Giorgia Meloni si è sempre rifiutata di pronunciare una condanna chiara del fascismo (del resto la sua cultura politica non gliel’avrebbe consentito), però del fascismo ha condannato in modo netto e senz’appello le leggi razziali. Evidentemente il rigetto della legislazione razziale del fascismo riguardava soltanto l’oggetto di quelle disposizioni (le persone di religione ebraica) non il metodo, cioè la discriminazione, che è ritornata di nuovo in auge nei provvedimenti legislativi del governo.
L’ultimo disegno di legge in materia di sicurezza pubblica, approvato dalla Camera il 19 settembre e trasmesso al Senato, introduce una logica repressiva e discriminatoria tale da far impallidire le (molto più blande) norme in materia di sicurezza pubblica introdotte dal fascismo. Il disegno di legge governativo spinge verso una criminalizzazione delle lotte sociali, trasformando in crimini, puniti con pene abnormi, comportamenti di scarsa offensività che hanno a che fare con il disagio e la marginalità sociale. In particolare, vengono criminalizzati i movimenti di lotta per la casa con l’introduzione di un nuovo reato che colpisce con una pena assurda (da due e sette anni di reclusione) anche chi coopera nell’occupazione, al di fuori dell’ipotesi di concorso nel reato. C’è da rimpiangere il tanto vituperato codice Rocco nel quale non esisteva il reato inventato da Piantedosi (occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui) mentre la relativa fattispecie ricadeva nel perimetro del reato di invasione di terreni o edifici (art. 633) che puniva l’occupazione di immobili con la pena fino a due anni o con la multa e non prevedeva alcuna sanzione per coloro che organizzavano le lotte per la casa.
Queste disposizioni sono un classico esempio di “diritto penale del nemico”: si tratta di un indirizzo politico-legislativo che in modo esplicito colpisce quella parte della popolazione socialmente più vulnerabile, criminalizzando le proteste e affrontando il disagio sociale come una mera questione di ordine pubblico. Ma non c’è solo repressione, coloro che condannano la legislazione razziale del fascismo non hanno avuto ritegno ad adottare il metodo della discriminazione che condisce la legislazione meloniana con l’aroma delle leggi razziali. Sul piano della discriminazione il disegno di legge governativo rafforza un istituto palesemente incostituzionale introdotto nel 2018, quello della revoca della cittadinanza, che di fatto ha creato una cittadinanza di serie A, per coloro che sono cittadini in virtù dello ius sanguinis, e una cittadinanza di serie B, per coloro che l’hanno acquistata per naturalizzazione, ai quali la cittadinanza può essere – in determinati casi – revocata.
La disposizione più bizzarra, però, è quella che toglie il telefono agli immigrati privi del permesso di soggiorno, compresi i richiedenti asilo che spesso devono aspettare anni per ottenerlo. Una telefonata allunga la vita, così titolava un celebre spot pubblicitario interpretato da Massimo Lopez, in cui un condannato a morte faceva aspettare il plotone d’esecuzione con una telefonata interminabile. Se una telefonata allunga la vita, togliere la possibilità di fare una telefonata ai migranti – avrà pensato Piantedosi – sarà un ottimo strumento per il contrasto all’immigrazione. Per capire il significato di questa disposizione bisogna pensare a una cabina telefonica. Con l’evoluzione tecnologica le cabine telefoniche sono state tolte di mezzo, adesso la loro funzione la svolgono i cellulari.
Vietare la Sim agli immigrati irregolari è come mettere un cartello di divieto d’ingresso a una cabina telefonica che, fin quando è esistita, non ha mai vietato l’accesso ad alcuno. Nella cabina telefonica potevano avere accesso tutti: belli e brutti, italiani e stranieri, uomini e donne e persino minori; bianchi e neri, ebrei e musulmani, cattolici e atei. Tutti potevano comunicare senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3 della Costituzione). Possedere un gettone era l’unico requisito per essere ammessi nel mondo della comunicazione. Con la nuova legge sulla sicurezza finirà questo bengodi della comunicazione aperta a tutti, e saranno poste le giuste restrizioni a coloro che sono figli di un Dio minore. Il divieto d’accesso a una cabina telefonica ricorda i cartelli che vietavano l’accesso agli ebrei negli esercizi pubblici. Con le leggi razziali agli ebrei fu vietato un po’ di tutto, persino di accedere alle biblioteche pubbliche, di inserire il proprio nome negli elenchi telefonici e di possedere una radio, ma non fu vietato l’uso del telefono. Adesso ci pensa Piantedosi a colmare questa lacuna.