Mancano 56mila medici, 50mila infermieri e sono stati soppressi 758 reparti in 5 anni. Per la ricerca solo lo 0,2 per cento degli investimenti. 5mila camere di terapia intensiva nella Penisola.
Così la politica ha disossato il sistema sanitario nazionale che ora viene chiamato alla guerra. E’ necessario il ripristino del servizio sanitario nazionale universale e l’immediato abbandono delle autonomie differenziate. Riorganizzando su basi nazionali le autonomie unicamente gestionali di erogazione delle prestazioni con l’intero sistema delle autonomie locali . Depoliticizzando la sanità. Nessuno si farebbe curare dal nosferatu lombardo ,da Zaia e nemmeno da Conte che dovrebbero evitare esternazioni non di loro competenza per non creare confusione oltre che per non precipitare nel tragicomico.
Nella situazione che si è determinata diverse voci hanno sottolineato l’importanza di una gestione centralizzata e unitaria della crisi.
Alcuni hanno evidenziato i problemi creati da un sistema sanitario già ampiamente regionalizzato frammentato e clientelare. In crisi, Walter Ricciardi, membro del Comitato esecutivo OMS ha sottolineato: “…la mancanza di una linea di comando unica a fronte di una frammentazione regionale…” e che mentre “Francia e Gran Bretagna hanno una linea unica, condivisa su tutto il territorio, l’Italia ha invece una linea declinata dalle regioni”, aggiungendo che sono necessarie “scelte adeguate dal punto di vista dell’evidenza scientifica, in modo tempestivo e coordinato su tutto il territorio nazionale”.
Da venti anni è venuto meno un serio lavoro di prevenzione, la Sanità pubblica nazionale è stata trascurata mentre, in particolare nelle regioni più colpite, si è favorita la sanità privata che non dispone perché non remunerativi di reparti di terapia intensiva, latitante in quanto rivolta a fare profitto in ambiti che il servizio pubblico ha lasciato, con sofferenza in specie degli utenti più poveri. Mentre il Servizio Sanitario è stato progressivamente definanziato e destrutturato con forte depauperamento di personale e mezzi.
Scarsa resta l’ attività di educazione sanitaria e prevenzione delle regioni: i dati vaccinali degli ultimi anni per l’influenza stagionale sono di gran lunga al di sotto del minimo vaccinale (75%) necessario per ridurre complicanze e mortalità in specie nella categoria statisticamente più esposta degli ultra 65enni. Le regioni dove le vaccinazioni sono tra le più basse sono proprio la Lombardia e il Piemonte (dopo la provincia di Bolzano che ha la copertura peggiore).
Da qui l’importanza vitale di mettere in atto un sistema di interventi che coordini sanità e prevenzione animale ed umana, la interdisciplinarità delle professioni sanitarie, l’igiene e la tracciabilità degli alimenti, e tutto ciò che previene l’emergere delle patologie, anzichè intervenire quando la malattia è conclamata.
La regionalizzazione della Sanità ha portato al depotenziamento degli organi centrali come Ministero della Sanità e Istituto Superiore di Sanità, che hanno mostrato lacune nella comunicazione e sono stati quasi sopravanzati dal prevalere delle dichiarazioni dei Presidenti delle regioni e del Consiglio e dall’informazione dei media. Un insieme di confusione e scarsa trasparente comunicazione divenuto stato di eccezione, con limitazione dei movimenti e sospensione del normale funzionamento della vita di relazione e lavoro in intere regioni.
Un altro passo potrebbe essere fatale alimentando ulteriormente malversazione e corruzione in ambiti di clientele locali. Una emergenza che mostra la necessità di fermare ogni processo di Autonomia differenziata per quanto riguarda la sanità ,anche per altre materie come infrastrutture o trasporto.
Le richieste delle Regioni secessioniste, la legge quadro, le ipotesi di intese extracostituzionali vanno immediatamente ritirate! Nell’interesse anche delle popolazioni di Emilia, Lombardia, Veneto.