La sfida che il Covid 19 ha dichiarato all’umanità è la rappresentazione plastica paradossale del concetto di “limite allo sviluppo” che per altri versi da molto tempo impegna il confronto tra i sostenitori di visione economiche contrapposte.
I difensori a oltranza dell’economia della crescita a ogni costo, i misuratori di PIL, ovvero della quantità come principale, se non unico, mezzo di misurazione della ricchezza, quindi della potenza delle nazioni, e per questo della forza e del consenso ai governi, oggi sono disoccupati.
Un nemico invisibile, impalpabile, incontrollabile, s’è insinuato, nelle pieghe dei circuiti borsistici, nelle scrivanie dei Board delle multinazionali, nelle stanze del potere e ha spento l’interruttore, fermato i motori, bloccato le macchine dell’economia globale, le borse sprofondano nel rosso più nero che si potesse immaginare, ma ciò non è più fondamentale.
Al prezzo di decine di migliaia di contagiati e di migliaia di ammalati e morti, questa guerra sanitaria ha preso in tre mesi il posto delle guerre degli indici, dei future, dei junk bond, dei derivati, degli swaps, dei long term investments, dei commercial paper e di tutte le diavolerie finanziarie che hanno inondato le nostre piazze per anni, all’insegna di un’economia totalmente asservita alla finanza.
La guerra alla fine sarà vinta dalla scienza medica con l’azione di contenimento prima e di immunizzazione successiva che avverrà, in un lasso di tempo auspicabilmente breve, ma certamente è una terribile prova che sta mettendo in discussione come mai era avvenuto, le basi stesse dell’economia capitalistica globalizzata, la crisi del 2008 e perfino quella catastrofica del 1929, appaiono di portata inferiore.
I paradossi si moltiplicano: chi avrebbe mai immaginato che i governi tornassero a decidere cosa, come e dove si produce. Finora la liberalizzazione assoluta aveva definito che solo il Mercato poteva regolare le decisioni: si va dove il lavoro costa meno, dove le materie prime sono a buon mercato, soprattutto dove si pagano meno tasse, nessuno lo può impedire, altrimenti il Dio Finanziario fa aumentare i tassi, gli spread, aggrava l’indebitamento, mette in ginocchio ministri e parlamenti.
Un altro paradosso è il miglioramento relativo, delle condizioni ambientali: cieli più tersi, mari più limpidi, sparito lo smog dalle città. Certo si dice è innaturale osservare le strade vuote, i treni e gli aerei fermi, le navi in quarantena. Doveva accadere un evento così traumatico per mostrare con evidenza che l’appestamento dell’aria, forse potrà essere una concausa primaria dell’aggravamento di questa terribile malattia come di molte altre?
Terzo paradosso: il rapporto con gli altri. Scopriamo che l’altro può infettarci e quindi siamo chiusi in casa e nello stesso tempo però più consapevoli di avere un destino comune con tutti, i vicini, i concittadini, con i confinanti, con l’Europa e con i cinesi, con tutti gli altri continenti, perché se pure momentaneamente ci salviamo potremo riammalarci se non ci curiamo bene e potremo infettare o essere infettati. Un destino comune a tutta l’umanità, senza distinzioni di razza, di latitudine, di Nord e di sud. Dove stanno i teorici di “prima gli italiani” di “American first” di tutti i muri e di tutte le “exit”. Non c’è muro che tenga.
Ora da tutto questo sconvolgimento, non sappiamo ancora veramente, nessuno lo sa, come ne usciremo. Certo non c’è da illudersi con una catarsi universale, una spiritualità nuova o un nuovo umanesimo a seconda delle tendenze filosofiche, non è al momento da mettere nel conto dei cambiamenti realizzabili facilmente, sarebbe illusorio conoscendo la natura profondamente violenta dell’economia.
Mi sovviene un concetto molto affascinante sviluppato nell’ambito di un dibattito che l’Accademia dei colloqui di Dobbiaco, prestigioso istituto di studi sull’ambiente, svolge ogni anno su una materia collegata all’ecologia.
In quell’amena sede incastonata nella splendida cornice delle tre cime di Lavaredo, nel 2008 si svolse il consueto seminario con la partecipazione di esperti italiani, tedeschi, austriaci ed europei intitolato “la giusta misura” un’idea che intendeva trovare una sintesi tra esigenza di cambiamento degli stili di vita, nel mantenimento di un’economia evoluta e di mercato ma indirizzata alla tutela dell’ambiente, e un nuovo equilibrio tra quantità e qualità. Il tentativo di compiere un passo avanti anche rispetto alla teoria molto contrastata di “decrescita felice” di Serge Latouche e di Maurizio Pallante https://www.kulturzentrum-toblach.eu/it/colloqui-dobbiaco/archivio/archivio-2008/.
Ora concetto di “giusta misura”, in sé molto lineare e suggestivo, può ritrovare vigore e anche concreta possibilità di essere sperimentato, dal momento che questa nuova situazione ha modificato radicalmente le condizioni e i limiti del governo globale dell’economia e si possono aprire nuove prospettive, nel mentre che lottiamo per difenderci dall’invisibile nemico. E’ una speranza ma forse anche un nuovo terreno di lotta e di confronto.
Esistono nuove e prodigiose possibilità di riconvertire in termini di sostenibilità ogni tipo di produzione (da quella energetica a quella agricola e agroindustriale), la mobilità e i trasporti, i beni durevoli e quelli di consumo. Si tratta di capire quali forze condurranno le scelte fondamentali da ora in avanti. Gli ultimi sviluppi dell’epidemia, e i provvedimenti stringenti del governo che dispongono, in accordo con le parti sociali, la fermata dei settori produttivi non essenziali, rappresentano un evento straordinario, nemmeno mai ipotizzato. Un ulteriore “paradosso” che può prefigurare importanti cambiamenti nelle relazioni economico-sociali, per un futuro dai lineamenti come mai incerti.