Su Repubblica dell’11 agosto è comparso un articolo dei due noti economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, nel quale i due autori intenderebbero smontare una per una le argomentazioni portate da chi intende votare No al referendum sul taglio dei parlamentari. Gli argomenti definiti “pretestuosi” sono riassunti in cinque punti. Vediamoli. Il primo riguarda il tema del risparmio.
Secondo Boeri e Perotti l’argomento che i risparmi sono minimi non tiene, perché quello che conta è il valore simbolico. Ma essi stessi scrivono la diminuzione di spesa che si otterrebbe “è un’inezia rispetto ad un debito pubblico di oltre 2500 miliardi”. Ma se tale è, visto che si tratta dello 0,007 del bilancio, un euro e 35 centesimi all’anno per cittadino, l’unico valore simbolico è quello di una tazzina di caffè. In pratica i due autori liquidano da soli la loro contro argomentazione.
Veniamo al secondo punto. Boeri e Perotti sostengono che si direbbe il falso quando si sottolinea la diminuzione del rapporto fra eletti e popolazione. Avanzano altre cifre che sono però contraddette dai calcoli fatti nel dossier del servizio studi del Parlamento che ha accompagnato la discussione sulla proposta di legge ora oggetto del referendum. Da questi risulta che attualmente il numero di abitanti per deputato in Italia (la cui popolazione è pari a 60.483.973) è di 96.006. Se vincesse il Sì diventerebbe di uno ogni 151.210, ovvero l’Italia si collocherebbe così all’ultimo posto tra i paesi della Ue. Si tratta infatti di una differenza assai consistente, che aumenta la distanza tra gli eletti, i cittadini e il territorio.
Sul terzo argomento i nostri sorvolano: “questa è una riforma populista?” si chiedono, “può darsi” rispondono, ma il voto deve essere basato sui contenuti non su chi li propone. A parte che tra contenuti e proponenti c’è un evidente rapporto e il populismo è il cemento che li unifica, le argomentazioni del No si basano proprio sui contenuti della proposta e sulle conseguenze per la nostra democrazia.
Il quarto punto vorrebbe rispondere all’obiezione avanzata dal No, secondo cui sarebbero i segretari dei partiti a decidere gli eligendi e gli eletti. Per Boeri e Perotti l’obiezione sarebbe illogica perché “il problema è nelle liste bloccate”. Qui siamo d’accordo, ma non siamo noi che manchiamo di logica. Infatti si sarebbe dovuto dare vita ad una legge elettorale costituzionale e proporzionale, con possibilità di scelta tra i candidati da parte dei cittadini – il che non si è fatto – anziché procedere nel taglio dei parlamentari.
La quinta obiezione riguarda obiettivamente un tema minore ma non trascurabile: il ridisegno dei collegi elettorali, un passaggio comunque necessario se dovesse vincere il Sì. E qui arriviamo infine all’argomento principe dei due autori: “le assemblee troppo grandi, non funzionano bene”, come se non sapessero che il lavoro parlamentare non si svolge solo nell’aula plenaria, ma anche nelle commissioni ordinarie (14 per ogni camera), in quelle speciali, nelle giunte. Diminuendo di più di un terzo i membri del parlamento si metterebbero nelle mani di pochi e di pochi partiti decisioni che riguardano tutti.
Ma qui i nostri economisti calano l’asso di cuori. Dicono: guardate il Senato americano, in cento rappresentano un paese con più di cinque volte la nostra popolazione. Ma, a parte che gli Usa sono uno stato federale, tutti sanno che nel Senato americano sono rappresentati gli Stati secondo un principio di uguaglianza, due senatori per Stato, per cui ad esempio i 20 stati più piccoli con i loro quaranta senatori possono bloccare decisioni pur avendo una popolazione complessiva inferiore a quella della sola California che dispone di solo due senatori.
Questo sì mi pare un paragone del tutto illogico. Resta da domandarsi cosa ha spinto i due noti economisti a scrivere un simile articolo. Il fine è bloccare la crescente critica verso il taglio del parlamento, aggravato dalla mancanza dei promessi pesi e contrappesi, che oramai si manifesta anche tra le firme più autorevoli di Repubblica. Ma se le argomentazioni sono queste dubito che ci riusciranno.