Sapesse Contessa

di Roberto Morea - transform-italia.it - 08/12/2021
Draghi, e i suoi sostenitori che vanno, come detto, dal PD alla Lega, continuano il mantra tacheriano di taglio della spesa pubblica e “tutto il potere ai privati”

Quando CGIL e UIL hanno dichiarato lo sciopero generale tutti i mass media si sono affrettati nel definirlo incomprensibile, senza un reale motivo, dato che la manovra economica del “governo di tutti” in fondo metteva d’accordo tutti dal PD alla Lega dando qualche risposta persino alla classe media.

Un coro di plateale disapprovazione che rimanda ai tempi in cui gli operai, sudici e insanguinati, sporcavano i muri e le porte delle fabbriche occupate, per dirla con le parole del grande poeta che ci ha lasciato poche settimane fa, Paolo Pietrangeli, nella sua “Contessa”.

È infatti quasi una lesa maestà quella che la parola Sciopero Generale, quell’atto di ribellione, giusto e necessario dal punto di vista di lavoratori e lavoratrici che si sono visti erodere il potere di acquisto dei loro salari, fino a calare del 30% del valore negli ultimi 30 anni, ma inaccettabile per la “contessa” Draghi.

Eppure lo stato di permanente assuefazione al male, nell’attesa e nell’auspicio del meno peggio, sembra anche nel mondo del sindacato una regola, tanto che la tanto ricercata unità sindacale a cui lo stesso segretario generale della CGIL aveva fortemente lavorato, non tiene l’urto della scelta di campo, staccando la Cisl dalla scelta di CGIL e UIL di confermare la mobilitazione.

Eppure, al contrario delle marcette trionfali che mass media dedicano instancabilmente alla Contessa, i motivi di uno sciopero generale sembrano del tutto evidenti. I dati economici ed il Pil nazionale mostrano una ripresa produttiva robusta e persino migliore di quella prevista, il tasso di indebitamento scende, seppure di poco, la fiducia nella economia del paese cresce tanto da riposizionare al rialzo la valutazione delle istituzioni finanziarie, ma al contrario la ricaduta dei benefici effetti non arriva nelle tasche di chi ha pagato i prezzi della risalita, ma ancora una volta sulle fasce più alte di reddito.

La riforma del sistema fiscale, infatti, ancora una volta erode il mandato costituzionale della progressività della partecipazione alle spese dello Stato, togliendo ad una fascia di reddito (guarda caso tra le più alte) una percentuale maggiore.  Il tutto mentre anche a livello internazionale la questione della sostenibilità di una spesa sociale e un salario capace di sostenere in maniera degna la vita dei lavoratori e le lavoratrici, fino a porre la questione del minimo salariale a livello europeo.

Riporto qui a titolo esemplificativo le proposte che già un economista britannico, Anthony B. Atkinson, fece diversi anni fa per combattere le diseguaglianze: “Dobbiamo tornare ad una struttura di aliquote più progressiva per l’’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali crescenti per scaglioni di reddito imponibile, fino a un’aliquota massima del 65%, il tutto accompagnato da un ampliamento della base imponibile. Il governo deve introdurre l’imposta sui redditi delle persone fisiche uno sconto sui redditi da lavoro, limitato alla prima fascia di retribuzione. Eredità e donazioni inter vivos devono essere assoggettate ad un’imposta progressiva sugli introiti da capitale”.

Draghi, e i suoi sostenitori che vanno, come detto, dal PD alla Lega, continuano il mantra tacheriano di taglio della spesa pubblica e “tutto il potere ai privati”.

Contro questa dittatura ideologica, ben venga una alzata di scudi che riporti il tema del conflitto al centro del dibattito e dell’azione sindacale. Non solo per portare a casa qualche rimodulazione della fiscalità per consentire un sostegno alla spesa che le famiglie (anche se il temine è improprio e non definisce lo stato sociale di appartenenza) devono sostenere ad esempio nei confronti dei recenti aumenti di luce e gas, ma soprattutto per la ripresa di parola del mondo del Lavoro, ormai senza alcuna rappresentanza politica nel parlamento.

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