Il crocevia esistenziale dei democratici americani

di Nadia Urbinati - libertaegiustizia.it - 14/09/2025
C’è un’ombra sulle elezioni di midterm, una possibile sospensione del voto con la motivazione della sicurezza nazionale

C’è un’ombra sulle elezioni di midterm, una possibile sospensione del voto con la motivazione della sicurezza nazionale. Un rischio evocato da quello che non è un atto a caso, il cambio di nome del ministero della Difesa in ministero della guerra.

Smettete di comportarvi come se tutto fosse normale», scrive Ezra Klein oggi sul New York Times in un lucido e misurato articolo sul ruolo, le opportunità e l’impotenza dell’opposizione. Tra poco, i democratici dovranno fare una scelta: «Unirsi ai repubblicani per finanziare un governo che il presidente Trump sta trasformando in uno strumento di presa di potere autoritaria e vendicativa oppure chiudere il governo». Ogni anno, da diversi anni, la questione del budget torna centrale perché spetta al Congresso l’ultima parola, e in ballo al Senato ci sono sette voti, quelli dei democratici, senza i quali non si fa nulla. Alla Camera non c’è storia, non ci sono i numeri, di fatto il solo kratos in mano al demos.

Che fare? Questa domanda è piena di implicazioni, perché non si tratta di una questione di governo amico o avversario. La posta in gioco è il regime costituzionale. Ci sono alcuni segni inquietanti che dovrebbero svegliare i democratici dall’ibernazione.

Il primo, mastodontico, viene dalla decisione di Trump di rinominare il ministero della Difesa in ministero della Guerra. La questione non è nominalistica. Se il presidente ritiene che gli Usa siano in guerra, può sospendere le elezioni di midterm. I dati economici sono disastrosi: disoccupazione ai livelli dell’anno del Covid, quasi al 5 per cento, lievitazione dei prezzi senza posa, soprattutto i quelli dei generi alimentari (la cacciata dei lavoratori stagionali immigrati è pagata dai consumatori a caro prezzo).

Se il portafogli decide le elezioni – l’unico fattore non esposto alla propaganda – le prospettive elettorali si mettono male per Trump, nonostante la debolezza dei dem (sotto nei sondaggi perfino a Trump). Licenziare il responsabile dell’agenzia federale di statistica non ha pagato: i numeri non sono un’opinione.

Che cosa resta, se non sospendere la tornata elettorale? Il presidente può farlo per ragioni di emergenza nazionale, che lui decide. E già si intuisce la scia retorica: l’Est e il Sud del mondo si stanno coalizzando contro il faro dell’Occidente; l’Est con la militarizzazione e la tecnoglobalizzazione; il Sud inviando masse di immigrati verso gli Stati Uniti. I caccia americani la scorsa settimana hanno sorvolato i cieli di El Salvador alla ricerca dei trafficanti di droga. E, intanto, le squadre paramilitari mascherate prelevano per strada le persone secondo il profiling: hai i capelli neri e sei piccoletta, quindi sei ispanica e immigrata. Il reclutamento in queste squadre è stato lanciato proprio in questi giorni con una campagna pubblicitaria che promette 50mila dollari l’anno, una cifra che i lavoratori manuali senza una laurea possono solo sognare. Gli underdog si metteranno in fila per una divisa e una maschera.

C’è dunque una preparazione scrupolosa e razionale del clima di emergenza che potrebbe suggerire la sospensione provvisoria della tornata elettorale nel novembre 2026 se le previsioni non sono buone per Trump. Se l’economia continua così e il mondo smette di inginoccharsi a Trump, c’è questa possibilità. E qui il paradosso: la palla è nel campo dell’opposizione, dentro e fuori il paese. I democratici si trovano a condividere lo stesso ruolo degli alleati degli Stati Uniti (Canada, Gran Bretagna, Europa): respingere la retorica dell’accerchiamento. Per i dem si tratta di dire, come ancora non hanno fatto, che ostacolare l’amministrazione non equivale a smantellare il governo, cosa che ha abbondantemente fatto la Casa Bianca; che mettere ostacoli al piano di Trump significa mettere ostacoli non al paese, ma al patrimonialismo presidenziale.

«Vediamo la famiglia Trump investire massicciamente nelle criptovalute, arrivando persino a lanciare le proprie monete, per poi sfruttare il proprio potere politico e la propria fama per attirare investimenti», scrive Klein. Quindi non è contro il popolo americano che il voto contrario del Congresso verrebbe dato, ma per fermare questa oscenità.

Invece di perderci nel tentare di definire il regime Trump, potremmo voler riflettere, proprio a partire da quel che vediamo, sulla sicurezza democratica del presidenzialismo (l’Italia impari!).

Il parallelo di Hans Kelsen datato 1929 tra un monarca e un presidente sembra scritto per l’oggi: «Nel caso di un presidente, che è eletto direttamente dal voto popolare e, quindi, completamente indipendente dal parlamento, ma che non può essere controllato da una popolazione troppo numerosa per agire in concerto, l’emergere di una volontà del popolo è improbabile quanto nel caso di un monarca ereditario. In effetti, le possibilità di un’autocrazia, anche se temporanea, sono maggiori nel primo caso che nel secondo».

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