Come stiamo tornando alla normalità, finito il lock down? Mi pongo questo interrogativo, in un momento in cui incertezze di ogni tipo si susseguono. Nulla sarà più come prima. Dissero molte voci che fanno opinione. Alcune, fiduciose in un salto di civiltà in avanti, nella vita personale e collettiva. Altre voci, meno opinioniste e più fondate sulla conoscenza della storia, dissero non illudiamoci. Tutto tornerà come prima, o peggio. Non sono esperta in scongiuri e mi sono detta, ripetutamente, fra speranza e timore, staremo a vedere. Ora, finito il lock down, cosa leggo, e vedo? Fatti e parole che continuano a tenermi altalenante fra speranza e timore. Alcune speranze mi arrivano da parole di Damilano. In questo caso, mi riferisco alla politica che vedo, a chi la agisce e a come la agisce, in questo tempo. Quanto alle trasformazioni dell’immaginario collettivo, ci saranno - e quali? - ma con i tempi assai lunghi delle trasformazioni culturali e simboliche. Vorremmo cambiamenti veloci e discontinuità. Ma cultura non facit saltus dalla sera alla mattina. E’ più facile che a saltare sia un virus.
Infatti, nei comportamenti collettivi non vedo l’attenzione dovuta e la prudenza necessaria. Distanze non rispettate, assembramenti, mascherine a terra. Nel mondo politico? Propaganda, conflitti vecchia maniera, Parlamento silente, piazze evocate e frequentate, alcune, a mio avviso, con ragioni molto buone, quella di Aboubakar Soumahoro, altre parecchio cattive, quella della destra “populista”, agli antipodi di Soumahoro. Inoltre, decisioni governative che indeboliscono l’efficacia della partecipazione. In una unica giornata, il prossimo 20 settembre, sono indette le elezioni amministrative e il Referendum costituzionale. Chi intende sostenere il NO, dovrebbe fare la campagna elettorale in luglio e agosto? In una Italia di nuovo diseguale, fra chi andrà a votare solo per il Referendum e chi per i governi locali. Non sarà facile in tale contesto fare ascoltare le nostre ragioni. Ma non ci tiriamo indietro, perché abbiamo la profonda convinzione di averne molte, di ragioni, e buone. Ragioni da sottrarre all’improvvisazione e alla indifferenza. Ragioni che vengono da lontano, dalla Costituente e che, a proposito di tempi lenti, vanno continuamente e ostinatamente spiegate e difese.
Nelle ultime settimane, però, il nostro campo si è allargato. Ricordo che all’inizio del percorso parlamentare che, quasi due anni fa, ha portato alla riforma costituzionale che taglia il numero dei nostri - non dimentichiamolo, nostri - rappresentanti, le voci critiche che si levarono non furono molte. Alcuni costituzionalisti e alcune associazioni, che vedono il continuo impegno di una cittadinanza attiva costituzionalmente orientata. Quando mi avvalgo di questa espressione, mi chiedono. Cosa significa costituzionalmente orientata? Significa che le uniche modifiche che si possono introdurre in Costituzione non possono che essere un arricchimento della Carta, come è, per esempio, per la tradizione degli emendamenti negli USA. Perché la storia non è ferma, procede o arretra. Sosteniamo, almeno di questo abbiamo convinzione, quello che procede, ci apponiamo a ciò che arretra. E ridurre la centralità del Parlamento - già in atto, da tempo, per scelte politiche gravi - con una semplice sforbiciata, significa sancire con un grave vulnus simbolico il tramonto della Repubblica parlamentare, come la nostra è, per avviarci - la cosa è stata detta in modo esplicito e trasversale - verso una Repubblica presidenziale. Che, in astratto, non è il male assoluto, come può vedersi in altri contesti storici, ma lo è - tralascio il termine assoluto, che appartiene alla filosofia, più che alla storia - per l’Italia, paese di democrazia recente, con una storia repubblicana dove la Costituzione è stata applicata in modo discontinuo, e dove il valore delle Istituzioni rappresentative è da tempo declinante. La colpa è della Costituzione, o di chi ha riempito il Parlamento di figure inadeguate, deludenti, che a volte offendono il semplice buon senso, e con leggi elettorali anticostituzionali? Ma grande è anche la nostra responsabilità, quella dell’elettorato. Siamo il punto di partenza della rappresentanza, che non di rado assomiglia a noi, rappresentati. Damilano ricorda un passaggio storico, a proposito di legge elettorale, all’inizio degli anni Novanta, che mi vide, allora, della sua stessa opinione. Una legge maggioritaria con correttivo proporzionale, legge detta mattarellum, perché ispirata da Sergio Mattarella. Ci parve il possibile inizio di una nuova stagione. Le preferenze - in genere mercato indicibile - ridotte a una sola, il favorire alleanze omogenee, la possibilità, comunque, che ogni voce in Parlamento fosse rappresentata. I nostri auspici furono disillusi. Il porcellum berlusconiano poi peggiorò la legge, l’italicum, a cui ci opponemmo con un ricorso alla Corte in parte da noi vinto, fu dichiarato incostituzionale, il rosatellum egualmente lo è, con liste bloccate e rappresentanti nominati dai vertici dei partiti, ma è ancora in vigore. La speranza condivisa, in un’altra stagione, con Damilano, non esiste più. E, ora, siamo di nuovo di fronte a una riforma costituzionale che darebbe ossigeno ad un ulteriore indebolimento della rappresentanza.
Ricordo parole di due costituzionalisti con i quali abbiamo una collaborazione continua. Gaetano Azzariti ha definito questa riforma una truffa, perché promette il falso. Lo spiegò bene anche a Ravenna, in un incontro pubblico da noi tempestivamente promosso, due anni fa. Basta una sforbiciata per migliorare la politica? Sembra quasi uno spot pubblicitario. E’irricevibile. E Massimo Villone ha chiarito. Il nostro NO non è un apprezzamento per questo Parlamento, per chi vi siede. Ma per l’Istituzione Parlamento, il luogo dei rappresentanti, un luogo che va reso degno della Costituzione, e non l’inverso. Alzare il Parlamento al livello della Costituzione, questo dovrebbe essere il compito primario di una coerente politica, pur nella inevitabile pluralità. Questo è il dovere urgente, quello di non condurre la Costituzione al basso livello politico e culturale di troppi parlamentari. Che l’agire politico sia di per sé complesso, perché complessa è, sempre, la realtà, dovrebbe essere chiaro a chiunque non viva di slogan velocizzanti o di propaganda pubblicitaria. Ed è per questa consapevolezza di complessità che il laboratorio della storia, in tempi secolari, ha individuato nei parlamenti liberamente eletti il luogo dell’analisi, del confronto, del conflitto, della decisione. O vogliamo l’uomo dei pieni poteri, come Salvini chiese per sé nell’agosto scorso? La cosa fece talmente impressione che il Parlamento diede segni di vita, discusse e cambiò governo. La Costituzione funzionò, perché questo la Costituzione prevede. Che crisi parlamentari si possano risolvere in Parlamento.
Un eventuale taglio del numero dei parlamentari, a legge elettorale invariata, a regolamenti parlamentari invariati renderebbe il Parlamento non solo, come troppo spesso è stato, inadeguato o silente, ma in definitivo letargo. Non poche forze politiche sono di questo avviso e auspicano un Parlamento silenziato. Quasi tutti i partiti hanno votato la riforma costituzionale che sforbicia. Grande unità, in quest’unica questione, fra maggioranza e opposizione. Se hanno rispetto per il proprio elettorato, in particolare chi - vedi il PD, e non solo – si è opposto fino all’ultimo e ha, alla fine, ceduto, per una ragion di stato che ora qui non discuto, almeno lascino alla libera coscienza dei propri elettori la scelta definitiva. Ultima notizia. Sinistra Italiana ci ha ripensato. Ha riconosciuto l’errore compiuto e ora dice NO.
Al nostro NO, del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e dei numerosi Comitati in difesa della Costituzione attivi fin dal 2006, negli ultimi mesi si stanno aggiungendo voci autorevoli. Libertà e Giustizia, ANPI (addirittura con indicazione di voto), CGIL, che smonta tutti gli argomenti della truffa, e, recentemente, il settimanale “l’Espresso”, con analisi efficaci del direttore Damilano e con voci autorevoli che si stanno aggiungendo. Arturo Parisi, Nadia Urbinati, Massimo Cacciari. Altri seguiranno. Damilano dice. Cosa resta da fare? Mobilitare la società civile perché si impegni per il NO. Chiedo a Damilano, giornalista che stimo. Ma non vi siete accorti che già due anni fa molte associazioni della società civile si sono mobilitate, senza che nessuno le spingesse a farlo? Per quale ragione la nostra voce non arriva quasi mai a destinazione? E’, anche questo, un problema non piccolo. La nostra Costituzione ha bisogno, per vivere, di partecipazione e non solo di delega o, peggio, di astensionismo.
Quando ci esprimemmo per il NO, all’inizio i primi commenti furono. Sempre i soliti del NO. E’ una causa persa, stiano calmi. Che sia una “battaglia” – espressione che non mi piace – difficile, è più che evidente. Fare capire che non è il Parlamento come Istituzione che merita il nostro scontento, ma chi non lo prende sul serio, non sarà cosa semplice. Ma anche altre volte - nel 2016, per esempio - all’inizio le previsioni erano da plebiscito, ma all’incontrario rispetto al nostro NO. Inoltre, nel 2016, durante la campagna elettorale referendaria, per evitare equivoci non di rado abbiamo detto al presidente del Consiglio di allora, che minacciava dimissioni se non avesse vinto il suo Sì, che sbagliava. Perché il nostro NO - parlo delle nostre associazioni e dei costituzionalisti e politologi a cui facciamo rifermento - non era contro quel governo ma contro quella riforma costituzionale, anticamera del presidenzialismo. Per quanto mi riguarda - non sono in questo isolata - anche nella campagna referendaria che ci attende il mio non sarà un impegno antigovernativo ma, di nuovo, di impegno civile. E’ questo impegno che, ancora una volta, il tempo presente richiede. Ultima considerazione. Buona parte della società civile costituzionalmente orientata durante il lungo lock down non si è isolata. Ha agito, con i mezzi possibili. In qualche caso, la situazione nuova ha costretto renitenti ai nuovi efficaci mezzi di comunicazione e partecipazione salti tecnologici non ancora compiuti. Ricordo solo alcune della azioni da me condivise. Donne e uomini che ora si sono dati il nome NoiPerlaCostituzione, fra loro in rete fin dal 2006, e aderenti, oggi, al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, hanno, on line, discusso, studiato e promosso una video conferenza il 15 giugno con esperti, sul tema Salute e Costituzione. Il 2 giugno Libertà e Giustizia, con autorevoli voci, ha promosso un convegno/webinar sul tema La salute della Repubblica. Il 27 giugno il CDC dell’Emilia Romagna ha tenuto un secondo convegno/webinar sul tema Il regionalismo non solidale, che continueremo a porre in discussione, chiamando la Regione Emilia Romagna a interloquire con noi. Ora ci dedicheremo full time, con i pochi mezzi a disposizione, al nostro impegno per il NO. Che ha visto un convegno da noi promosso a Bologna il 22 febbraio scorso, prima del lock down. Date che testimoniano che il nostro doveroso impegno di partecipazione era vivo prima del virus, durante il virus, ed oggi, ad epidemia, forse, rallentata.
Quante gambe deve avere il tavolo della politica? Solo due, Istituzioni e Partiti? Troppo pochi. Almeno quattro. Da aggiungere l’associazionismo di varia ispirazione e la cittadinanza partecipe per il comune destino e non solo per i legittimi corporativi interessi. Così dice la Costituzione. Marco Damilano ha recentemente pubblicato un libro che consiglio e che ha ingrandito la mia stima per lui. Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia. Un atomo che resta isolato non può fare miracoli. Ma la politica è finita? Lo sarà se il tavolo non avrà quattro gambe stabili. Ma con solo due gambe, una delle quali - le Istituzioni - indebolita, il tavolo non regge. Già ora sta traballando, molto.
Maria Paola Patuelli