La scelta dell’Espresso si affianca ai comitati per il No e in particolare a quella del “Comitato per il No al taglio del parlamento”, costituito per iniziativa del Cdc, con motivazioni che vale la pena di sottolineare perché rappresentano una posizione politica di rilevo, in cui troviamo importanti conferme.
Anzitutto la definizione del quadro.
Come il nostro Comitato per il No, Marco Damilano esprime preoccupazione per una modifica della Costituzione che, se confermata dalla vittoria del Si, porterebbe un ulteriore colpo alla delegittimazione del ruolo del parlamento, già fortemente indebolito da anni di esautorazione e di sistemi elettorali che hanno sottratto di fatto la scelta dei parlamentari, che invece dovrebbero rappresentare i cittadini, agli elettori, e di fatto l’hanno consegnata nelle mani dei capi partito. La prima domanda a cui rispondere infatti è questa: il taglio del 36,5 % dei parlamentari rafforza o indebolisce il parlamento? È del tutto evidente che lo indebolirebbe perché è motivato solo con un ridicolo risparmio che Di Maio ha dovuto moltiplicare per 10 anni e arrotondare verso l’alto per dargli un minimo di consistenza. A fronte di manovre, già decise, per affrontare le conseguenze della pandemia e della crisi occupazionale ed economica che muovono 80 miliardi di euro, più un’altra di cui si parla che porterebbe il totale ad almeno 100 miliardi annui. Per questo il presunto risparmio di 40 milioni l’anno dai taglio dei parlamentari è semplicemente ridicolo.
Non è necessario scomodare il principio che i costi della democrazia non si possono mettere tra quelli comprimibili perché così si finirebbe con il comprimere la democrazia stessa, è sufficiente ricordare la sproporzione enorme tra il risparmio che verrebbe dalla conferma dei tagli e le risorse necessarie oggi per affrontare la crisi che richiedono scelte coraggiose ed importanti, a cui non a caso deve partecipare anche l’Unione europea. Del resto il M5Stelle che sta spingendo in ogni modo per arrivare all’approvazione di questa assurda modifica della Costituzione deve ancora spiegare come mai un autorevole esponente del movimento come Casaleggio jr. abbia previsto che il parlamento non servirà più nell’arco di un paio di decenni, sollevando legittimi sospetti sul vero obiettivo di questo taglio del parlamento. Forse si pensa di riassumere tutto nella piattaforma Rousseau? Sulla cui trasparenza è legittimo avere dubbi radicali, inaugurando una fase di occupazione del potere non più da parte di uno o più partiti come in passato, che pure era un serio problema, ma addirittura da una piattaforma informatica incontrollabile. Senza trascurare che i partiti in grado di eleggere parlamentari in futuro sarebbero 3 o 4, tagliando fuori tutto il resto.
Meno parlamentari farebbero funzionare meglio il parlamento? No. Per di più sarebbe necessario modificare i regolamenti parlamentari, il numero e la composizione delle commissioni, il funzionamento legislativo. In particolare al Senato ci sarebbe il serio rischio che una sola persona possa essere l’ago della bilancia in molte situazioni, dato il numero ristretto dei componenti con la conseguente permeabilità alle lobbies. Ma l’aspetto più rilevante, strutturale, come ha scritto Damilano nell’editoriale, sarebbe introdurre una modifica radicale e permanente dei rapporti tra legislativo (il parlamento) ed esecutivo (il governo) che già oggi è cambiato a favore del governo, al punto che tra decreti legge, voti di fiducia, e ora anche i Dpcm del Presidente del Consiglio su delega in bianco del parlamento, come è avvenuto nel recente periodo del lockdown.
Cambiare il rapporto tra i poteri cambia la natura della nostra democrazia, ereditata dalla Resistenza, con la conseguenza che la stessa futura elezione del Presidente della Repubblica potrebbe essere pesantemente influenzata dal nuovo quadro istituzionale: più potere ai delegati regionali, proporzionalmente più forti, pochi partiti in parlamento a decidere le scelte. Cambiare il ruolo del Presidente della Repubblica vorrebbe dire modificare di conseguenza la composizione del Consiglio superiore della Magistratura e di altri organi che compongono il ruolo di garanzia del Presidente. Un parlamento asservito al governo e dipendente dai capi partito sarebbe un passo indietro della nostra democrazia, la capacità dei cittadini di essere rappresentati subirebbe un colpo.
È comprensibile che la destra cavalchi questa fase per tentare di affermare un suo antico obiettivo come il presidenzialismo, con una spinta alla personalizzazione. La destra vede l’obiettivo come possibile. Non a caso Meloni e Salvini hanno raggiunto un accordo: più poteri alle Regioni, come vogliono gli umori quasi secessionisti che percorrono la Lega, richiesti da Salvini, e Presidente della Repubblica eletto direttamente, quindi non più garante e punto di equilibrio costituzionale, ma capo della fazione elettorale vincente, come ha preteso Giorgia Meloni, che non a caso sta raccogliendo le firme su questa proposta.
L’unica variazione possibile in questo schema è tra uomo forte e donna forte.
Le altre forze politiche che compongono la maggioranza del Conte 2 sembrano statue di sale in mezzo al fervore della destra e dei populisti. Queste forze politiche hanno votato contro per tre volte al taglio del parlamento, nella quarta votazione hanno capovolto la posizione e votato a favore sull’altare della formazione del governo, dimenticando che Costituzione e programmi di governo dovrebbero restare ben distinti e separati. Per giustificare il voltafaccia non hanno trovato di meglio che prendere altri impegni di modifiche costituzionali, di cui per di più si è persa traccia, e una modifica della legge elettorale su cui per ora l’accordo non c’è e per quanto si sa prevede soglie di sbarramento talmente alte da inibire la rappresentanza di intere parti del paese.
Se la destra cavalca il populismo e ne contende gli obiettivi al M5S, a sinistra purtroppo c’è un di più di opportunismo nelle posizioni dei partiti rappresentati in parlamento che rende scelta obbligata il fatto che le energie sociali, intellettuali, morali e politiche che restano fedeli ai principi di fondo della nostra Costituzione guidino senza timore una battaglia di libertà contro il taglio del parlamento. Scrive Damilano: oggi in alto ci sono gli stessi che invocavano le forbici contro la casta (aggiungo io, con manifestazioni ridicole come il taglio del parlamento di fronte a Montecitorio), il Pd si sente obbligato a tenere in piedi una maggioranza di governo con il M5S, continua Damilano, resta la possibilità di mobilitare una società civile che non si fa prendere in giro.
Conclude Damilano con un’espressione forte: il parlamento va protetto anche dai suoi inquilini, attuali e passati, perché altrimenti di gioco in gioco vien giù la democrazia. Per questo serve il No, per ricucire. Potrei sottoscrivere.
Ben arrivati sulla sponda del No, il comitato per il No condivide queste affermazioni e si sente più forte in questa battaglia difficile ma non impossibile.