“Non si misurano le istituzioni in base ai costi perché un Paese che vuole delle istituzioni efficienti deve misurare i costi in ragione della funzione politica che vuole assegnare alle istituzioni e non certo in ragione di un risparmio economico. La questione del costo poi è risibile perché con questa riforma ogni cittadino risparmierà meno di una tazzina di caffè all’anno”. Dice Massimo Villone, senatore per quattro legislature e professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Napoli Federico II. Oggi è presidente del Coordinamento per la Democrazia costituzionale, uno dei maggiori soggetti organizzati per il no nel referendum costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Professor Villone, siamo davvero di fronte ad una riforma che riduce il numero delle poltrone e taglia i costi della politica?
È un fatto oggettivo che si vuole ridurre il numero dei parlamentari nel momento in cui in realtà c’è più bisogno di estendere la rappresentanza politica. Vedo un maggior danno oggi rispetto al passato.
In passato c’era meno bisogno di rappresentanza politica?
Quando c’erano partiti politici radicati nel territorio c’era meno bisogno della rappresentatività delle Camere, perché era il soggetto politico partito che assorbiva la necessità della rappresentanza e poi trasmetteva la domanda sociale a quelli che erano l’espressione del partito in Parlamento. Adesso i partiti di massa non esistono più perché hanno perso la possibilità di rappresentare vaste fasce della società e di collegarle con le istituzioni. I partiti sono diventati soggetti politici evanescenti, e la domanda sociale della società, oggi viene interpretata, sempre più spesso, proprio dai parlamentari.
Come è nato questo salto dalle sezioni di partito agli uffici dei parlamentari?
Fino a 20 anni fa non si cercava il parlamentare ma si andava alla sezione del partito. Era il circolo territoriale il luogo in cui si ponevano le questioni, qualunque fossero. Oggi è più difficile, perché la sezione è chiusa o non esiste più. Oggi ci sarebbe più bisogno di rappresentanza parlamentare e invece si fa il contrario, si taglia.
Le istituzioni si possono misurare in base ai costi?
Non si misurano le istituzioni in base ai costi perché un Paese che vuole delle istituzioni efficienti deve misurare i costi in ragione della funzione politica che vuole assegnare alle istituzioni e non certo in ragione di un risparmio economico. La questione del costo poi è risibile perché con questa riforma ogni cittadino risparmierà meno di una tazzina di caffè all’anno. Questo taglio è risibile anche sulla scala dell’istituzione Parlamento perché il costo dei parlamentari è la voce minore. La voce maggiore di spesa è sui servizi del personale, ma si taglia su quello che meno incide sul totale del bilancio della Camera e del Senato.
La vittoria dei sì, in assenza di una legge elettorale proporzionale potrebbe portare a degli effetti collaterali?
Ci sono degli effetti collaterali davvero importanti a partire da una distorsione della rappresentanza politica se non andranno avanti i correttivi, che pure erano stati ipotizzati per camminare in parallelo con la riforma, ma sono stati abbandonati per l’insistenza dei pentastellati che dovevano piantare la loro bandierina a tutti i costi.
È possibile che la Sardegna sia una delle Regioni più danneggiate dal taglio dei parlamentari?
La Sardegna subirà il danno maggiore come tutte le Regioni medie e piccole che hanno pochi senatori. Per la Camera va un po’ meglio, ma in assenza di un correttivo proporzionale e con il mantenimento della base regionale per l’elezione dei senatori, alla Sardegna andranno a due, o al massimo tre forze politiche, causando una distorsione della rappresentanza democratica dei territori.
Anche con il sistema elettorale proporzionale si avrebbe una distorsione della rappresentanza democratica?
Qualunque sia il sistema elettorale, anche se si facesse un sistema proporzionale, nella distribuzione dei seggi su base regionale l’opposizione potrebbe non arrivare in Senato. Se ci sono più opposizioni ne arriva una o forse nessuna. Questa riforma toglierà la rappresentanza a centinaia di migliaia di persone. È una botta molto pesante alla capacità rappresentativa del Parlamento.
Alla camera andrà un po’ meglio?
Alla camera va un po’ meglio perché i numeri danno un po’ di spazio democratico in più, ma nemmeno più di tanto, perché ci sarebbe la paradossale conseguenza determinata da una composizione diversa tra Camera e Senato. Perché in Senato non ci sarebbe lo stesso arco di forze politiche presenti alla Camera. Se non c’è un correttivo come una proporzionale pura con recupero nazionale dei resti e se dovesse rimanere la legge elettorale esistente, anche con poche modifiche marginali, non verrebbe temperato l’effetto devastante di una riduzione della capacità rappresentativa dell’assemblea e non si riuscirebbe a garantire la governabilità.
Un Senato con una composizione diversa dalla Camera potrebbe produrre danni alla governabilità?
Sarà un danno anche alla governabilità del Paese perché non potremmo nemmeno essere sicuri che le Camere alla fine esprimano due maggioranze in sintonia. Da un lato si vorrebbero le camere perfettamente uguali, ma dall’altro le si rendono fatalmente diverse. E se non cambia la legge elettorale e non si eliminano le liste bloccate il Parlamento sarà in mano alle solite oligarchie di partito.
Perché nei media si parla poco e nulla di questo referendum?
Esiste una congiura del silenzio. Questa del tagliare qualsiasi cosa a partire dalle istituzioni democratiche sembra essere una tematica di grande favore popolare alimentata anche nei giornali dal populismo e dall’idea che non sia utile dire di no per non creare terremoti dentro il governo. Un silenzio utile solo a mantenere nascosto uno scambio volgare fra quello che è l’assetto costituzionale di primario rilievo del Parlamento con il mantenimento degli equilibri partitici dentro la maggioranza del governo Conte. I governi durano lo spazio di un mattino ma una riforma di questo genere impatta pesantemente sull’intera architettura complessiva della democrazia. Per fortuna ad alzare la voce c’è la recente presa di posizione dell’Espresso che chiaramente scrive che il Referendum così com’è è stato pensato è una cosa truffaldina.
È possibile immaginare una riforma che permetta al Parlamento di ritornare alla sua funzione di mediazione senza tagliare le condizioni della nostra rappresentanza?
Se si deve fare una buona riforma deve essere una riforma che apre alla possibilità di Parlamento davvero rappresentativo e capace di rispondere a chi vota, eletto con una buona legge elettorale che consenta all’elettore di scegliere chi lo rappresenta. Di fronte al Paese frammentato, diviso, incerto e confuso è necessario fare l’opposto di ciò che propone questa riforma, perché se c’è un luogo che bisogna privilegiare oggi è proprio il luogo in cui si discute, un Parlamento aperto, libero e trasparente in cui si discute di ciò che come cittadini e cittadine vogliamo fare da grandi.
Come si svolgerà la campagna referendaria dei comitati per il no?
I contenuti della campagna referendaria per il no saranno declinati dal basso, nelle assemblee dei territori e anche online, nei social media, certamente non nei grandi giornali e le televisioni. Molti comitati del no stanno nascendo ora e quelli già esistenti stanno riprendendo il lavoro di sensibilizzazione e questo mi fa pensare che quella del Referendum non sia una partita chiusa.