E’ il film di fanta-revisionismo storico, girato come un falso documentario e parodiando lo stile dei cinegiornali dell’Istituto Luce del Ventennio fascista, tratto dagli omonimi sketch realizzati da Corrado Guzzanti all’interno del programma televisivo Il caso Scafroglia (2002).
Fascisti su Marte potrebbe essere il titolo adatto della performance che in questi giorni stanno rappresentando i vertici delle nuove autorità politiche italiane per spiegare agli italiani qual è il “core business” della loro missione politica. Quale terreno più adatto del fenomeno delle migrazioni umane per sperimentare il nuovo corso e riabilitare le parole antiche che la Costituzione aveva mandato in archivio?
Il Ministro italiano dell’agricoltura ha ripreso un’espressione (sostituzione etnica), in passato già adoperata dalla Meloni, senza rendersi contro che prima di lui era stata adoperata da Adolf Hitler in Mein Kampf, a proposito dei complotti giudaici contro il popolo tedesco. Si tratta di due parole rivelatrici, come osserva il Direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che messe insieme “condensano tutta una serie di pensieri respingenti, xenofobi e razzisti”. Dietro queste parole c’è una concezione della Nazione incentrata sulla retorica di “sangue e suolo”.
“Blut und boden”, un concetto fondamentale del nazionalsocialismo, secondo il Ministro dell’agricoltura nazista Richard Walther Darrè che, depurato della sua cupa risonanza eugenetica, oggi rischia di diventare senso comune.
Del resto nell’intera campagna elettorale è risuonato lo slogan: “Dio, Patria e Famiglia” che in Italia fu coniato da Giovanni Giurati, segretario del Partito nazionale fascista nel 1930/31, per sintetizzare una visione della comunità politica ispirata ai valori del fascismo.
Il c.d. decreto Cutro (d.l. 10 marzo 2023 n. 20) e gli emendamenti peggiorativi che in questo momento sono in discussione al Senato, dimostrano che il tema non è il governo dell’immigrazione ma l’utilizzo del popolo dei migranti per costruire una narrazione seriamente razzista nel nostro paese ed inventare un capro espiatorio contro il quale deviare l’insicurezza diffusa in ampi strati della popolazione. Il tema è l’occasione per rilanciare nel discorso pubblico le parole dell’esclusione, della discriminazione, della contrapposizione etnica.
Avevano promesso di fermare il flusso dei disperati che arrivano sulle nostre coste in cerca di salvezza da guerre, fame e persecuzioni, di bloccare i porti altrui, di affondare le navi delle ONG che fanno il salvataggio in alto mare, di arginare il fenomeno mostrando i muscoli, con una postura decisa che i precedenti governi non avevano avuto il coraggio di adottare.
Per ironia della sorte, l’avvento del nuovo Governo non ha portato ad una riduzione dei flussi di immigrazione “illegale”, bensì al loro incremento. Ciò è del tutto ovvio poiché l’incremento o il decremento del flusso dei rifugiati nel mondo dipende da vicende internazionali ed è indifferente al volto feroce dei governanti o alle beghe interne della politica italiana. E’ del tutto evidente che la miserabile opzione di eliminare la protezione speciale (che nel 2022 ha riguardato solo 10.000 persone), non ha nulla a che vedere con le vicende internazionali che provocano la fuga di milioni di persone dai loro paesi d’origine. Però questa scelta, assieme alle altre misure “punitive” nei confronti della popolazione di migranti presente nel nostro paese, ha molto a che vedere con la coesistenza fra “migranti” ed “italiani”. E’ un dato strutturale che nessuno Stato europeo, tanto meno l’Italia, può effettuare i rimpatri delle persone che non riescono ad avere un valido titolo di soggiorno, se non in una percentuale irrilevante. La differenza fra gli arrivi e le regolarizzazioni crea una popolazione di “invisibili”, di persone private dei diritti più elementari che per sopravvivere devono chiedere l’elemosina, o piegarsi al lavoro schiavile o fornire manodopera alla criminalità. La politica anti-immigrazione rivendicata con orgoglio da questo governo, è in realtà una politica antiitaliana, perché, incrementando l’area della clandestinità rende più difficile la convivenza.
Il compito di ogni Stato è di assicurare la convivenza pacifica. Per questo, non solo, per ragioni morali, la nostra Costituzione ha delegittimato ogni politica che miri a costruire delle discriminazioni.
Se si vuole la coesistenza armoniosa degli individui che vivono all’interno dei confini dello Stato italiano, la politica deve operare per rendere conviviali le differenze, mentre i messaggi culturali ed i provvedimenti emanati dagli attuali decisori politici puntano proprio ad ottenere l’effetto contrario.
Si avvelenano i pozzi dove sgorga l’acqua della convivenza, ma quell’acqua la dobbiamo bere tutti.