Ormai manca meno di un mese, il 20 e 21 settembre saremo chiamati alle urne per approvare o respingere la riforma che modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione al fine di ridurre il numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera dei Deputati, da 315 a 200 al Senato.
Non dimentichiamo che nell’ultima votazione alla Camera l’8 ottobre 2019 la riforma fu approvata quasi all’unanimità in quanto tutti i partiti si espressero a favore, salvo dissensi individuali.
Il giorno dell’approvazione dinanzi alla Camera fu inscenata una manifestazione durante la quale il capo politico dei 5 Stelle, con delle forbici enormi tagliò platealmente una striscia di poltrone di cartone fra il tripudio generale, com’era avvenuto un anno prima quando lo stesso personaggio aveva annunciato l’abolizione della povertà.
Non v’è dubbio che all’epoca la riforma godeva di una grande popolarità poiché dava l’impressione al cittadino comune di aver messo a segno un risultato importante tagliando le poltrone alla casta. Una popolarità che i partiti, che pure nelle precedenti votazioni avevano votato contro, non avevano voluto sfidare, al punto che la stessa richiesta di sottoporre la riforma al referendum popolare appariva come una sfida al buon senso.
Il referendum fu fissato dal governo a tambur battente per il 29 marzo 2020 per evitare che il passare del tempo potesse smorzare l’onda del consenso che aveva cominciato ad affievolirsi, senonchè l’emergenza generata dalla pandemia ha scombinato questi piani.
Il disastro sanitario, economico, politico e sociale provocato dalla pandemia ci ha posto di fronte a problemi drammatici a fronte dei quali emerge tutta la vacuità di una politica che, invece di affrontare i problemi ed i bisogni reali della gente, ha cavalcato il disagio sociale per costruirsi un consenso fondato sulle illusioni dell’antipolitica.
Questa politica ha creato l’illusione che il disagio sociale sia frutto dei privilegi della casta, che dimezzare le pensioni dei parlamentari sia stato un grande successo popolare, che la nostra vita si possa migliorare discriminando gli immigrati o altre categorie di soggetti deboli, che il disagio politico che nasce dal vuoto della rappresentanza sia colpa delle istituzioni politiche rappresentative, che quindi devono essere ridimensionate, a cominciare dal Parlamento.
La riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari è il frutto più significativo di questa politica di diseducazione di massa. Quando le illusioni guidano la politica non c’è salvezza, basti pensare al disastro creato un secolo fa dal mito della “vittoria mutilata”, che provocò l’avvento del fascismo.
Adesso è giunto il tempo delle scelte ed è giunto il tempo di fare i conti con la realtà.
Dobbiamo chiederci: avere meno rappresentanti ci consentirà di far sentire meglio la nostra voce quando chiederemo giustizia sociale, investimenti, distribuzione equa delle risorse, un lavoro e una vita decente per tutti?
E’ vero che è profondamente radicato un sentimento antipolitico, che certamente non è ingiustificato, ma è una grande menzogna che col taglio del Parlamento si punisca la casta. Rimpicciolendo il Parlamento la casta diventerà ancora più oligarchica e per i cittadini sarà ancora più difficile essere rappresentati.
Il taglio dei parlamentari sommato alle norme elettorali in vigore apre una ferita nella capacità di rappresentare i cittadini, i territori, le posizioni politiche esistenti nel paese. Soprattutto al Senato dove verrà eletto un senatore ogni 302.420 abitanti, ma per i 74 collegi uninominali (a fronte degli attuali 116), il rapporto sarà di un senatore ogni 803.158 abitanti (per fare un esempio in una Regione come la Calabria con una popolazione di 1.959.000 abitanti sono previsti solo 2 collegi uninominali, a fronte dei 4 attuali).
Ormai manca meno di un mese, il 20 e 21 settembre saremo chiamati alle urne per approvare o respingere la riforma che modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione al fine di ridurre il numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera dei Deputati, da 315 a 200 al Senato.
Non dimentichiamo che nell’ultima votazione alla Camera l’8 ottobre 2019 la riforma fu approvata quasi all’unanimità in quanto tutti i partiti si espressero a favore, salvo dissensi individuali.
Il giorno dell’approvazione dinanzi alla Camera fu inscenata una manifestazione durante la quale il capo politico dei 5 Stelle, con delle forbici enormi tagliò platealmente una striscia di poltrone di cartone fra il tripudio generale, com’era avvenuto un anno prima quando lo stesso personaggio aveva annunciato l’abolizione della povertà.
Non v’è dubbio che all’epoca la riforma godeva di una grande popolarità poiché dava l’impressione al cittadino comune di aver messo a segno un risultato importante tagliando le poltrone alla casta. Una popolarità che i partiti, che pure nelle precedenti votazioni avevano votato contro, non avevano voluto sfidare, al punto che la stessa richiesta di sottoporre la riforma al referendum popolare appariva come una sfida al buon senso.
Il referendum fu fissato dal governo a tambur battente per il 29 marzo 2020 per evitare che il passare del tempo potesse smorzare l’onda del consenso che aveva cominciato ad affievolirsi, senonchè l’emergenza generata dalla pandemia ha scombinato questi piani.
Il disastro sanitario, economico, politico e sociale provocato dalla pandemia ci ha posto di fronte a problemi drammatici a fronte dei quali emerge tutta la vacuità di una politica che, invece di affrontare i problemi ed i bisogni reali della gente, ha cavalcato il disagio sociale per costruirsi un consenso fondato sulle illusioni dell’antipolitica.
Questa politica ha creato l’illusione che il disagio sociale sia frutto dei privilegi della casta, che dimezzare le pensioni dei parlamentari sia stato un grande successo popolare, che la nostra vita si possa migliorare discriminando gli immigrati o altre categorie di soggetti deboli, che il disagio politico che nasce dal vuoto della rappresentanza sia colpa delle istituzioni politiche rappresentative, che quindi devono essere ridimensionate, a cominciare dal Parlamento.
La riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari è il frutto più significativo di questa politica di diseducazione di massa. Quando le illusioni guidano la politica non c’è salvezza, basti pensare al disastro creato un secolo fa dal mito della “vittoria mutilata”, che provocò l’avvento del fascismo.
Adesso è giunto il tempo delle scelte ed è giunto il tempo di fare i conti con la realtà.
Dobbiamo chiederci: avere meno rappresentanti ci consentirà di far sentire meglio la nostra voce quando chiederemo giustizia sociale, investimenti, distribuzione equa delle risorse, un lavoro e una vita decente per tutti?
E’ vero che è profondamente radicato un sentimento antipolitico, che certamente non è ingiustificato, ma è una grande menzogna che col taglio del Parlamento si punisca la casta. Rimpicciolendo il Parlamento la casta diventerà ancora più oligarchica e per i cittadini sarà ancora più difficile essere rappresentati.
Il taglio dei parlamentari sommato alle norme elettorali in vigore apre una ferita nella capacità di rappresentare i cittadini, i territori, le posizioni politiche esistenti nel paese. Soprattutto al Senato dove verrà eletto un senatore ogni 302.420 abitanti, ma per i 74 collegi uninominali (a fronte degli attuali 116), il rapporto sarà di un senatore ogni 803.158 abitanti (per fare un esempio in una Regione come la Calabria con una popolazione di 1.959.000 abitanti sono previsti solo 2 collegi uninominali, a fronte dei 4 attuali).
Che vantaggio ne trarranno i cittadini italiani?
Il referendum è il momento della verità, abbiamo l’occasione con il nostro voto di far crollare questo castello di illusioni e di costringere la politica a confrontarsi con la realtà dei nostri bisogni.
A differenza delle votazioni politiche nelle quali milioni di voti possono andare perduti, nel referendum costituzionale, ogni voto vale, ogni voto può fare la differenza ed ogni voto è importante perché il cittadino elettore con il suo voto diviene legislatore costituzionale: scrive la Costituzione.
Impegniamoci tutti perché venga scritta una pagina di verità.