La Cina sforna scienziati. Draghi pensa al turismo

di Francesco Sylos Labini - Ilfattoquotidiano.it - 20/09/2024
Un’economia orientata verso il turismo, da una parte avvantaggia le rendite e dall’altra porta alla subalternità tecnologica e scientifica

La spettacolare crescita della Cina ci insegna che volendo è possibile cambiare le cose, e anche piuttosto velocemente. Vediamo qualche numero per quello che riguarda ricerca e innovazione. Qualche mese fa l’Economist ha pubblicato un articolo dal titolo La Cina è diventata una superpotenza scientifica: la Cina ha infatti superato gli Stati Uniti e l’intera Unione europea per numero di articoli scientifici di grande impatto prodotti ogni anno e la crescita è stata incredibilmente rapida: “Nel 2003 l’America ha prodotto 20 volte più articoli ad alto impatto rispetto alla Cina, nel 2013 4 volte e, nell’ultima analisi dei dati, che esamina gli articoli del 2022, la Cina ha superato sia l’America sia l’intera Unione europea”. La Cina è oggi un importatore netto di scienziati: “Dalla fine degli anni 2000, sono più gli scienziati che rientrano nel Paese che quelli che ne escono”; inoltre, nel 2020 le università cinesi hanno rilasciato 7 volte più lauree in Ingegneria rispetto agli Stati Uniti. Entro il 2025, si prevede che le università cinesi produrranno quasi il doppio dei dottori di ricerca in scienza e tecnologia rispetto agli Stati Uniti.

Guardando ai brevetti, che sono importanti in quanto stimolano lo sviluppo scientifico e portano alla nascita di nuove tecnologie e di interi settori produttivi, troviamo che, secondo l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale delle Nazioni Unite, nel 2021 su 1.608.375 brevetti in diversi settori, l’87% è stato concesso a innovatori di soli sei Paesi: la Cina col 37,8%, gli Stati Uniti col 17,8%, il Giappone col 16,0%, la Corea del Sud col 9,85, la Germania col 4,3% il Regno Unito col 1,2% e il resto del mondo col 13,1%. La Cina ha raggiunto la vetta della classifica nella produzione di brevetti in 29 dei 36 settori totali, tra cui la tecnologia informatica, i macchinari elettrici e la comunicazione digitale. Gli Stati Uniti si sono piazzati al secondo posto e sono in testa in soli quattro settori. L’Europa nel suo insieme ha una posizione marginale.

Tutto questo è avvenuto grazie al fatto che “la spesa della Cina per ricerca e sviluppo è cresciuta di 16 volte dal 2000” (Economist) e non mostra alcun segno di arresto, mentre la spesa degli Stati Uniti, come anche quella dell’Europa, è praticamente in stallo. Nel suo rapporto Mario Draghi nota questo divario ma invece di proporre di risollevare l’intero sistema della ricerca, consiglia di coltivare le sole eccellenze: una ricetta vecchia e fallimentare già applicata sia nel nostro Paese sia in Europa e che ha portato all’accentramento delle risorse e del potere in pochi poli secondo la logica dello sgocciolamento, lasciando deperire la gran parte del sistema universitario e soffocando lo sviluppo di nuove idee.

Tutto questo è molto chiaro da troppo tempo a chiunque non abbia le lenti ideologiche neoliberali, e nel nostro Paese la responsabilità è di certo di una classe imprenditoriale imbarazzante che ha dettato l’agenda a una classe politica anche peggiore. Ricordiamo la famosa giustificazione di Silvio Berlusconi ai tagli all’università del 2008: “Perché dobbiamo pagare uno scienziato se facciamo le scarpe più belle del mondo?”. E ricordiamo anche che Mario Draghi, mai votato da nessuno, è stato il motore politico della trasformazione del nostro paese da potenza industriale negli anni Novanta a economia basata sul turismo, facendo tesoro del consiglio del prof. Luigi Zingales da Chicago secondo cui l’Italia non ha un futuro nell’università e nella ricerca avendo però un futuro enorme nel turismo. Sembrava una battuta, ma era un programma politico che è stato realizzato.

A dodici anni di distanza questa retorica ha varcato i confini nazionali e il Wall Street Journal ha recentemente dedicato un articolo al “nuovo motore economico dell’Europa”: i turisti americani. Si prospetta, cioè, un’economia basata sul turismo di massa che al momento sta subendo una fase di sviluppo specialmente nel Sud Europa. Tuttavia, non bisogna avere un Ph.D. all’Università di Chicago per sapere che il turismo è un settore caratterizzato da impieghi a basso valore aggiunto, spesso precari e senza tutele che non richiedono laurea o specializzazioni significative. Per contro un’economia orientata verso il turismo, da una parte avvantaggia le rendite e dall’altra porta alla subalternità tecnologica e scientifica. Questo è il futuro che la gerontocrazia al potere, di cui Draghi è il campione, ha preparato per il nostro paese e per l’Europa. La strada da percorrere deve essere invece quella di sviluppare le forze intellettuali e culturali del Vecchio continente rafforzando il sistema universitario nella sua interezza e cercando di costruire ponti anche con la maggiore super-potenza scientifica mondiale, cioè con la Cina.

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