Negli ultimi mesi di questa epoca di valori frantumati e democrazie fragili, tra la gente ancora dotata di visione e di umanità si respira un generale sentimento di preoccupazione, che sconfina sempre di più nella paura. La svolta autoritaria e illiberale degli Stati Uniti, l’assalto di Trump all’Europa, l’emergere in politica di uomini potenti, ricchi e capaci di inquinare la verità, come Elon Musk, l’ascesa, in molti Paesi europei, di forze politiche ispirate a una destra reazionaria, stanno creando un cocktail esplosivo che mina la fiducia in un futuro di pace. Non è una novità quella di un mondo polveriera, attraversato da conflitti terribili, idee indecenti e ingiustizie inaccettabili, ma c’è qualcosa di nuovo, qualcosa che indebolisce i possibili antidoti a tutto questo. Le falle della democrazia moderna, gli errori compiuti da chi avrebbe dovuto esserne modello credibile, l’hanno indebolita, offrendo ampio spazio al virus distruttivo dei reazionari.
È un processo che ha radici lontane e richiama il mutamento globale, economico, tecnologico e politico iniziato nella prima decade del nuovo millennio, un mutamento che ha trasformato anche i rapporti sociali, la cultura, l’essere umano stesso. Nella società liquefatta che ne è venuta fuori, si sono così dissolte anche le più vitali resistenze, le forme più forti di solidarietà sociale, le tradizionali dinamiche di gestione e di governo di uno Stato, i principi cardine del ruolo e dei doveri di chi fa informazione. Nei giorni degli straripanti, rozzi, dittatoriali ed eversivi progetti di Donald Trump e della sua accolita, mentre ci si interroga sulle risposte dell’Europa e sulla sua capacità di ritrovare forza e di contenere l’avanzata dei vassalli “sovranisti” (pronti a sacrificare immediatamente il loro finto patriottismo e sottomettersi agli USA), ciò che fa più paura è analizzare il popolo, i cittadini, il loro sentire. Perché è lì, in quel consenso o in quella drammatica indifferenza, che storicamente si consolida la ferocia del potere. Ed è qualcosa che, chi ha lavorato a lungo per costruire la società attuale, sapeva fin troppo bene.
Se facciamo riferimento all’Italia, ad esempio, la disaffezione alla politica, il rintanarsi in una vita fatta di lavoro e svago e null’altro, l’ignavia, l’indifferenza verso quello che succede agli altri, tutto questo lo si rintraccia nel non voto, nella scarsa partecipazione alla società civile. La sempre minore abitudine alla lettura, alla riflessione, la banalizzazione di ogni concetto, l’idea che il politicamente corretto sia disturbante, così come lo sono concetti come il femminismo, i diritti, l’istruzione, la lotta al razzismo, la necessità di tutelare l’ambiente, sono gli effetti di una trasformazione antropologica che rende fertile il terreno dell’autoritarismo reazionario. Perché esso si basa proprio su questo: sul bollare come un ostacolo tutto ciò che richiama al rispetto dei diritti e dei processi democratici, sull’etichettare come nemico chiunque si trovi in una situazione di svantaggio o debolezza, sul considerare la natura qualcosa da assoggettare senza alcuna regola in nome del profitto, sul banalizzare i concetti e scimmiottare la cultura.
Qualche anno fa, il Censis, in una sua indagine, rilevava che il 48,2% degli italiani intervistati voleva un uomo forte al potere, qualcuno che governasse senza dover tenere conto di Parlamento ed elezioni. Quasi un italiano su due, un risultato che avrebbe dovuto allarmare la politica e che, invece, ha spinto una sua parte a cavalcare quel sentimento. Non a caso, l’ascesa di Giorgia Meloni ha portato alla guida del Paese un governo che ha ridotto e continua a ridurre gli spazi democratici e di dissenso, occupando ogni pezzo delle istituzioni, attaccando a testa bassa e cercando di indebolire i contrappesi costituzionali e quei poteri dello Stato che sono ancora indipendenti rispetto ai voleri del governo. Un processo che ricalca, almeno nel progetto di questa destra eversiva e intollerante, il modello ungherese, quello di Orbàn, nel quale le garanzie e i diritti sono calpestati costantemente. Con buona pace di quella Unione Europea che non è stata mai capace di dare un ultimatum serio e, nel caso, di espellere la ribelle Ungheria dal consesso dei Paesi membri.
La pericolosa convergenza di questo modello di destra con le mire plutocratiche dei signori dell’economia high-tech, unita all’atavica debolezza delle forze di centrosinistra, incapaci di coraggio e più preoccupate, in questi anni, di inseguire l’elettorato e la destra, invece di esprimere una posizione non negoziabile e distinta su temi pregnanti, stanno spalancando le porte a un mondo sempre più dominato da chi vuole controllare la libertà, di movimento e di pensiero, delle persone. Un mondo nel quale l’ordine sia stabilito da una sola potenza, arrogante, irrimediabilmente razzista, integralista sul piano religioso e militarmente capace di cancellare chiunque. Ma la vera forza, di questo modello, quella indispensabile, rimane l’identificazione del popolo con quello schema di pensiero, la sua placida adesione, che si trasforma in vigilanza spietata e violenza feroce su tutto ciò che è difforme.
In questo schema, l’odio è la benzina più preziosa e a buon mercato, il collante che permette al sistema di alimentarsi e stare in piedi. Contro quell’odio servono allora verità e coraggio. La verità è il bene irrinunciabile, in questa epoca nella quale si fabbricano e ingoiano menzogne continue e si assegnano qualità inesistenti a leader insipienti e sconsiderati. Bisogna infatti ristabilire l’equilibrio anche nei giudizi, evitando di sforzarsi per rintracciare improbabili elementi positivi solo per apparire più moderati e ottenere ascolto. In un mondo fatto di verità, e quindi molto diverso da quello nel quale stiamo vivendo, personaggi come Donald Trump, Javier Milei o Giorgia Meloni non sarebbero esaltati ma relegati al ruolo marginale di macchietta politica o fenomeno da baraccone e non sarebbe in alcun modo possibile per loro aspirare a governare un Paese.
Oggi, invece, tra la gente, ad ogni livello, c’è chi esalta o difende le ragioni di Trump, ne minimizza le maniere rozze e le strategie violente, certificando la vocazione autoritaria e discriminatoria e i progetti antidemocratici come delle “qualità”. Stessa cosa accade con Giorgia Meloni, descritta a lungo, anche da chi era al suo opposto, come una donna comunque capace, una politica coerente e astuta, che ha il difetto di essere circondata da un gruppo dirigente inadeguato e impreparato. Seppur quest’ultimo aspetto corrisponde al vero, il resto è invece frutto di visioni parziali o false, espresse solo per qualche forma di piaggeria e di convenienza o per mancanza di coraggio. Per accorgersene, basta ascoltare anche solo l’ultimo discorso di Meloni, in occasione del suo intervento al Cpac, la Conferenza dei Conservatori americani capeggiati da Trump.
Un discorso che arriva dopo giorni di silenzio sui temi che imbarazzano il governo italiano e sulle questioni di politica estera sulle quali la premier italiana si è mossa con la stessa stabilità di un vessillo esposto su una valle ventosa. Il suo intervento è stato un elenco risibile di bugie sulla situazione economica del nostro Paese, sull’occupazione “a livelli record” e sull’economia che cresce. E poi la solita ossessione dell’immigrazione come minaccia, l’attacco all’ambientalismo e alla visione di un futuro green, le accuse alla presunta ideologia woke e la difesa della famiglia e della religione. Insomma, il solito miscuglio qualunquista, vuoto, pericoloso che oggi accomuna le destre mondiali. Come di consueto, nessuna visione, nessun ragionamento politico, ma anzi una placida, sommessa, servile testimonianza di obbedienza agli USA e al suo presidente. D’altra parte, cosa pretendere da chi fugge dalle risposte, per timore di sbagliare, per incapacità, perché non ha alcuna conoscenza giuridica, storica, politica al di fuori della sua struttura ideologica, con la quale ha nutrito la propria formazione?
Insomma, a governare lo Stato più potente al mondo e l’Italia sono due personaggi che potremmo benissimo trovare in un qualsiasi bar, una mattina qualunque, mentre commentano le notizie, tra uno slogan, una battuta, un po’ di complottismo e quella fiera arroganza che ti fa desistere dall’idea di ribattere, perché sarebbe tempo sprecato, utile solo a far raffreddare il tuo caffè. E a prendere coscienza che purtroppo, una volta posata la tazzina e girato lo sguardo verso la sala, gli altri clienti sarebbero d’accordo con loro. Perché la loro semplificazione rozza è efficace, perché usano mezzi spicci, parole feroci, concetti banali, insomma tutto quello che serve a un mondo che corre veloce e deciso. Verso il baratro.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org