L’ultimo rapporto di Oxfam, «Ricompensare il lavoro, non la ricchezza», è un atto d’accusa verso i governi e le élite economico-finanziarie del mondo, responsabili della gigantesca opera di redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto.
«We are the 99%», era lo slogan di Occupy Wall Street, ricordate? Oggi la nota ong inglese sugella questo dato con numeri inconfutabili, aggiungendo, peraltro, che la tendenza alla polarizzazione del reddito ha subito nell’ultimo anno una pesante accelerazione.
I numeri in sintesi.
Tra il 2016 e il 2017, l’82% dell’incremento della ricchezza mondiale ha reso ancora più ricco l’1% più ricco della popolazione. Del restante 18%, non ha visto nemmeno una briciola il 50% più povero. Scandaloso: attualmente 42 super-ricchi possiedono più di 4 miliardi di persone messe insieme.
Le donne più penalizzate degli uomini: «Negli ultimi gradini della piramide sociale troviamo spesso le lavoratrici: in tutto il mondo guadagnano meno degli uomini», si legge nel rapporto.
E l’Italia? Con il primato del più alto numero di poveri in Europa, il nostro Paese non fa, ovviamente, eccezione. Il dossier ricorda che a metà del 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il 20% seguente ne controllava il 18,8%, mentre il 60% più povero doveva accontentarsi appena del 14,8% della stessa.
E il nostro 1%? Possedeva una ricchezza 240 volte superiore a quella detenuta, nel suo insieme, dal 20% più povero della popolazione.
Di più: nel decennio 2006-2016 i redditi, già magri, del 10% più povero degli italiani ha subito un crollo del 28%, mentre quasi la metà dell’incremento di reddito registrato nello stesso periodo è stato appannaggio del 20% dei nostri paperoni. Risultato: su 28 Paesi dell’Unione, l’Italia si colloca al ventesimo posto per disuguaglianza di reddito disponibile.
Non solo numeri, però.
Il documento di Oxfam prova ad entrare nella carne viva del problema, alla radice di tanta, scandalosa, disparità di reddito (e di opportunità): «Il sistema economico attuale consente solo a una ristretta élite di accumulare enormi fortune, mentre centinaia di milioni di persone lottano per la sopravvivenza con salari da fame». Ma perché tutto questo accade? Perché può avvenire? C’è una causa, fra tutte: «La forsennata corsa alla riduzione del costo del lavoro che porta all’erosione delle retribuzioni».
E’ un problema di sistema, quello che si è imposto con la globalizzazione, che ha accentuato il suo profilo disumano negli anni a cavallo della grande crisi, per effetto della stessa e della sua gestione “politica” in chiave ordoliberista. Un sistema che comprime i diritti dei lavoratori, «limitandone il loro potere di contrattazione nel mercato globale», che crea dumping salariale nei «processi di esternalizzazione lungo le filiere globali di produzione», che spinge sulla competitività totale e la «massimizzazione degli utili d’impresa a vantaggio di emolumenti e incentivi ai top-manager», che subisce la forte «influenza dei portatori di interessi privati, capaci di condizionare le politiche pubbliche».
Tutto questo, mentre si celebra il ritorno della “crescita”. Accelera la crescita mondiale (+3,1% la previsione per il 2018), la Cina fa registrare un robusto 6,9%, l’Europa cresce più del 2%, perfino l’Italia fa la sua (piccola) parte con un incoraggiante 1,5%. Si cresce, dunque.
Ma: a fronte di una ricchezza che aumenta, i poveri diventano sempre più poveri e si allarga la forbice sociale. Evidentemente, oltre alla crescita c’è un problema di distribuzione della ricchezza prodotta.
“Crescita” è anche la parola più usata in questo inizio di campagna elettorale italiana. Si fanno confronti col passato, si azzardano paragoni con le performance di altri Paesi europei. Poco o niente si sente dire invece a proposito delle basi su cui poggia questa ripresa.
Si celebrano i fasti del nostro export, ma si omette di dire che lo stesso ha bisogno in patria di milioni di cittadini che non arrivano a fine mese. È la legge del profitto: competitività a scapito dei redditi da lavoro.
Tutto torna: è il capitalismo, bellezza!