Ucraina: il rischio della pace

di Domenico Gallo - domenicogallo.it - 28/02/2025
La svolta di Trump sull’Ucraina è dettata da ragioni di convenienza e di affari, non certo da motivi umanitari. Cionostante può porre termine ad un orrendo spargimento di sangue. Ed è stupefacente che i vertici dell’UE non si rassegnino alla fine della guerra, perdendo così l’opportunità di mettere il treno della Storia sul binario di una pace vera e duratura

Sembra incredibile ma è vero. Di fronte al negoziato intrapreso da USA e Russia con l’obiettivo di porre fine al più presto a una inutile strage perpetrata per tre anni, che ha causato – sui due fronti – oltre un milione di morti, sofferenze inenarrabili, devastazioni incommensurabili e che ci ha portato sull’orlo di un conflitto nucleare, le Cancellerie dei paesi europei, i vertici dell’UE, i leader politici e il sistema dei media mainstream, vivono la prospettiva della fine dei combattimenti come un disastro politico che scompagina tutti i loro piani. Piani che puntavano al prolungamento e all’escalation della guerra, fino al punto da considerare inevitabile un conflitto armato diretto con la Russia, al quale la NATO e l’UE a trazione baltica ci stavano preparando.

Certamente è sconvolgente il rapido cambiamento di rotta che Trump ha imposto a un indirizzo politico consolidato nel tempo che aveva attribuito alla Russia il ruolo del nemico da indebolire e da umiliare con sanzioni e guerre di logoramento. Se due potenze nucleari che hanno la capacità di distruggersi a vicenda e di distruggere il resto del mondo, dopo essersi combattute duramente per interposta persona (Ucraina), decidono di sotterrare l’ascia di guerra, questa nuova situazione dovrebbe essere accolta con entusiasmo, così come una volta, quando c’era la guerra fredda, fu accolto con un sospiro di sollievo l’accordo fra Kennedy e Kruscev che pose fine alla crisi dei missili a Cuba nel 1962. Fa specie la brutalità con cui Trump ha liquidato Zelensky attribuendogli la responsabilità di non aver impedito lo scoppio della guerra e di non averla fermata. In realtà Zelensky, pur essendo un attore comico, ha giocato il ruolo tragico che gli hanno attribuito Biden e la NATO; è stato un servitore fedele delle direttive ricevute d’oltreoceanoAdesso che il suo servizio non serve più, viene messo alla porta senza tanti complimenti. La stessa cosa succede ai camerieri europei della NATO che sono stati svergognati proprio da quella casa madre che avevano servito con “furore atlantico”, specialmente in Italia dove c’è stata una competizione fra il PD e la Meloni per la primazia sul sostegno militare (e politico) al governo Zelensky. «È disonesto affermare che l’Ucraina sia in grado di distruggere la Russia sul campo di battaglia e tornare a una situazione pre-2014», così si è espresso Marc Rubio qualche giorno fa a Bruxelles dinanzi agli attoniti atlantisti europei. Il nuovo Segretario di Stato non ha contestato ai leader europei una previsione sbagliata sull’andamento della guerra. Ha detto qualcosa in più: ha messo in evidenza la mala fede del dogma che ha fin qui guidato la politica europea e spinto l’Ucraina verso la propria autodistruzione.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò nel marzo dell’anno scorso quando Papa Francesco esortò l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca (…) Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». In perfetta malafede i disonesti leader europei hanno continuato imperturbabili a istigare l’Ucraina a combattere fino alla “vittoria”.

Ovviamente la svolta di Trump non è guidata dai sentimenti umanitari del Papa ma da ragioni di opportunità e di affariGli USA hanno ottenuto dalla guerra tutto quello che potevano ottenere e non hanno interesse a continuare un conflitto che non possono vincere. Hanno ottenuto una separazione netta dell’economia europea dalla Russia, hanno costretto l’Europa a sostituire il gas russo con quello americano che costa quattro volte di più, hanno ottenuto un forte incremento della spesa militare europea a tutto vantaggio delle industrie belliche americane. Adesso possono tirare i fili del debito estero creato dalla guerra e depredare l’Ucraina delle sue risorse minerarie, le cosiddette terre rare. Ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, ponendo finalmente termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Al contrario, il viaggio a Kiev di Ursula Von der Leyen, scortata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e da Pedro Sanchez, per ribadire il sostegno politico e militare a Zelensky in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa, ci fa capire che i vertici dell’UE non vogliono rassegnarsi alla fine della guerra, come quei soldati giapponesi che sono rimasti per quarant’anni nascosti nella giungla per continuare a combattere. In perfetta coerenza con questo orientamento di guerra ad oltranza il Consiglio esteri, presieduto da Kaja Kallas ha deliberato il sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia.

Di fronte a queste novità sconvolgenti, non possiamo far finta di non vedere: è evidente che ci troviamo in una fase di passaggio d’epoca, come lo fu – sotto altri aspetti – l’89, quando l’abbattimento del muro di Berlino segnò la fine della guerra fredda. Nelle fasi di passaggio si aprono grandi opportunità di cambiamento, ma bisogna coglierle al volo prima che gli orizzonti si richiudano di nuovo. Il vero problema è quale sbocco dare al cessate il fuoco prossimo futuro: se deve trattarsi di una tregua permanente, come si è verificata in Corea dove, l’armistizio, firmato il 27 luglio 1953, dopo oltre settant’anni non è sfociato in un Trattato di pace, oppure se dalla tregua delle armi si deve passare a un progetto di pace che coinvolga la Russia e tutti gli altri popoli europei e incida sulla vita della stessa Ucraina.

Tregua o pace, questo è il vero dilemma. La pace deve aprire un percorso di riconciliazione fra russi e ucraini, prosciugando il muro d’odio, lastricato da un milione di morti, che la guerra ha creato fra i due popoli. Non è un’impresa impossibile. Nel secolo scorso ci sono riusciti i francesi e i tedeschi malgrado le devastazioni e i lutti creati da due guerre mondiali. Per favorire la riconciliazione è importante che la Russia collabori alla ricostruzione e che Kiev ponga fine ad ogni discriminazione nei confronti della popolazione russofona e alla demonizzazione della lingua e cultura russa.

Invece, l’orientamento degli atlantisti scomunicati dalla casa madre è di continuare la guerra con altri mezzi, inchiodando per sempre la Russia nel ruolo del nemico da contrastare con le sanzioni e la corsa agli armamenti. Se gli USA ritirano dall’Europa una parte del loro dispositivo militare, noi non abbiamo bisogno di creare una sub-NATO europea, incrementando massicciamente le spese militari per contrastare la c.d. minaccia russa, che non esiste. Basta riscoprire la parola magica della sicurezza collettiva, che si rafforza non con il riarmo ma con il disarmo concordato e reciproco. Se Trump ha escluso l’Europa dalle trattative di pace per l’Ucraina, l’Unione europea deve comunque aprire un negoziato con la Russia per porre fine alla politica di guerra fin qui attuata mediante le sanzioni, che danneggiano in pari misura, sia i popoli europei, sia il popolo russo. Adesso abbiamo l’opportunità di rimettere il treno della Storia sul binario della pace, non dobbiamo lasciarcela sfuggire.

(una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sul Fatto quotidiano del 28 febbraio con il titolo Lo sgomento atlantista per la fine della guerra)

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