Più passano i giorni e più si comprendono le ragioni per cui il referendum è stato inizialmente fissato a tempo di record (https://volerelaluna.it/politica/2020/01/31/il-referendum-sulla-riduzione-dei-parlamentari-e-la-fretta-del-governo/) e poi, dopo l’inevitabile rinvio per Coronavirus, accorpato con le elezioni regionali. Entrando nel vivo, infatti, si tocca con mano che, in presenza di un confronto reale nel merito, gli orientamenti cambiano. Il NO resta un’opzione in salita ma lo schieramento del SÌ, fino a ieri esteso a tutte le forze politiche (di maggioranza e di opposizione), mostra oggi crepe evidenti e, soprattutto, perde terreno tra le grandi forze sociali (è significativo che si siano pronunciare per il NO organizzazioni come l’ANPI e l’ARCI e che un orientamento simile sembri prevalere, pur senza indicazioni di voto, nella stessa elefantiaca CGIL), nel mondo della cultura e, soprattutto, tra i cittadini (come si vede dagli interventi sui social). C’è poco (pochissimo) tempo per un recupero ma i giochi non sono ancora definitivamente fatti.
Proviamo, dunque, ad approfondire le ragioni del NO. Non mi soffermo su quelle giuridiche e costituzionali, già illustrate su queste pagine (cfr. per tutti, https://volerelaluna.it/wp-content/uploads/2020/07/talpa-referendum.pdf e https://volerelaluna.it/referendum/2020/08/24/referendum-perche-no/), e mi limito a un cenno su argomenti tanto gridati quanto secondari o addirittura regressivi, come i decantati risparmi per lo Stato e l’eccesso dei nostri parlamentari rispetto a quelli di altri Paesi. I risparmi, infatti, sono infinitesimali e, ancor più, non sono un metro di valutazione adeguato per modifiche di sistema: tagliando sanità e istruzione si è certo risparmiato (e ben di più) ma con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti… Quanto al numero dei parlamentari, poi, il raffronto smentisce l’esistenza di significativi surplus nel nostro Paese ma, soprattutto, l’analisi comparativa, sempre scivolosa, diventa inutile o addirittura fuorviante quando si sofferma su aspetti specifici senza considerare l’intero sistema.
Meglio soffermarsi su alcuni degli argomenti addotti dai fautori del SÌ.
1.
L’argomento politico prevalente a sostegno della riduzione dei parlamentari sta nella reazione alla qualità della rappresentanza (che è eufemistico definire modesta) e allo strapotere di partiti politici onnivori che ha trasformato il Parlamento in un’assemblea di nominati anziché di eletti (essendo stati i cittadini privati di ogni reale possibilità di scelta). La sintesi è, sui social: «Basta con Razzi e Scilipoti!». Difficile non essere d’accordo sulla descrizione della realtà. Ma ciò non significa che lo sfoltimento del Parlamento sia uno strumento idoneo a risolvere (anche solo in parte) il problema. In forza di quale virtuoso meccanismo, infatti, la riduzione dei parlamentari ne provocherebbe in modo automatico un miglioramento qualitativo arginando per di più lo strapotere dei partiti? Nessuno lo ha spiegato e un approccio razionale induce, casomai, a ritenere il contrario ché la riduzione dei “posti” disponibili alimenterebbe lotte intestine per accaparrarseli, a tutto discapito della qualità e del ricambio. Non solo ma il numero ridotto dei parlamentari avrebbe come corollario inevitabile l’accesso al Parlamento di soli quattro o cinque partiti con esclusione delle minoranze politiche e territoriali (soprattutto al Senato: cfr. https://volerelaluna.it/referendum/2020/08/24/referendum-perche-no/, punti 5 e 6). Come ciò possa essere fonte di maggior partecipazione e di vicinanza tra cittadini e rappresentanti a scapito dei potentati e degli apparati burocratici è semplicemente misterioso (cfr. https://volerelaluna.it/referendum/2020/08/31/referendum-razionalmente-no/). Affermarlo è piuttosto, a ben guardare, una contraddizione in termini. L’imperativo – condivisibile e condiviso – di una crescita qualitativa della classe politica si può raggiungere solo con profondi cambiamenti culturali, non con operazioni di ingegneria costituzionale che rischiano di produrre l’effetto opposto.
2.
L’evidente inconsistenza del primo argomento induce alcuni sostenitori del SÌ a una vera e propria acrobazia logica. «La riduzione del numero dei parlamentari – si dice, infatti – obbligherà finalmente Governo e Parlamento a mettere mano alla legge elettorale vigente, vergognosa perché produce “nominati” a centinaia» (così tra i molti Gian Giacomo Migone in risposta a una “dichiarazione di voto” di Guido Bodrato: entrambe in queste pagine, https://volerelaluna.it/rimbalzi/2020/08/19/perche-nel-referendum-votero-no-e-sul-pd/). Ancora una volta si confonde la realtà con i propri desiderata. È vero, l’attuale legge elettorale è impresentabile e produce gli effetti negativi denunciati e molti altri ancora. Ma perché mai la riduzione dei numero dei parlamentari ne favorirebbe il cambiamento (anzi – ça va sans dire – un cambiamento in meglio)? Non perché, in difetto, il sistema resterebbe paralizzato ché, con l’attuale Rosatellum, esso funzionerebbe comunque: male, anzi malissimo, ma funzionerebbe, come spiega Valerio Onida, autorevole costituzionalista per il SÌ (https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/08/24/news/referendum_onida_-265401268/). Dunque, in caso di conferma del taglio dei parlamentari, una nuova legge elettorale non sarà una necessità ma un scelta: possibile certo, ma tutta da verificare e legata, comunque, ai futuri equilibri politici. E qui iniziano i problemi. Due su tutti.
Primo. L’accordo per il cambiamento sottoscritto all’atto della formazione dell’attuale Governo non ha avuto, in oltre un anno, alcun seguito, a dimostrazione che non v’è, sul punto, comunanza di vedute tra le forze di maggioranza. Può darsi – anche se è difficile – che ci sia, prima del 20 settembre, un qualche voto in commissione, ma ciò non modificherebbe il quadro politico e non darebbe alcuna garanzia sui successivi passaggi parlamentari.
Secondo. Anche nel caso in cui si riuscisse ad arrivare a una nuova legge ne è, ad oggi, del tutto incerto il segno. Sarà un sistema proporzionale puro o un sistema proporzionale corretto? E, nel caso, con quale soglia di sbarramento e con la previsione di preferenze oppure no? O, ancora, sarà un semplice correttivo per eliminare alcune incongruenze della legge vigente, in particolare nel voto per il Senato?
Evidente la diversità di tali sistemi e dei loro effetti. Eppure l’incertezza regna sovrana, ché Italia Viva contesta esplicitamente l’accordo raggiunto, molti padri nobili e meno nobili del PD continuano a proclamare la “vocazione maggioritaria” del partito e nessuno si sbilancia sul tema della reintroduzione delle preferenze (cioè della restituzione ai cittadini della possibilità di scegliere i propri rappresentanti). In questo contesto affermare che la vittoria del SÌ produrrebbe una legge elettorale proporzionale e la sottrazione agli apparati dei partiti degli attuali poteri di condizionamento e di controllo è, a dir poco, un azzardo.
3.
Ma – dicono altri – è improprio fermarsi sui tecnicismi perché la posta in gioco è tutta politica e sta nella necessità di dare una salutare spallata all’attuale sistema, sempre più insostenibile. L’argomento, a forza di sentirlo ripetere, sembra dotato di qualche fondamento. Ma così non è. Anzi, v’è, in esso, un che di grottesco. Basta guardare i fatti. Il taglio dei parlamentari è stato approvato, nell’ultima lettura, da tutte le maggiori forze politiche e tuttora – come si è detto – la nomenclatura dei partiti è schierata per il SÌ. Come si fa a dire credibilmente che, votando come chiedono i leader e i beneficiari dell’attuale sistema, lo si destabilizza e indebolisce? Ciò avrebbe una sua plausibilità solo se quei leader e comprimari, folgorati come Paolo sulla via di Damasco, si fossero accordati per abbattere i propri privilegi e il proprio potere: ipotesi possibile ma non esattamente probabile… In realtà è evidente che, votando SÌ (come richiesto sia dalla maggioranza che dall’opposizione, con poche eccezioni individuali), si blinda ulteriormente il sistema e si rafforza il potere degli apparati (che sarebbe, casomai, smentito e messo in crisi dalla vittoria dei NO).
4.
Ci sono infine – soprattutto nel PD e nei suoi sostenitori – alcuni atteggiamenti tattici, disinteressati ai contenuti e conditi di calcoli e di previsioni in una partita politica assimilata al gioco degli scacchi. Dicono i tattici (almeno quelli dello schieramento governativo) che la vittoria del SÌ rafforzerebbe il Governo, mentre quella del NO segnerebbe una sconfitta epocale del Movimento 5Stelle e provocherebbe la crisi del Governo e la consegna del Paese alle destre. C’è da non crederci. La sinistra è morta di tattica ma i suoi eredi insistono. Eppure dovrebbero aver imparato a proprie spese che la politica è forte e credibile solo se intessuta di valori e che le situazioni reali sono sempre diverse da quelle studiate a tavolino. E ciò anche a prescindere dal fatto che la vicenda degli ultimi anni del Movimento 5Stelle è una vicenda di sconfitte in tutti i maggiori temi identitari (basti pensare alle grandi opere) metabolizzate rapidamente e senza sconquassi…
Il taglio dei parlamentari e il conseguente referendum non hanno la portata dirompente di precedenti tentativi di riforma costituzionale ma se questi sono gli argomenti del SÌ è quantomeno prudente respingerli.