Il governo Meloni, la libertà di pensiero e l’ignobile prassi delle identificazioni

di Massimiliano Perna - ilmegafono.org - 31/05/2025
Per il governo Meloni, quello che più conta è frenare il dissenso, spaventare e perfino intimidire chi manifesta il proprio pensiero.

Il soporifero palcoscenico televisivo ospita spesso dibattiti accesi e caotici nei quali, da una parte e dall’altra, si discute e si litiga sul declino democratico del nostro Paese e sulla vocazione autoritaria del governo. Da un lato, la destra, che non solo respinge le accuse, ma contrattacca, asserendo che è stata la sinistra, in passato, a occupare ogni spazio e soffocare libertà e pluralismo. Dall’altro, l’opposizione, composta sia da chi parla di nuovo fascismo e di pericolo per la nostra democrazia sia da chi, invece, sostiene che non esista alcun rischio autoritario, preferendo piuttosto sottolineare la pochezza politica di chi governa. Al di fuori di questo inutile duello, che si dissolve nel momento stesso in cui si pigia il tasto di spegnimento sul telecomando, c’è il Paese, ci sono le strade, i cittadini, i fatti. Che non esistono per dare ragione a questo o quel personaggio, a questa o quella tesi, ma che raccontano una realtà, che troppo spesso è surreale e partorisce domande lasciate costantemente senza risposta.

Tra i fatti rientra ad esempio la questione della subdola repressione del dissenso, perpetrata attraverso atti ritenuti formalmente leciti, che però, nella sostanza, hanno una forte portata intimidatoria e schiacciano un diritto fondamentale, tutelato dalla nostra Costituzione, ossia quello della libertà di espressione del pensiero e delle opinioni. Il riferimento è all’intensificarsi dell’attività di identificazione affidate alle forze di polizia. Un’attività che è diventata continua, e francamente insostenibile, con degli eccessi e delle forzature inaccettabili per un Paese democratico. In Italia, infatti, quella che un tempo era una richiesta di accertamento motivata da questioni evidenti di controllo e sicurezza, oggi è una prassi che viene svolta, anche in condizioni di assoluta irrilevanza, nei confronti di cittadini totalmente pacifici e fermati mentre esercitano i loro diritti costituzionalmente riconosciuti. Non sono spiegabili, infatti, i tanti casi, denunciati e raccontati da cittadini e da organi di informazione, relativi a identificazioni o anche a semplici interventi delle forze di polizia in seguito a dichiarazioni, manifestazioni del pensiero, striscioni, bandiere.

Casi che sono inammissibili, non giustificabili con le risibili motivazioni di “ordine pubblico” e “sicurezza” accampate dal governo, dal ministro dell’Interno o da dirigenti di polizia. Non si può parlare nemmeno di “eccesso di zelo”, perché certe richieste, agli occhi di un cittadino onesto che si trova davanti, senza aver commesso nulla, uno o più agenti, hanno più il sapore di una intimidazione. Urlare “viva l’Italia antifascista” alla Scala di Milano non costituisce mai né un pericolo né un insulto, visto che l’Italia stessa nasce dall’antifascismo e ad esso è apertamente ispirata la nostra Costituzione. Allo stesso modo, appendere uno striscione su un muro, il giorno della festa nazionale del 25 aprile, per sottolineare la bellezza dell’antifascismo, per di più se quel muro è di proprietà dell’autrice dello striscione, non merita in alcun modo una doppia visita delle forze dell’ordine e una doppia identificazione.

Così come, presentarsi a casa di una famiglia di Putignano, in provincia di Bari, chiedendo di rimuovere dal balcone la bandiera palestinese, perché da quel piccolo comune sarebbe passato il Giro d’Italia e le telecamere avrebbero potuto riprendere quella bandiera, non è eccesso di zelo, come avrebbe poi detto alla famiglia, scusandosi, un imbarazzato funzionario della Questura di Bari. In quest’ultimo caso, lo zelo non c’entra nulla. E non c’entrano nemmeno le presunte ragioni di ordine pubblico, motivate con l’irritazione di alcuni cittadini per quella bandiera esposta, perché in quel caso, secondo logica, gli agenti avrebbero dovuto identificare proprio quei cittadini irritati e “nervosi”, in modo da cautelarsi e scongiurare loro possibili reazioni. Allo stesso modo, infine, non si può giustificare l’identificazione di una donna, che poi è risultata essere l’eurodeputata Cristiana Guarda, solo perché, sul suo terreno, sceglie di sventolare la bandiera palestinese, simbolo di solidarietà a un popolo massacrato e vittima di genocidio.

Tutte queste azioni affidate alle forze di polizia sono semplicemente scelte politiche, come dimostra il fatto che nessuno si sognerebbe di identificare un cittadino che sventola una bandiera israeliana. La verità è che questo modus operandi risponde a un atto di indirizzo che proviene dall’alto, da un ministero dell’Interno che è l’emblema di un governo nel quale la propaganda e la retorica sulla sicurezza vengono facilmente contraddette dai fatti, dall’assenza totale di misure e strategie di contrasto ai veri pericoli che gravano sulla testa dei cittadini. Nessuna lotta efficace al crimine organizzato e al narcotraffico, nessuna strategia reale e convinta per combattere la microcriminalità e promuovere sviluppo sociale, aiuti e progetti di educazione alla legalità nelle fasce più marginali, nessun piano per arginare il fenomeno odioso e feroce della violenza sulle donne.

Insomma, per il governo Meloni, quello che più conta è frenare il dissenso, spaventare e perfino intimidire chi manifesta il proprio pensiero. A tale scopo, si impiegano le forze di polizia (il cui problema di carenza di risorse e di organico non viene risolto da anni) in attività superflue e lontane da qualsiasi logica, sottraendo uomini e donne in divisa da compiti più importanti. D’altra parte, questo è lo stesso governo che suggerisce alle donne che denunciano stalking, in caso di pericolo imminente, di rifugiarsi in una chiesa o in una farmacia, in attesa che arrivino le forze di polizia. In effetti, è logico pensare che agenti e pattuglie, in quel momento, potrebbero non essere immediatamente disponibili, in quanto impegnati a identificare la titolare di un panificio che celebra l’antifascismo o magari a chiedere a un ragazzino di abbassare il cartello con su scritto “Palestina libera” o a suggerire a una famiglia di togliere la bandiera palestinese dal proprio balcone.

Si chiamano priorità, e sono proprio queste a definire quello che è un governo. Pericolosamente autoritario, al punto da restringere sempre di più (e punire) gli spazi di dissenso, drammaticamente grottesco e disastroso, per la sua incapacità di dare risposte ai veri problemi del Paese. Un Paese nel quale, a dire il vero, servirebbe anche qualche sindacato di polizia che protestasse per l’utilizzo indecente del personale in servizio, degradato ad attività non solo sciocche e inutili, ma che minano il rapporto con il cittadino, che si sente minacciato e violato da richieste che non hanno alcuna ragione d’essere né spiegazione e che dovrebbero essere piuttosto rivolte a chi compie reati, a chi inneggia ai criminali o a chi espone simboli nazisti o fascisti. Che sono (quelli sì) contrari alla legge e alla Costituzione sulla quale chi governa dimentica di aver perfino giurato.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org

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