La ovvia riprovazione per la brutalità con cui Trump si dedica a distruggere ogni forma di diritto nelle relazioni fra gli Stati e nelle dinamiche interne dello Stato di diritto, per affermare il predominio della forza (la sua) come unica regola, non può fare da velo alle questioni reali che si celano dietro lo scontro fra il presidente Usa e Zelensky alla Casa Bianca. Non v’è dubbio che Trump ha allestito uno spettacolo scenico per bastonare e umiliare in mondovisione il suo vassallo ribelle Zelensky. E non v’è dubbio che Zelensky ha reagito con dignità rifiutando di piegarsi agli ordini del “comandante in capo”.
Questa sua resistenza agli insulti e alle minacce di Trump lo ha trasformato in una figura eroica agli occhi dei leader europei che si sono affrettati a dichiarare incrollabile solidarietà all’Ucraina (rectius al governo Zelensky), a cominciare dal premier inglese Starmer, che ha convocato per domenica a Londra una riunione urgente per discutere una strategia di sostegno a Kiev. In Italia i media hanno elevato un coro unanime strappandosi le vesti per l’Ucraina abbandonata dagli Usa. Si sono elevati toni poetici: “Adesso l’Ucraina sta sola sul cuor della terra trafitta da un raggio di sole. Per capire se sia subito sera bisogna interrogare l’Europa, o quel che ne resta. Tocca all’Unione decidere se restare al fianco di Zelensky e a questo punto, davvero, ‘morire per Kiev’” (Massimo Giannini su Repubblica).
“Morire per Danzica?” è l’interrogativo rimasto tristemente famoso che si pose il politico francese Marcel Deat, in un articolo pubblicato sul quotidiano l’Oevre nel maggio del 1939, di fronte alla prospettiva della guerra che si stava materializzando in Europa. Ripescare lo stesso aforisma, sostituendo Danzica con Kiev ci suggerisce che l’Europa deve mettere in conto di scendere in guerra e quindi di far morire i suoi figli per la gloria di Zelensky, con la differenza che la Russia non è il Terzo Reich, malgrado le farlocche comparazioni dei politici nostrani, e che oggi dalla guerra non può venire la salvezza per nessuno.
Ci permettiamo, quindi, di dissentire e uscire dal coro. L’Ucraina è un paese martoriato da una guerra assurda che si sarebbe potuta evitare se gli Usa non avessero preteso di trasformare questo territorio nella lancia della Nato nel costato della Russia. La pretesa di far recuperare all’Ucraina manu militari i territori perduti dopo il 2014, a seguito della dichiarazione d’indipendenza della Crimea e della secessione della popolazione russofona del Donbass, è stata una scelta politica folle che ha perseguito un obiettivo impossibile con l’unico effetto di prolungare un conflitto che si poteva chiudere dopo due settimane, causando lo sterminio di un’intera generazione di giovani ucraini e distruzioni incommensurabili. Un conflitto militare simmetrico tra un forte e un debole vede sempre vincitore il più forte. La Russia ha una capacità militare superiore, una produzione bellica che non si esaurisce e il tempo gioca a suo favore. L’Ucraina, invece, si trova in un logoramento crescente, con risorse che si assottigliano e l’aperta ribellione dei suoi giovani che non vogliono più essere mandati al macello. Zelensky lo sa e ha cercato fin dall’inizio di coinvolgere direttamente la Nato nella guerra, come dimostra – fra le altre cose – la sua persistente richiesta di una no fly zone che avrebbe comportato il rischio di uno scontro diretto fra potenze nucleari. Di fronte al rifiuto di Zelensky di negoziare con la Russia, espresso chiaramente quando ha affermato che “Putin è un assassino e un terrorista”, Trump nella sua follia ha detto una cosa giusta: “Stai giocando con la vita di milioni di persone, stai giocando d’azzardo con la Terza guerra mondiale”.
La reazione allo strappo di Washington non può essere quella di far rullare in Europa i tamburi di guerra e di inseguire Zelensky nella sua politica suicida. Le proposte di incrementare gli aiuti militari, o addirittura di inviare delle truppe di paesi europei in Ucraina, di spingere ulteriormente la corsa al riarmo sotto il mito della “difesa europea”, non favoriscono la fine del conflitto, ci mettono in un vicolo cieco in fondo al quale c’è solo un bagno di sangue. Solo il cessate il fuoco può salvare l’Ucraina dalla sua distruzione. L’Europa può e deve intervenire ma deve cambiare registro. Non si può premiare una politica di nazionalismo esasperato che ha provocato la rottura della convivenza fra i due popoli e fornito l’alibi per lo scontro fra eserciti. Riconciliazione, deve essere la parola magica che deve guidare una diplomazia votata a costruire la pace.
(articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 2 marzo con il titolo: Macchè “morire per Kiev”, serva il cessate il fuoco.)