BATTAGLIA CONTRO AUTONOMIA REGIONALE

di Massimo Villone - Repubblica Napoli - 26/11/2025
«Non vogliamo l’autonomia differenziata, e non ve la faremo fare». Sono le parole forti di Fico nella sua prima esternazione da presidente eletto. È la scelta giusta, anche per quel che ci mostra la tornata elettorale in tre delle maggiori regioni d’Italia.

«Non vogliamo l’autonomia differenziata, e non ve la faremo fare». Sono le parole forti di Fico nella sua prima esternazione da presidente eletto. Già in campagna elettorale aveva più volte menzionato l’Autonomia regionale differenziata (AD). Ma non sfugge la differenza: la promessa del candidato a caccia di voti diventa ora l’impegno del presidente della Regione Campania. Accoglie la sollecitazione che proprio da queste pagine gli avevamo rivolto, e ne fa una priorità del suo mandato. È la scelta giusta, anche per quel che ci mostra la tornata elettorale in tre delle maggiori regioni d’Italia.

 Il ministro Calderoli ha fatto il suo personale show apponendo la sua firma a preaccordi con quattro regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria). Potremo discutere della valenza giuridica di atti che non sono contemplati nel procedimento delineato dalla “sua” legge 86/2024, e non si attengono alla lettura costituzionalmente conforme dell’AD disegnata dalla Corte costituzionale nella sentenza 192/2024.

Uno sviluppo che non si può dire inatteso, perché la pronuncia, pur apprezzabile, non era – come ho scritto - la chiusura definitiva della questione AD che molti degli oppositori preferivano intendere che fosse.

Il punto è che la Lega di Zaia ha stravinto in Veneto su FdI, e l’autonomia rimane un obiettivo prioritario. Calderoli non potrà che portare in Consiglio dei ministri “intese preliminari” vicine – o identiche – ai preaccordi che ha firmato. Qui avranno comunque inizio le danze. Perché è importante che Fico abbia immediatamente preso una posizione inequivoca sull’AD? Perché la destra nelle due regioni del Sud rimane lontana dalle aspettative, nonostante la parata di big di governo, i balli e le promesse di mancette in chiave di condono. La Lega va poco oltre il 5% in Campania, e l’8% in Puglia. In tale contesto una battaglia senza se e senza ma contro l’AD può bene mantenere alta l’attenzione e mobilitare l’opinione pubblica nei mesi che verranno, per un impatto significativo nel voto politico 2027. Soprattutto se Fico riuscirà a fare rete con altre istituzioni meridionali, creando un movimento volto a ridare al Sud centralità nell’agenda politica del paese.

 Un obiettivo ambizioso, certo. Ma Fico deve sapere, quando dice “non ve la faremo fare”, che non saranno i seminari dei costituzionalisti a fermare l’AD. E nemmeno il Parlamento, se non si creano faglie nella maggioranza. A tal fine va chiesto alle opposizioni – finito lo tsunami elettorale - di aprire da subito una luce sui preaccordi firmati da Calderoli: come, dove e da chi sono stati negoziati? Come si giustifica la maggiore autonomia richiesta? Quali ministeri sono stati interpellati, e cosa hanno risposto? Quale distribuzione di risorse? Quali i vantaggi, e non per i soli territori interessati? Bisogna che ai componenti non leghisti del governo arrivi il messaggio che possono farsi male con il vuoto mantra che l’AD è occasione anche per il Sud. Un’azione in Parlamento cui deve affiancarsi la presenza efficace della Regione nella Conferenza Stato Autonomie e l’uso degli strumenti giuridici – ricorsi in Consulta in via principale o per conflitto di attribuzione – ogniqualvolta siano esperibili. Una occasione potrà esserci per le norme in discussione sui livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Ovviamente, una simile strategia non deve configurarsi come battaglia di un Palazzo (quello regionale) contro un altro Palazzo (quello di Roma). Qui cogliamo un’altra affermazione di Fico: bisogna riportare al voto chi si è allontanato per disaffezione e sfiducia verso la politica. Il messaggio è che si lotta per le comunità, non per il ceto politico. Non sfugge che a un ceto di bassa qualità può persino convenire che votino solo amici, sodali, clientes e truppe cammellate. Non per caso su queste pagine ho descritto come rivitalizzare e rafforzare le norme sulla partecipazione popolare diretta, già in buona parte strutturata proprio in Campania.

Insistiamo perché il presidente eletto assuma anche il carico di perfezionare e completare quelle norme. Il cittadino entra nelle istituzioni tramite i suoi rappresentanti, o in via diretta. L’indebolimento delle sedi di rappresentanza politica – che colpisce oggi non solo noi, ma le democrazie cd liberali - può essere contrastato attraverso istituti di democrazia diretta, non in chiave di antagonismo, ma di supporto e sostegno. In Italia, tra l’altro, un primato assoluto della Campania.

Questo articolo parla di:

archiviato sotto: