Il vecchio continente…deve reagire, a cominciare da una vera Unione della Difesa, costruendo un’Unione federale e difendendo l’Ucraina. Così, in un’intervista di Repubblica a Daniel Cohn Bendit, che così conclude: “spero che gli storici futuri (ma ci saranno? ndr) potranno dire: ‘l’Europa ha vinto contro il mondo del male, ossia gli Usa, la Russia e la Cina’” (e tutto o quasi l’ex Terzo mondo. ndr). Cioè, “buoni”, l’Europa; e “malvagi”, tutti gli altri. E’ il punto di approdo di una deriva che ha portato molto lontane tra loro vite che più di mezzo secolo fa si erano trovate accomunate nelle lotte del ’68 e dei primi anni ’70. Una distanza cresciuta nel corso degli anni ma resa ancor più profonda con l’esplosione della guerra in Ucraina: un percorso analogo a quello di Adriano Sofri, di cui sono stato e sono amico ed estimatore della sua intelligenza e della sua onestà intellettuale; come lo ero e sono di Daniel Cohn Bendit. L’esito obbligato di quelle derive è la militarizzazione della società in vista della guerra: calda, fredda o ibrida, locale o globale, convenzionale o nucleare; chi può dirlo?
Ma affidare la ricostituzione di un’identità libealdemocratica europea alle armi, alla sua militarizzazione, là dove hanno fallito la politica istituzionale, il mercato, la finanza, l’euro, il vantato primato ambientale e quel simulacro di transizione che è stato il Green Deal significa consegnare il destino dei popoli europei agli Stati maggiori delle forze armate e all’industria delle armi. Scompare così dall’orizzonte di chi ha percorso quella deriva qualsiasi preoccupazione per il futuro del pianeta e di ogni suo territorio, minacciati dalla crisi climatica: ha un bel dire, Cohn Bendit, che Trump ha cancellato il problema; chi opta per il riarmo come priorità compie la stessa scelta, ma senza dichiararlo. E non è poco.
Ma scompare con essa anche il frutto più ricco e promettente della presa di coscienza di mezzo secolo fa: la lotta al patriarcato, portata “in prima linea” dal femminismo. Che non è solo lotta alla violenza sulle donne – residuo di un passato che resiste o emergenza di una difficile transizione – ma è denuncia e decostruzione di ogni forma di dominio: lo sviluppo di quello che era stato – soprattutto per Cohn Bendit – il programma del ’68 e delle lotte di fabbrica e sociali degli anni successivi: la destituzione del potere degli oppressori sugli oppressi (Fraire), di chi comanda su chi è condannato ad obbedire, del prepotente sui diritti degli altri e – come ci mostra l’attualità degli “effetti collaterali” della guerra – dell’ipocrisia sulla verità, della corruzione sull’onestà e del cinismo sulla fraternità e sulla sorellanza. Vi contribuisce una visione del mondo ridotta a una giocata a Risiko, dove ci sono solo guerre, armamenti, confini, conquiste, vittorie o rese: una visione innescata dal sostegno a oltranza dell’Ucraina aggredita - con armi altrui e sacrificio di soldati locali - senza alcuna prospettiva di sbocco se non il crollo della Federazione Russa o una ecatombe nucleare, senza mai prospettare un negoziato sensato o anche solo una tregua vera.
Come scrive l’appello firmato Scienza Medicina Istruzione Politica Società (www.smips.org), “Si tratta dell’ultimo stadio della forma economico-sociale dominante, consistente in un capitalismo militarizzato, che per presidiare il dominio del
denaro e di una finanza incondizionata, procede alla militarizzazione non solo di tutto ciò che attiene alla cosiddetta sicurezza, ma della intera, cioè della mente, del cuore, della cultura, dell’informazione, dell’Accademia, della scuola”. Ma quella corsa alla militarizzazione della società si rivela, giorno dopo giorno, diretta non solo verso l’esterno, “il nemico”, ma anche e soprattutto verso l’interno: il migrante (in un’epoca in cui milioni di abitanti del pianeta saranno costretti ad abbandonare le loro terre, rese invivibili da guerre e crisi climatica), l’escluso, il dissidente, il povero; la guidano in questa direzione i governi dell’Unione Europea (rientrati, dopo la Brexit,… nel Regno Unito) ma, in ultima analisi, ancora gli Stati Uniti; e non solo quelli di Trump: “Fuck the EU!” diceva una portavoce di Obama innescando la vicenda che ha portato all’invasione dell’Ucraina da parte di Putin: e i governi dell’Unione europea allora come fino a ieri, non hanno fatto che adeguarsi…
Oggi tutto l’establishment occidentale - non solo governi e partiti, ma anche media, Università e associazioni professionali impegnati a convincerci che non c’è alternativa alla guerra - va contrastato in nome della diffusa volontà di pace che persino i sondaggi riconoscono maggioritaria ovunque e che le manifestazioni per la Palestina in corso in tutto il mondo mettono in evidenza con il loro rinnovato attivismo. Stiamo assistendo o siamo attori, in diversa misura e con diversa intensità, di una mobilitazione mondiale che ai temi della pace e del contrasto al riarmo accomuna in misura crescente difesa dell’ambiente, dei salari, dell’occupazione, della salute, dell’istruzione: tutte vittime designate della corsa alle armi. Ma nei popoli, tra la “gente”, il desiderio di pace è ben più esteso dell’arco delle associazioni e dei movimenti che si riconoscono in questa convergenza di temi. Per questo è urgente che le organizzazioni coinvolte nelle attuali mobilitazioni si facciano promotrici, a livello per lo meno europeo, di un appello rivolto anche a tutte le forze contrarie a guerre e militarizzazione – quali che siano le loro posizioni sulle altre questioni di ordine sciale e ambientale – affinché si impegnino, nei rispettivi ambiti, a portare contraddizioni e disgregazione dentro il furore bellico dei propri rappresentanti.
Il tempo è ora!


