Sciopero dei magistrati: l’intervento di Francesca Frazzi

di Francesca Frazzi - lamagistratura.it - 28/02/2025
In un contesto in cui la separazione delle carriere viene brandita come un’arma contro di noi e presentata all’elettorato come una punizione a una magistratura troppo debordante e troppo ostativa? Troppo debordante, troppo ostativa? A cosa? Al programma di governo, alla maggioranza di turno?

Sono Francesca Frazzi, magistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Roma.

Mi scuso per l’emozione. Non sono abituata a partecipare a dibattiti pubblici, né a intervenire su temi tanto cruciali.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché, in un contesto come questo, fra illustri costituzionalisti, prenda la parola un magistrato ordinario in tirocinio, un Mot. Un tempo ci chiamavano “uditori”. Il termine stesso suggerisce che in questo primo anno dovremmo ascoltare, imparare, comprendere un mondo nuovo e complesso.

Oggi però, e in questo momento storico, stare solo ad ascoltare non è proprio un’opzione.

Nessuno dei miei 598 colleghi di tirocinio è capitato qui per caso. Siamo arrivati a questo punto dopo anni di studio intenso, affrontando con disciplina e sacrificio un concorso tra i più selettivi che esistano. Molti di noi hanno sopportato insuccessi, si sono rialzati, hanno continuato a studiare mentre la vita andava avanti, i figli nascevano, i genitori si ammalavano. E, alla fine, ce l’abbiamo fatta.

Un successo, devo dire, un po’ dolceamaro.

Proprio nel momento in cui entriamo in magistratura, ad attenderci c’è una riforma costituzionale che snatura e separa quella giurisdizione unitaria di cui abbiamo tanto sognato di far parte, una riforma che rischia di minarne i principi di indipendenza e autonomia.

Dallo scorso novembre frequentiamo le settimane di formazione alla nostra Scuola superiore dove futuri giudici e futuri pm condividono lo stesso percorso, sviluppando un’unica cultura della giurisdizione. È il senso di appartenenza a un ordine comune quello che respiriamo nelle aule di Scandicci confrontandoci con colleghi di tutta Italia. La riforma però ci dice che questo senso di appartenenza dovremmo reprimerlo, perché le nostre funzioni andranno separate.

A maggio, dovremo scegliere la nostra prima sede e la funzione da svolgere. Ma per alcuni di noi quella scelta sarà già segnata dalla riforma. Ci saranno magistrati brillanti e preparatissimi che eviteranno di scegliere la funzione requirente, per non rischiare di trovarsi in un organo separato dall’ordine giudiziario, esposto all’influenza del potere esecutivo. E ci saranno colleghi che, per ragioni di graduatoria, saranno costretti a intraprendere un percorso che non rispecchia la loro vocazione, senza più la possibilità, come accade oggi, di correggere il tiro almeno una volta.

Dall’11 novembre siamo nei tribunali, affiancando i nostri affidatari con entusiasmo, impegno e dedizione. Lo facciamo perché vogliamo arrivare preparati al giorno in cui assumeremo le funzioni. Perché fra pochi mesi il nostro ruolo sarà amministrare la giustizia in nome del popolo italiano. E sappiamo che ogni nostra decisione inciderà profondamente sulla vita delle persone.

In un contesto normale, questo basterebbe a riempire i nostri pensieri. Ma noi oggi siamo costretti anche a convivere con un’altra preoccupazione.

Riusciremo a svolgere il nostro lavoro con serenità di giudizio, a tutelare in maniera adeguata i diritti dei singoli quando la riforma verrà approvata? Quando il nostro Consiglio superiore ne uscirà sdoppiato, eletto a sorteggio, delegittimato, svilito? Se, come alcuni temono, perfino l’Anm finirà per dividersi?

Riusciremo a prendere decisioni giuste nel merito, esatte tecnicamente ma che sappiamo essere sgradite, in un contesto di continui attacchi del potere politico ai magistrati come singoli e alla magistratura tutta (in ultimo, anche quella internazionale)? In un contesto di ormai perenne violenza verbale e toni esasperati che sembrano diventati l’unico modo in cui si commenta qualsiasi provvedimento emesso. In cui assistiamo alla spettacolarizzazione dei dettagli privati della vita di chi emette provvedimenti sgraditi al potere.

In un contesto in cui la separazione delle carriere viene brandita come un’arma contro di noi e presentata all’elettorato come una punizione a una magistratura troppo debordante e troppo ostativa? Troppo debordante, troppo ostativa? A cosa? Al programma di governo, alla maggioranza di turno? Noi abbiamo studiato tanti anni per tutelare i diritti delle persone, per applicare la legge uguale per tutti.

Durante la lunga malattia di mio padre ho incontrato molti medici. Ricordo bene che le peggiori decisioni di cura, o meglio dovrei di non cura, le hanno prese medici impauriti: condizionati dalle conseguenze legali di questa o quella decisione, indaffarati nelle loro strategie di medicina difensiva, avevano totalmente perso di vista l’interesse chi avevano davanti, del paziente.

Ecco perché ho deciso di parlare oggi. Perché se anche una come me, che è appena entrata in magistratura, si oppone alla riforma costituzionale, non lo fa di certo per difendere uno status quo che nemmeno conosce, ma per difendere l’indipendenza della magistratura, quel valore che assicura che nessuno mai si trovi di fronte a magistrati simili a quei medici: impauriti, condizionati, preoccupati delle conseguenze delle loro decisioni sulla loro carriera, non indipendenti.