi e poteri.
In questo caso tanto il diffuso dissenso, quanto, soprattutto, i pareri espressi da organi di rilevanza costituzionale fanno ritenere che l’esame sarà approfondito e attento. Il rispetto istituzionale dovuto al CSM, che lo stesso Mattarella preside, esigono un surplus di indagine e la verifica della fondatezza delle critiche di costituzionalità espresse su un piano tecnico-giuridico e non politico.
Ma la novità più rilevante è costituita dalla lettera presidenziale che ha accompagnato l’emanazione del decreto sicurezza. Non si può credere, infatti, che essa possa cadere nel nulla: ne risentirebbe l’autorevolezza dell’istituzione presidenziale. Com’è noto il ruolo del Capo dello Stato si esercita principalmente con atti di stimolo, consiglio e intermediazione tra i poteri. Solo qualora i soggetti titolari dell’indirizzo politico (Governo e Parlamento), tanto più se sordi alle sollecitazioni presidenziali, travalicano gli obblighi che la Costituzione impone, al Capo dello Stato spetta porre in essere atti straordinari, com’è quello del rinvio delle leggi. Sembra allora un caso di scuola quello cui stiamo assistendo. Il Governo e la maggioranza parlamentare, nonostante le sollecitazioni presidenziali, non hanno avuto remore o ripensamenti, non hanno dato alcuna risposta (neppure formale) ai rilievi espressi dal Capo dello Stato. Che fossero preoccupazioni fondate è stato suffragato da tanti, s’è detto.
La virulenza con cui si è voluta imporre una decisione controversa ad un Parlamento esautorato delle sue prerogative (come ahimè è ormai abitudine), contingentando tempi, limitando la discussione, facendo prevalere la disciplina al libero mandato, non gioca a favore della promulgazione “ad ogni costo”. Neppure il timore di una reazione stizzita, com’è d’uso nella politica irriflessiva che oggi domina la scena, può far venir meno il dovere del rigoroso rispetto degli equilibri costituzionali. Qualora il Presidente della Repubblica dovesse accertare la manifesta incostituzionalità delle norme appena approvate dalle Camere, l’esito non potrebbe che essere quello del rinvio della legge, così come previsto dall’articolo 74 della Costituzione vigente. Confidiamo sul saggio apprezzamento del nostro garante.