Contro lo sciopero generale deciso da Cgil e Uil per il 16 dicembre è partita una campagna denigratoria con l’obiettivo di colpirne la credibilità. Ad esempio, Cassese si è lasciato andare ad esagerazioni perfino sulla sua legittimità. Evidentemente la decisione ha colpito nel segno, altrimenti non ci sarebbe stata questa reazione rabbiosa. In realtà, questa decisione ha il merito sindacale di dare uno sbocco al malessere del mondo del lavoro e di chi vorrebbe lavorare, delle aree sociali più colpite dalla crisi, e nello stesso tempo pone un problema politico a governo e partiti di maggioranza: pretende ascolto ed attenzione per la parte più colpita del Paese, a cui vengono chiesti oggi impegni e sacrifici per sostenere la ripresa e fare fronte alla pandemia senza ottenere risposte adeguate, tanto più in questa fase, mentre si stanno decidendo (o non decidendo) importanti provvedimenti economici e sociali.
Da mesi i sindacati faticano ad essere ascoltati, quando venivano convocati venivano illustrate decisioni già prese e solo alzando la voce hanno ottenuto modeste aperture.
Ad esempio, sulle pensioni di fronte ad un orientamento del governo che ha dichiarato che l’obiettivo era tornare alla legge Fornero si è arrivati ad una soluzione che ha limitato il danno al prossimo anno con quota 102 e prendendo impegno ad un confronto con i sindacati su tutto il sistema del pensionamento e delle pensioni. Tuttavia quota 102 è un fatto, mentre l’incontro per discutere del pianeta pensioni non è mai stato convocato, neppure a livello di esperti. Eppure a stralcio il fondo giornalisti, fortemente deficitario, è stato inserito nell’Inps senza clamore, come fu in passato per quello dei dirigenti e l’Inps ne sopporterà il peso come sta facendo con gli altri fondi.
Il governo ha deciso di togliere il blocco dei licenziamenti, deciso durante la pandemia per rendere più leggera la situazione per la parte di lavoratori più esposti ai contraccolpi della crisi causata dal Covid. Qualche flessibilità per evitare eccessi è stata ottenuta, ma entro un arco di tempo ridotto i licenziamenti sono tornati possibili e infatti diverse multinazionali che meditavano di chiudere bottega o di trasferire le loro attività in altri Paesi europei hanno messo in atto le loro decisioni di disinvestimento e di conseguenza i licenziamenti in blocco si sono moltiplicati. Con l’aggravante che spesso sono state usate modalità offensive per la dignità di chi lavora: sms, mail, mai un confronto preventivo con i sindacati. Addirittura è stato premiato lo studio legale che ha seguito i licenziamenti alla Gkn (un simbolo di resistenza positiva dei lavoratori) per avere ottenuto il risultato richiesto. È un mondo capovolto, perfino lo scrittore Lewis Carroll si stupirebbe. Era stato promesso un decreto per convincere i gruppi finanziari proprietari di queste aziende a ripensarci, minacciando di farsi restituire i fondi pubblici concessi, ma di questa proposta del governo si sono perse le tracce, mentre i lavoratori debbono affrontare subito situazioni molto difficili. I sindacati che hanno subito la decisione di una immediata apertura dei licenziamenti in cambio di una promessa che non si realizza non possono essere certo soddisfatti.
Più recentemente sulla legge di bilancio è continuata la serie delle decisioni già prese all’interno di una maggioranza rissosa, che per trovare una mediazione non lascia spazio ad una trattativa con i sindacati. Confindustria e altre associazioni imprenditoriali hanno meno problemi dei sindacati, non solo il governo è molto sensibile alle loro richieste, ma i partiti di maggioranza fanno a gara per rappresentarne le richieste, tipica la proposta di prendere i soldi del reddito di cittadinanza per darli alle imprese.
I sindacati hanno parlato di 180 miliardi che a vario titolo sono stati dati alle imprese durante la pandemia per sostenerle in questa fase difficile. Verso i lavoratori e i pensionati non è andata così. La maggioranza ha avuto tensioni a causa della destra che ha messo sotto tiro il reddito di cittadinanza. È evidente che lo scopo del reddito di cittadinanza è di garantire un reddito a sostegno di chi non ce la fa, senza dubbio occorrono controlli, ma va detto con forza che ha svolto in questa fase un ruolo importante. Si può migliorare il meccanismo del reddito di cittadinanza? Certo, ma le affermazioni ripetute di Salvini che afferma di volerlo abolire sono una follia, come sono gravi le affermazioni di Renzi che ha ventilato un referendum abrogativo.
La povertà colpisce in Italia quasi 6 milioni di persone, un’enormità, il nostro Paese è tra i pochi che prima del R.d.C. non aveva strumenti per contrastare la povertà, per garantire una dignità a quanti sono in difficoltà. Il reddito di cittadinanza è stato un provvedimento molto utile durante questa fase di pandemia per non abbandonare a sé stesse aree sociali in grandi difficoltà. Negli incontri tra sindacati e governo il pacchetto fiscale è stato presentato senza possibilità di spostarne l’equilibrio perché il peso della destra interna ed esterna al governo ha puntato alla riduzione delle aliquote come premessa alla flat tax, la loro bandiera, che sarebbe incostituzionale e socialmente regressiva, peccato che le altre componenti del governo non si siano intestate un’azione decisa di contrasto bloccando le scivolate inaccettabili presenti nel provvedimento proposto dal governo.
Il governo, anziché partire dalle aree di maggior disagio sociale, non solo quelle con redditi bassi ma anche quelle che avendo un reddito troppo basso non possono avere benefici fiscali (incapienti), ha disegnato un intervento di sgravio fiscale che dà meno a chi ha meno reddito, perfino le misure di solidarietà che Draghi era disponibile ad esaminare per venire incontro alle critiche (oggettive) dei sindacati non sono passate. I sindacati cosa avrebbero dovuto fare? Applaudire? Hanno chiesto giustamente di cambiare il provvedimento, di avere risorse aggiuntive per intervenire sui redditi bassi.
Ancora, la ripresa economica di cui giustamente si mena vanto ha caratteristiche precise, crea occupazione precaria, a termine e comunque nemmeno nelle proporzioni corrispondenti ai ritmi di crescita. In sostanza, una crescita senza occupazione e ancora di più senza qualità. Anche sul sistema pubblico ci sarebbe molto da dire visto che settori fondamentali come la ricerca, l’università, l’istruzione continuano a mantenere larghe aree di precariato e sono insufficienti i fondi per i contratti.
Sono alcuni dei punti della piattaforma di Cgil e Uil per lo sciopero, eppure ci sono commentatori che facendo a gara nella malevolenza hanno ricavato intenzioni addirittura di dare vita a partiti dei dirigenti sindacali. Un delirio.
È evidente che sono in campo scelte politiche, del resto i sindacati non potevano che chiedere politiche alternative. Quindi il sindacato, come del resto gli altri attori sociali, compie atti politici, che non dovrebbero essere confusi con la volontà di dare vita a partiti. Ce ne sono già tanti, senza grandi risultati. Questi commenti vogliono semplicemente togliere forza (sindacale) alla decisione di interrompere un percorso in cui il governo non ha mai trattato le sue decisioni con i sindacati. In questo c’è un’evidente diversità tra Ciampi e Draghi. Ciampi avviò trattative e cercò l’accordo con i sindacati, oggi non è così.
Semmai una riflessione dovrebbero farla i partiti che non appartengono alla destra, da loro ci si sarebbe aspettata la capacità di arginare lo scivolamento verso un modello economico di esasperata concorrenza tra persone (ricordate la Thatcher?), con misure fortemente sociali. Forse con un diverso atteggiamento qualche voto in più dal mondo del lavoro, che si sente abbandonato, negletto, potrebbe arrivare alle sinistre parlamentari.
Certo, è un problema che il mondo del lavoro si senta abbandonato e finisca per votare maggiormente a destra e può essere che a qualcuno l’iniziativa dei sindacati possa apparire come una sorta di supplenza di un vuoto dei partiti, ma non è così. Non solo perché i sindacati hanno le loro posizioni ben piantate nelle rivendicazioni e nella responsabilità dimostrata durante la pandemia, anche pagando prezzi pesanti come l’attacco squadrista alla sede nazionale della Cgil (il decreto di scioglimento di Forza Nuova ancora non c’è), ma soprattutto perché il vuoto politico di attenzione verso i lavoratori debbono riempirlo i partiti se vogliono contrastare l’astensione che sta pericolosamente superando la metà dell’elettorato. Nelle suppletive in cui fu eletto Gualtieri alla Camera ha partecipato il 18 % degli elettori. Il sindacato può suonare la sveglia, ma le risposte debbono venire dai partiti che sembrano non avere ancora compreso che il messaggio è rivolto a loro, soprattutto alle sinistre.
Va aggiunto che il piano straordinario di risorse (PNRR) che debbono servire a mettere l’Italia in grado di superare vecchi e nuovi limiti è in grave ritardo ed è lecito avere più di una preoccupazione sugli orientamenti di sviluppo e sulla capacità di attuazione. Manca un progetto forte, un piano, un programma, comunque lo si voglia chiamare.
Il potenziale, sommando risorse europee e aggiunta nazionale, arriva a circa 240 miliardi di euro. Si tratta di investimenti pubblici, di innovazione nel sistema produttivo, di sostegno alla qualità e al cambiamento del lavoro, di investimenti per aiutare la transizione ecologica per il clima, di iniziative per riequilibrare il rapporto tra nord e sud, perché l’Italia può uscire dalla crisi solo se utilizza tutte le risorse territoriali e occupazionali disponibili.
Il PNRR è una grande e irripetibile opportunità e tuttavia non ne sono state colte le potenzialità, anzitutto nel delineare un progetto paese, nella divisione internazionale del lavoro. L’innovazione è inevitabile, anzi necessaria per il clima anzitutto, ma creerà differenze temporali e settoriali e per realizzare i passaggi occorre preparare una robusta attrezzatura di strumenti per garantire occupazione, reddito, tranquillità nel passaggio da un’economia all’altra. Il rapporto con i sindacati è strategico.
Pensiamo all’auto. Il Ceo di Stellantis ha gelato tutti affermando che l’auto rischia 60.000 esuberi. Terrorismo, ma anche un avviso sulla durezza dello scontro in arrivo in cui ci sono imprese che si apprestano a farsi sentire con aperte minacce di licenziamenti.
Sono giustificate le preoccupazioni per quanto riguarda la transizione ecologica dell’economia che dovrebbe vedere un forte piano per le rinnovabili nel più breve tempo possibile proprio per rispondere alla speculazione dei prezzi delle energie fossili che pesano sull’economia e sulla società. Invece il ministro Cingolani si attarda a lisciare il pelo ai fautori del nucleare civile, sconfitti da ben due referendum popolari, sottovaluta le conseguenze sull’ambiente e il ritardo verso l’obiettivo di 1,5 gradi di crescita massima della temperatura mondiale. Sono pesanti i costi che deriverebbero dal rinviare ancora le misure per superare non solo il carbone ma anche l’uso del gas che libererebbe l’Italia dal ricatto dei fornitori. Energie rinnovabili e idrogeno dovrebbero essere al centro, mentre si parla solo di nucleare e di gas come vogliono gruppi economici e di potere ben decisi a ottenere fondi per lasciare tutto com’è. Così l’Italia rinuncia ad essere un paese pilota nell’innovazione, capace di programmare ed attuare la transizione dal vecchio al nuovo assetto salvaguardando l’occupazione, garantendo un suo sviluppo di qualità, con conseguenze positive sul territorio e sull’ambiente, sulla salute. Per evitare il declino e l’impazzimento del clima occorre il coraggio di scegliere e il governo questo lo fa poco e male, confidando tutto su bandi e affidamenti a grandi imprese che rischiano di ottenere le risorse per procedere alla vecchia maniera e di buttare al vento una grande e irripetibile opportunità.
Al governo questo sciopero generale potrebbe essere perfino utile, se saprà comprendere che è una pressione forte per chiedere che i lavoratori, i pensionati, i precari, le aree di povertà vengano messi realmente al centro delle sue politiche, se non si chiuderà in difesa ma capirà che lo sciopero del 16 dicembre è fondato e qualcosa deve cambiare. Se non ora quando?
Alfiero Grandi