Perché il No darebbe una spinta alle riforme

di Massimo Villone - Il Manifesto - 17/09/2020
Referendum. Si può anche affermare che dopo il referendum si dovrà ripartire. Ma in ogni caso va sottolineato a chi pensa di dover ripartire che un parlamento tagliato determina condizioni certamente peggiori per la ripartenza

Tre autorevoli voci della sinistra Azzariti-Boccia-Ippolito svolgono una riflessione sulla nostra democrazia sofferente. Percorrono vie da tempo ampiamente battute anche da me, con posizioni che condivido in larga misura. Salvo che per un silenzio omissivo. Nel referendum sul taglio del parlamento si vota Sì o No?
Un’omissione non da poco, posto che il referendum è un momento che chiama forzosamente alla scelta tra opzioni nette. Ancor più se è un referendum senza quorum, in cui non ci si sottrae alla scelta e dunque non è dato cancellare dalla propria analisi la valutazione dell’impatto di un esito positivo o al contrario negativo del voto popolare. Impatto da valutare soprattutto quando la scelta incide su un’istituzione che nel dopo voto si assume centrale. In tal caso è davvero debole l’argomentazione costruita sulla formula “qualunque sia l’esito”.

Dell’ossessione per la governabilità si è scritto a iosa su queste pagine, da parte mia e di altri. Così anche per la necessità di tornare a un proporzionale che renda le assemblee elettive specchio effettivo e non caricaturale del paese; di ridare ai rappresentati la scelta dei rappresentanti; di riparare il danno prodotto dalla marginalizzazione del parlamento attraverso la concertazione tra esecutivi in sedi improprie come la conferenza stato-regioni, strumento principe dell’aumento esponenziale delle diseguaglianze territoriali, economiche e sociali; di ricostruire i partiti politici – anche disciplinandoli con legge – come strumento essenziale per la partecipazione democratica e la vitalità delle istituzioni. Da questi fondamenti, e da altri ancora, il No referendario viene come esito fisiologico e ineludibile, non frutto di improvvida drammatizzazione.

È ovvio e condivisibile che si impone un vasto programma di ricostruzione del sistema politico e delle istituzioni, per l’attuazione della Costituzione e il recupero delle garanzie per l’eguaglianza e i diritti. La domanda è: il taglio del parlamento aiuta o reca danno in vista di tale programma? Sarà più o meno facile dopo il taglio rilanciare “la battaglia per una democrazia costituzionale pluralista e conflittuale, che ponga al centro del sistema l’organo della rappresentanza politica e i soggetti del pluralismo”? O assicurare Il pluralismo politico “di chi oggi non trova rappresentanza alcuna, né nelle istituzioni né nelle formazioni politiche”? O affrontare “le grandi e reali questioni che hanno ridotto il Parlamento a zerbino del Governo” fin qui inevase? O approvare modifiche dei regolamenti parlamentari “in grado di assicurare un vero dibattito tra le forze politiche presenti in Parlamento e garantire un’effettiva autonomia dell’attività parlamentare dal Governo”?

Con il taglio l’ampia ricostruzione richiesta diventa più difficile, se non impossibile. Tra l’altro, proprio la sua vastità rende probabile che rimanga affidata non a questo parlamento, ma al prossimo, giàtagliato nel caso di vittoria del Sì. Nessuno può oggi dire quali saranno gli equilibri e le voci politiche presenti nelle future assemblee. Assumere che siano favorevoli – o dopo il taglio addirittura più favorevoli – agli obiettivi prima indicati sembra davvero incauto.

D’altronde, nemmeno possiamo pensare che il problema sia affrontato e risolto dal parlamento in carica e dall’attuale maggioranza, in quel che rimane – poco o molto che sia – della legislatura.
Con la delegittimazione sostanziale comunque derivante dalla vittoria del Sì, e nel contesto difficilissimo determinato dalla crisi Covid, da dove verrebbe la forza o la voglia di realizzare così ampie e impegnative innovazioni? Sopperirebbe forse a tutto il dibattito culturale – pur apprezzabilissimo – nei pensatoi della sinistra? Non basterebbe da solo. Mentre potrebbe invece trarre forza proprio da una vittoria del No.
Grandi organizzazioni come l’Anpi o l’Arci si sono espresse per il No.

È un’indicazione di voto che non guarda al passato, che pure molti di noi ritengono glorioso. Guarda al futuro. Si può anche affermare che dopo il referendum si dovrà ripartire. Forse non deve ripartire chi non si è mai fermato. Ma in ogni caso va sottolineato a chi pensa di dover ripartire che un parlamento tagliato determina condizioni certamente peggiori per la ripartenza.
E allora, senza incertezze o ambiguità, bisogna votare No. E bisogna dirlo.

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