Il ritiro di Biden dalle elezioni americane, una lezione per l’Europa

di Alfiero Grandi - strisciarossa.it - 28/08/2024
Sul piano economico e sociale un’economia di guerra dirotta ingenti risorse ed energie, e cancella vite, mentre potrebbero essere usate per stare tutti meglio e affrontare il cambiamento climatico.

Il mondo sta con il fiato sospeso perché capisce che le guerre in Ucraina e tra Israele e palestinesi possono deflagrare in un conflitto più grave, incontrollabile, con potenziali conseguenze devastanti, perfino con il nucleare incombente.
Il ritiro di Biden dalla competizione elettorale negli Usa apre spazi che andrebbero colti con rapidità ed energia, in particolare dall’Europa. La convention democratica di Chicago conferma che la nuova candidatura Harris ha rimesso in campo un’alternativa a Trump che non è più il favorito nelle elezioni di novembre e bisogna augurarsi che perda. Ha detto bene Biden: la vittoria di Trump sarebbe un pericolo per la democrazia negli Usa. E non solo.
Detto questo Chicago non ha sciolto nodi di fondo che è augurabile vengano affrontati ed è sperabile che l’Unione europea vi contribuisca. E’ evidente che gli Stati Uniti, senza sottovalutarne il ruolo, hanno bisogno di alleati che pensano, parlano ed esprimono opinioni con franchezza e autonomia. Altrimenti dominano tentazioni estremiste e iperfedeltà, che tra gli alleati diventa una qualità salvifica. Meloni ne è l’esempio, la sua posizione ultra atlantica le è servita come malleveria per l’accredito.

Scarso il ruolo dell’Unione europea per la pace

 L’Unione europea – purtroppo – non ha svolto un ruolo autonomo per la pace. Negli ultimi anni ha prevalso l’accodamento e una certa confusione tra Nato e Unione Europea. L’appuntamento elettorale americano dovrebbe spingere l’Europa – nell’interesse di tutti a partire dagli Usa – a svolgere un ruolo attivo sui per la distensione e la pace nel mondo, che è il buco nero attuale da cui vengono i maggiori pericoli di guerre devastanti per il futuro del genere umano e per il clima del nostro pianeta. Anche per il futuro dell’opposizione in Italia la pace è caratteristica determinante per il suo futuro.

Le guerre sono sempre più feroci, pericolose. Siamo regrediti dal controllo e dalla riduzione degli armamenti, in particolare nucleari.
Certo bisogna togliere a Trump la possibilità – indimostrata – di apparire uomo della pace. Su Gaza e Cisgiordania Trump espone un misto di erraticità e di mero affiancamento a Nethaniau, i palestinesi non avrebbero futuro. Le chiacchiere di Trump sulla conclusione della guerra in Ucraina hanno un peso solo perché l’altro schieramento non offre un contraltare di iniziative credibile per pace e coesistenza.
Trump finora ha fatto propaganda, millantando rapide quanto improbabili soluzioni di pace. Se fosse in campo una seria proposta alternativa per la pace da parte dello schieramento alternativo a Trump la situazione cambierebbe radicalmente perché strumentalizza all’ennesima potenza la paura dell’altro.

Occorre una seria discussione sulla pace

Biden purtroppo sembra non averlo capito. Occorre una seria discussione sulla pace anzitutto per Ucraina e Medio Oriente e per molte altre aree nel mondo, cui va aggiunta la rincorsa ad armamenti sempre più sofisticati e terribili, sempre più difficili da controllare. Armamenti che purtroppo servono per essere usati con il loro carico di morte e distruzione e Ucraina e Gaza sono tragiche aree di sperimentazione permanente.
L’Europa, i maggiori paesi europei, Italia compresa fin troppo soggiogata da un atlantismo cieco, continuano a girare attorno al problema, confermando una marginalità preoccupante. La soluzione delle crisi è drammaticamente in ritardo, come dimostrano i rischi di escalation e le conseguenze nelle relazioni internazionali, a livelli dei periodi peggiori della guerra fredda.
Manca la fiducia nella coesistenza tra diversi e si divide il mondo tra quelli con noi e quelli contro di noi.
Trump si è ben guardato dal prendere decisioni per terminare la guerra in Afghanistan e ha passato non risolta a Biden questa guerra ventennale, che si è rivelata insostenibile. Biden ha deciso il disimpegno dalla guerra in Afghanistan con approssimazione, con una ritirata disastrosa, lasciando campo libero ai talebani, abbandonando i diritti delle donne, fino alla beffa dell’armamento americano nelle mani dei vecchi nemici.

Una guerra mondiale a pezzi

Purtroppo Biden che pure ha deciso il ritiro dall’Afghanistan lascerà in eredità due guerre tremende, capaci di scatenare l’inferno, insieme a tante altre guerre considerate – a torto – di minore importanza. Ha ragione il Papa quando parla di guerra mondiale a pezzi.

Le relazioni internazionali sono tornate al periodo peggiore della guerra fredda, fondate su un’ideologia manichea (buoni contro cattivi) impressionante. Il dialogo, le trattative per la coesistenza pacifica non possono essere che tra diversi sistemi e concezioni, altrimenti sono alleanze o pensiero unico.
La contraddizione della gestione Biden è evidente in una coazione a ripetere scelte già fallite in passato, confermate da una gestione dei rapporti con i protagonisti.
Putin ha il torto storico di avere invaso l’Ucraina, scoperchiando un vaso di Pandora ed è giusto mantenere una riprovazione forte perché ha rilanciato i peggiori istinti guerrafondai. Nelle sue scelte ha forse pesato la convinzione che la ritirata degli Usa dall’Afghanistan avrebbe lasciato la Russia più libera di svolgere la sua “operazione speciale”, con meno rischi e controindicazioni.
Un errore sciagurato che sta costando caro alla Russia e al mondo.

Non si parla più di cambiamento climatico, si investe solo in armi

Solo 3 anni fa al centro del confronto politico mondiale c’era il clima per contrastarne il cambiamento, era in campo la ricerca della massima cooperazione tra paesi diversi, compresa la condivisione di investimenti in quella direzione. Ora è il contrario: il mondo è spaccato e il cambiamento climatico è relegato in secondo piano, gli investimenti sono dirottati negli armamenti.
Non si può parlare di guerra in Ucraina senza considerare che la distensione e la riduzione delle armi e dei conflitti in un’area ha bisogno di una gestione del contesto in cui possano essere regolati tutti gli aspetti che sono alla base di una trattativa per arrivare ad una soluzione pacifica, condivisa, nel reciproco interesse e garantendo sicurezza.
Dopo la fine dell’Urss nel 1991 la Russia è stata il laboratorio per la reintroduzione di un capitalismo selvaggio, primordiale, che ha portato ad una divaricazione sociale incredibile e all’appropriazione di risorse, ricchezze, potere da parte di un gruppo ristretto, i cosiddetti oligarchi. Anche sotto il profilo politico ed istituzionale l’evoluzione è stata coerente con questo schema, non solo in Russia. L’avvio di una possibile democrazia pluralista ha lasciato il passo ad un voto che doveva semplicemente confermare le mani in cui concentrare un potere politico autocratico, oligarghico. Non a caso è stato coniato il termine democratura. Non è congrua la definizione democrazia illiberale, la democrazia è una cosa, l’illiberale è un altro sistema che contraddice la democrazia.

Quando Usa e Nato favorirono il rientro delle armi nucleari in Russia

E’ poco ricordato che dopo la fine dell’Urss furono proprio gli Usa e la Nato a preferire che l’armamento atomico venisse riunito nelle sole mani della Russia, convincendo gli stati post sovietici con armamento nucleare sul territorio come l’Ucraina a concentrarlo in Russia. Segno che la fiducia era riposta nel soggetto statuale Russia con il quale si pensava di poter raggiungere un equilibrio gestibile, forse una riduzione degli arsenali atomici.
Sul piano strategico è noto che a Gorbaciov, ancora Presidente, era stata promesso un ruolo della Nato – che aveva deciso di non sciogliersi come il patto di Varsavia – non incombente ai confini dell’Urss. Invece dopo l’implosione dell’Urss e la sua frantumazione si è arrivati a prefigurare un accerchiamento della Russia stessa, attraverso anche la Nato.
Paranoia o realtà resta il fatto che attorno alla Russia è cresciuta una cintura della Nato, raddoppiata nei membri, sempre più stretta, comprendente parti dell’ex Urss come stati baltici e paesi ex alleati. L’Ucraina è da tempo un problema irrisolto per dimensione, per storia, per cultura, per problemi militari mal risolti con improbabili accordi sulla flotta russa nel mar Nero, per la presenza di una forte area russofona nell’est, in parte importante filorussa.

La nuova versione della guerra fredda

L’Ucraina è stata incoraggiata dalla Nato a mantenere aperte le tensioni che gli accordi di Minsk avevano cercato di risolvere, fino a prefigurare la sua entrata nella Nato, malgrado la guerra. E’ stata una linea saggia? Non sembra. Se ne vedono gli effetti: rincorsa agli armamenti, aumento delle spese militari, questioni ambientali e del clima che ora sono diventate un eccetera, da affrontare nel tempo libero… dalla guerra, visto che l’ambiente in Ucraina e Gaza è devastato.
Conosciamo gli sviluppi. Putin ha iniziato l’invasione dell’Ucraina che si è rivelata molto più complicata del previsto, scegliendo la soluzione militare e questo ha aperto la strada al ritorno in campo di tutto il vecchio ciarpame di motivazioni e di scelte inumane che porta con sé la guerra, fino al ripresentarsi di una nuova versione della guerra fredda.
L’Italia con coalizioni diverse ha appoggiato l’iniziativa militare della Nato, sostenuta in particolare dal Presidente Biden. La Nato non ha mai scelto veramente finora di cercare di fermare il conflitto e tentare una trattativa di pace. Solo il Papa ha testardamente insistito sulla via della pace.

Diranno gli storici se nella decisione americana di insistere per il conflitto ci siano i segni premonitori di quanto la rinuncia di Biden ha portato allo scoperto e cioè che è più semplice iniziare un conflitto che chiuderlo, perché morti, distruzioni, danni di ogni genere portano inevitabilmente a consolidare opinioni estreme, per quanto irrealistiche, con un uso artefatto dei paragoni storici, ad esempio con la seconda guerra mondiale. Almeno fino a quando distruzioni, morte e stanchezza portano ad improvvisi capovolgimenti, di opinione dopo lutti, distruzioni ed anche peggio.

L’escalation in Ucraina e Russia

Siamo sulla soglia di un possibile salto nel buio, che potrebbe avvicinare il momento della tentazione di usare l’arma atomica. A questo spinge l’uso di armi sempre più letali considerate all’inizio offensive e ora, chissà perché diventate usabili, con qualcuno più radicale che non disdegna l’idea di un conflitto combattuto sul terreno da forze militari europee e della Nato a supporto dell’Ucraina. Perfino Macron ha fatto considerazioni devastanti al riguardo, nel disperato tentativo di recuperare elettoralmente.
Questa logica ha portato l’Europa ad approvare il 14° pacchetto di sanzioni senza chiedersi se non fossero pressoché inutili, perfino un autogoal, una coazione a ripetere decisioni sempre più inutili. Europa incapace di aprire una riflessione nuova per risolvere con pace e trattative la guerra e aiutare gli Usa ad uscire dal pantano.
La campagna elettorale negli Usa, nelle nuove condizioni, obbliga a strappare allo sbruffone Trump la posizione che sarà lui a fare la pace in poco tempo in Ucraina e in Medio Oriente. Meglio non metterlo in condizione di provarci. Non viene avanzata una proposta di nuovo assetto mondiale per bloccare e invertire la tendenza a una nuova divisione del mondo, puntando al contrario ad un rilancio del ruolo delle sedi internazionali come l’ONU e del metodo delle conferenze di pace per risolvere i conflitti, puntando a nuovi accordi per ridurre gli armamenti rimettendo di nuovo il clima al centro, puntando sul metodo della collaborazione tra diversi.

Il ruolo dell’Europa

Una tragica guerra come quella in Ucraina e un conflitto terribile come a Gaza e in Cisgiordania richiedono una netta inversione politica, un cambiamento che Trump non saprebbe e non vorrebbe fare e che invece i democratici americani dovrebbero seriamente considerare, con lo spirito che fu di Rooselvet per regolare i conflitti dopo la 2° guerra mondiale. Il punto è convincere che la guerra non è la soluzione dei conflitti, ma lo è il confronto pacifico e la regolazione internazionale.

L’Europa avrebbe un ruolo da svolgere, finora questo ruolo non c’è stato. Eppure l’Europa deve uscire dal cono d’ombra della subalternità in politica estera che ha portato ad un aumento degli armamenti, delle spese militari, a mettere in secondo piano la ricerca di un ruolo autonomo. L’Europa può essere amica degli Usa senza subalternità.

In questo quadro è impressionante la pochezza delle posizioni dei paesi europei più forti che come la Francia oscillano tra l’orgoglio di essere l’unica forza atomica europea e una pratica a rimorchio degli Usa. Macron ha deluso aspettative e speranze. Anche la Germania non riesce ad avere un ruolo forte e autonomo, neppure ha avuto la forza di denunciare il sabotaggio dei due gasdotti, oggi attribuibili all’Ucraina e al sostegno alleato.

Urgente fermare la guerra, salvare i bambini

L’Europa ha perso un’occasione sul Medio Oriente, avrebbe dovuto riconoscere lo stato palestinese, lanciare una ferma iniziativa su 2 popoli 2 stati, fare sentire ad Israele piena solidarietà sull’attentato del 7 ottobre insieme alla dura critica all’estremismo del governo Nethaniau che ha portato il numero dei morti a Gaza a 40.000, i feriti e i profughi a condizioni inumane, la Cisgiordania fuori da ogni regola dello stato di diritto a causa dell’aggressività dei coloni e della tolleranza di un governo non in grado di guidare un paese di tradizione democratica come Israele. Così si rischia una guerra senza fine con lutti e distruzioni inaccettabili.

L’Europa non è riuscita ad avere una posizione propositiva e ha lasciato soli gli Usa che hanno chiesto moderazione mentre riempivano gli israeliani di bombe e di armi terribili. I 10 viaggi senza risultati di Blinken in Medio Oriente sono il volto comico della tragedia palestinese ed israeliana. Purtroppo Biden è rimasto prigioniero di una contraddizione irrisolta che solo il rilancio di due popoli, due stati potrebbe cercare di risolvere. Resta urgente fermare la guerra, soccorrere i civili, in particolare i bambini.
Quando c’è la guerra i requisiti richiesti ai governanti è essere alleati fedeli, Meloni ne è un esempio vivente, il suo atlantismo radicale e subalterno è stato il biglietto da visita per farsi accettare, almeno nella fase iniziale, salvo cambi di convenienza.
Putin è un autocrate ma i russi potrebbero convincersi proprio con la pace che la situazione deve cambiare, riaprendo i canali dei rapporti si scoprirebbe che la via degli accordi è meglio per tutti e che la coesistenza è meglio della guerra e anche la democrazia potrebbe conquistare una nuova attrattività, altrimenti per la guerra l’autocrazia può rivelarsi più forte.

L’Italia chieda una conferenza di pace

Anche in Italia occorre recuperare una posizione per la pace. La pace non può non essere un punto importante di un programma politico alternativo alle destre. Bisogna fermare la strategia dell’escalation degli armamenti che tutto distorce e tutto distrugge. E’ decisivo rilanciare con serietà ed impegno una prospettiva di pace, chiedendo un impegno corale per una conferenza di pace, modello Helsinki. Se le iniziative di pace sono promosse da parti in conflitto senza le altre o autoattribuendosi un ruolo superiore all’Onu vuol dire che le iniziative sono finte e si persegue solo la vittoria. Manca finora una proposta concreta sulla pace cercando personalità in grado di fare da esploratori in questo senso. Non ha senso lanciare nomi ma è possibile immaginare un elenco senza difficoltà.
Sul piano economico e sociale un’economia di guerra dirotta ingenti risorse ed energie, e cancella vite, mentre potrebbero essere usate per stare tutti meglio e affrontare il cambiamento climatico.
Dal nucleare alle armi convenzionali, alle forze di interposizione, tutto dovrebbe parlare di prospettiva di pace, basta con i conflitti sanguinosi, della maggior parte dei quali ci si dimentica, come il Sudan.
Altrimenti dalla privatizzazione tendenziale delle guerre, che già è una deriva non da poco, si potrebbe arrivare a decisioni tragiche, fino al conflitto nucleare.
In questi anni è cresciuta una tensione che sta arrivando a livelli sempre più pericolosi e che ripropone divisioni come durante la guerra fredda, almeno altrettanto pericolose, con la torsione verso un contrasto tra potenze e loro coalizioni. Questa deriva va fermata prima che sia troppo tardi, questo è un impegno che l’alternativa politica alla destre deve prendere per essere credibile.
La novità dei democratici Usa porta a sperare in un cambiamento di approccio, ci vorrà tempo ma occorre iniziare ora.

Alfiero Grandi

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