Il nemico principale

di Franco Ferrari - transform-italia.it - 08/01/2025
Se la destra autoritaria è il nemico principale e se diventa indispensabile delineare la costruzione di un programma e di uno schieramento alternativo che si propone l’obbiettivo del potere, risulta evidente che il PD resta il principale ostacolo alla costruzione di un’alternativa vincente alle destre, nonostante gli indubbi tentativi di correzione di rotta tentati da Elly Schlein

È probabile che il 2025 registri l’avvio di una riorganizzazione della sinistra il cui esito però è difficilmente prevedibile. Il cosiddetto “campo largo”, formula che dovrebbe indicare un’alleanza ampia di centrosinistra in grado di delineare un’alternativa elettorale al governo di destra in vista delle elezioni politiche del 2027 esiste più sui giornali che nella realtà. Nel PD sono presenti tendenze più o meno sottotraccia che si propongono di ostacolare i tentativi, pur deboli, di Elly Schlein di ricollocare il partito almeno in un alveo socialdemocratico. Il Movimento 5 Stelle fatica a ridefinire una propria identità che non lo trasformi in alleato subalterno del PD, con la tentazione, comprensibile ma non priva di rischi, di ricollocarsi in un luogo politico “né di destra, né di sinistra”, il cui spazio si è però andato notevolmente restringendo rispetto al momento della sua nascita. AVS ha conquistato uno spazio elettorale che consente una presenza istituzionale ma sembra accontentarsi di questa senza attivare alcuna dinamica sociale o di mutamento del quadro politico. Nella sinistra extraparlamentare, spinte settarie e ripiegamenti identitari sono forti, reazione in parte comprensibile a fronte di una lunga serie di sconfitte, ma la cui prevalenza determinerebbero quasi certamente l’esclusione da qualsiasi ruolo politico e sociale, nella prossima fase, al di là dell’autorappresentazione di alcune nicchie militanti.

Occorrerebbe un ampio dibattito che provasse a sciogliere una serie di nodi strategici, calandoli evidentemente nel contesto della realtà politica e sociale determinata e interagendo il più possibile con il senso comune che spesso vede in certe discussioni una forte dose di astrattezza e di lontananza dal vissuto reale delle persone. Provo a formulare (o in buona misura a ri-formulare) sinteticamente e con la necessaria schematicità alcuni nodi fondamentali che ho in parte già esposto in interventi precedenti.

1) il nemico principale nell’attuale fase è la destra al governo, le cui politiche tendono a ridurre strutturalmente gli spazi democratici e a spostare ulteriormente i rapporti di forza a favore delle classi dominanti. Mi pare che l’evoluzione degli avvenimenti di queste settimane e persino di questi giorni, col rafforzamento di un fronte globale dell’estrema destra, ulteriormente spinto dall’affermarsi della coppia Trump-Musk che avrà certamente un’influenza sul consolidarsi e sul radicalizzarsi degli elementi autoritari in molti paesi, Italia compresa, sia l’elemento centrale della fase politica che si profila.

È aperta la discussione (e anche noi l’abbiamo affrontata nel dibattito con David Broder e Steven Forti) sull’applicabilità o meno del termine “fascismo” alle nuove destre autoritarie. Non c’è dubbio però che siamo in presenza di una sostanziale crisi del rapporto tra capitalismo e visione liberale e procedurale della democrazia, ad una sua crescente torsione oligarchica e ad una consistente riduzione degli spazi lasciati all’espressione del conflitto sociale e politico.

In proposito scrive l’economista argentino Claudio Katz: “altre visioni disconoscono o (relativizzano) le differenze che separano l’ultradestra dallo spettro politico restante. Con questa equiparazione omettono la tremenda minaccia che rappresentano queste organizzazioni. Minimizzano questo pericolo, supponendo che siano somiglianti agli avversari convenzionali della sinistra. Questa visione disconosce il principio del nemico principale, che nella sinistra si utilizza per distinguere gli abituali avversari da coloro che minacciano la sopravvivenza del movimento popolare”.

In alcuni settori dell’estrema sinistra italiana, permane l’idea che il Partito Democratico sia ancora il nemico principale o che esista una “partito unico” che va dall’estrema destra alla sinistra moderata. L’evoluzione della situazione politica, gli atti concreti messi in atto dal governo italiano in un contesto di crescente forza della destra autoritaria a livello europeo e globale, la prospettiva di un lungo periodo di permanenza al potere della destra di derivazione neofascista, credo che tenderà a marginalizzare sensibilmente queste posizioni, che pur trovano una fondamento nelle politiche che il Partito Democratico ha messo in atto negli anni passati e in alcune delle posizioni che tutt’ora sostiene.

2) un secondo elemento chiave è il seguente: l’opposizione sociale alla destra è necessaria ma da sola non è sufficiente se non si delinea anche un’alternativa politica in vista delle elezioni del 2027. I movimenti di lotta sono deboli per varie ragioni, alcune anche di lungo periodo, ma in questo contesto è la debolezza dell’opposizione politica, il mancato delinearsi di una proposta alternativa al governo delle destre a rendere più difficile il formarsi di una mobilitazione significativa di contrasto alle politiche del governo. Politiche che non configurano solo una riduzione degli spazi democratici ma un ulteriore spostamento dei rapporti di forza verso il capitale a discapito delle classi lavoratrici e popolari.

3) l’alternativa politica alla destra non può essere convincente e vincente se è ancorata a politiche liberiste e pro-guerra. Questo richiede la costruzione di un programma politico, frutto di una larga partecipazione, che sia credibile da un lato ma anche netto nell’affermare alcuni elementi significativi di cambiamento rispetto a tutti i governi precedenti e non solo l’attuale. Questo programma di alternativa ha bisogno di una concreta dimensione economica e sociale che oggi la sinistra fatica a formulare. Da un lato resta la subalternità della sinistra liberale e socialdemocratica al potere economico e, sul versante sinistro, la tendenza a ricorrere a lunghe liste di obbiettivi che invece di risultare mobilitanti per le persone comuni risultano semplicemente privi di qualsiasi credibilità e semmai evidenziano la sostanziale impotenza di chi li propone. Sembrerebbe necessario provare a definire obbiettivi intermedi che aprano quantomeno la strada ad una rottura con dogmatismo neoliberista, rottura che non può che essere frutto di una complessa guerra di posizione. Sulla sinistra alternativa pesa l’influenza di concezioni miracolistiche che ostacolano la costruzione di un concreto programma alternativo fondato sull’analisi dei processi materiali innescati dall’evoluzione del capitalismo e delle forze sociali in grado di sostenere una diversa prospettiva (“magia economica” la chiamava Lucio Libertini).

4) se la destra autoritaria è il nemico principale e se diventa indispensabile delineare la costruzione di un programma e di uno schieramento alternativo che si propone l’obbiettivo del potere, risulta evidente che il PD resta il principale ostacolo alla costruzione di un’alternativa vincente alle destre, nonostante gli indubbi tentativi di correzione di rotta tentati da Elly Schlein. La sua leadership, approdata dall’esterno, resta estranea al grosso del ceto politico del PD nel quale prevalgono invece le tendenze favorevoli ad una politica filo-padronale, ultra-atlantista e di sostegno alla grande rendita immobiliare (vedi Sala a Milano l’ossessione per la cementificazione e per le grandi opere della giunta regionale in Emilia-Romagna). Una parte importante del PD è sempre pronta ad allinearsi ad una qualche “agenda Draghi” e a infilarsi l’elmetto dell’atlantismo subalterno. Sembra non rendersi conto che le classi dominanti si sono già spostate a destra, come si capisce in Italia anche solo dalla lettura del Corriere della sera. Una tendenza diffusa anche in altri paesi (Francia, Germania, Stati Uniti). La strategia che gran parte del PD persegue in questa fase politica non serve né ai dominanti né ai dominati ancor meno a sconfiggere la destra al governo.

5) l’alternativa ha bisogno di fondarsi non solo su uno schieramento politico, che pure è necessario, quanto su un blocco sociale maggioritario, che non nasce dalla spontaneità (la rivolta, il detonatore, ecc.) ma deve essere politicamente costruito. E per questo sono necessarie strategia, tattica e forze permanentemente organizzate pur in un contesto che non consente di riproporre la forma dei partiti di massa del secolo scorso.

6) la sinistra, almeno la parte più avanzata, dovrebbe misurarsi con la capacità di definire un’idea forza che si contrapponga sia alla visione del mondo basata sull’individuo proprietario e competitivo del paradigma centrista, sia al tribalismo gerarchico della destra, non solo in termini oppositivi, ma di reale costruzione di un processo di trasformazione che si fondi sull’individuo sociale liberamente cooperativo. La cui base di partenza è in una qualche forma di auto identificazione in termini di classe. Il tema della possibilità di ricostruire un’identità di classe, in un contesto di trasformazione del panorama sociale, di rottura dei meccanismi di trasmissione di idealità e esperienze organizzative da una generazione all’altra e di dispersione fisica dell’attività lavorativa, è questione complicata e non facilmente risolvibile. È però una scelta possibile, diversa da quella basata sul popolo, sull’identità, sulla comunità, anche se può integrare-assorbire elementi di tutti questi ipotetici soggetti collettivi attorno ai quali hanno cercato di costruirsi varie forze politiche della sinistra alternativa con esiti e successi alterni. Anche sul tema delle classi sociali, della loro esistenza e del loro potenziale ruolo politico ci siamo occupati su Transform! Italia (si vedano la recensione del libro di Pier Giorgio Ardeni e il dibattito con l’autore) e altri sono intervenuti recentemente su altri siti con osservazioni interessanti (si legga Jacopo Custodi su Jacobin).

Franco Ferrari

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