PARLARE FRA SORDI

di Francesco Baicchi - 14/02/2023
Ritengo che far tacere le armi, fermare le morti e le distruzioni siano priorità assolute, di fronte alle quali le questioni di principio, per quanto doloroso sia, devono cedere il passo

Confrontarmi con i sostenitori di Zelensky diviene per me ogni giorno più difficile.

Le diverse posizioni si muovono ormai su piani che non si incrociano, e la gravità della situazione non sembra sufficiente a colmare queste distanze.

Personalmente ritengo che far tacere le armi, fermare le morti e le distruzioni siano priorità assolute, di fronte alle quali le questioni di principio, per quanto doloroso sia, devono cedere il passo. Anche perché il cessate il fuoco è condizione per l’apertura di trattative e potrebbe facilitare intanto la dislocazione di truppe d’interposizione.

L’aggressione russa alla Ucraina ha messo il mondo di fronte a una situazione nuova, ma non imprevedibile, che ha confermato la lungimiranza di quanti da tempo lamentavano il progressivo abbandono dei principi su cui alla fine della seconda guerra mondiale era nata l’ONU e la sua conseguente inefficienza nel realizzare il compito di impedire nuovi conflitti.

Allo stato attuale la polemica su chi ha per primo violato le regole, fra il tentativo americano di accerchiare la Russia allargando la NATO e la risposta annessionista di Mosca, non facilita la chiusura del conflitto, anche perché non terminerà presto e probabilmente non troverà una risposta condivisa. La scelta della Ucraina come terreno di scontro, per la storia secolare che la contrappone al potente vicino, ha riaperto antiche ferite e rilanciato il peggior nazionalismo.

In questi settanta anni le guerre non si sono mai fermate, ma si combattevano in altri continenti ed erano ipocritamente definite ‘regionali’ per mascherarne le conseguenze, che sono invece sempre drammaticamente le stesse, subite sempre dagli stessi: i civili inermi.

Quasi nulle sono state le reazioni dei Paesi non direttamente coinvolti, sia a livello politico che di opinione pubblica, anche perché il diritto di veto concesso ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e ampiamente usato da USA e Russia (ex-URSS) ha di fatto ridotto gli spazi di manovra degli organismi internazionali. Consentendo, fra l’altro, la nascita di eserciti mercenari (prevalentemente basati negli USA, salvo il gruppo russo Wagner), che ci hanno riportato al medioevo.

La sfrontatezza con cui Putin ha violato le regole del diritto internazionale ha reso più clamorosa la mancanza di strumenti che le rendano efficaci, ma la vera novità consiste solo nell’aver avvicinato il terreno di scontro ai confini europei, impedendoci di ignorare quanto stava accadendo.

La responsabilità della mancanza di un efficace strumento che possa bloccare la violenza è condivisa da tutti i Paesi membri dell’ONU, che pure dichiarano di accettarne le finalità, compreso il nostro che ‘ripudia la guerra’ (art.11 Cost.). Sapevamo che poteva accadere e non abbiamo voluto vedere; ora non possiamo cavarcela distribuendo torti e ragioni.

Sono coinvolti soprattutto gli stati europei, che con la UE sono riusciti a chiudere una storia plurisecolare di conflitti, ma hanno rinunciato, probabilmente per motivi meschinamente economici, a ‘esportare’ il loro modello negli altri continenti.

Non possiamo attendere di aver recuperato questo colpevole ritardo (ammesso che lo si voglia recuperare) mentre crescono morti e distruzioni: abbiamo bisogno di tempo per ristabilire un sistema giuridico funzionante.

Ma pensare di uscire da questa situazione tornando ad affidare alle armi il compito di risolvere le controversie internazionali significa fare passi indietro sulla strada della civiltà, oltre che bloccare forse per sempre la speranza di interrompere la corsa verso il disastro ambientale, che richiede politiche planetarie.

Fare del territorio ucraino un enorme deposito di armi micidiali, controllate non si sa bene da chi, può costituire una pericolosa minaccia per il futuro e non risolve l’assenza di strumenti giuridici efficaci.

Questo mi rende difficile capire (lo confesso) chi applaude la crescita della spesa per armamenti, auspica la consegna a un discutibile Zelensky di armi sempre più distruttive e riesuma l’idea che le guerre possano finire solo con la vittoria del più forte.

Credo invece che la vicenda ucraina confermi proprio la necessità di rilanciare la cultura del disarmo, anche unilaterale, e del dialogo a tutti i costi.

Anche la Pace ha i suoi costi e può impone rinunce anche ingiuste, ma i costi della guerra, ovunque si collochino la colpa e la ragione, sono infinitamente superiori.

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