La legge Gattopardo per sostenere Meloni

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 20/05/2025
Per mantenere la poltrona a Palazzo Chigi basta la legge elettorale. Il resto è un optional.

Leggiamo che Tajani consegna al gruppo dirigente di Forza Italia il Meloni-pensiero sul sistema elettorale, confermando quel che sapevamo. Proporzionale con soglia al 40%, premio di maggioranza al 55%, liste bloccate (probabilmente solo) sul capolista. Cosa possono o debbono fare le opposizioni? Esiste un’alternativa?

Sgombriamo subito il campo da inutili chiacchiere. Supererebbe una simile legge il vaglio di costituzionalità della Consulta? Molto probabilmente sì. Rilevano due sentenze: 1/2014 e 35/2017. Pronunce forti sui principi, ma deboli come argine alla discrezionalità legislativa, in specie per la premessa che vanno bilanciate rappresentatività e governabilità. La Corte ci dice che al premio deve accompagnarsi una soglia, stabilita però dal legislatore. Cosa potrebbe opporre alla previsione del 40%? Lo stesso vale per il premio al 55%, considerando che è requisito ragionevole per la governabilità la maggioranza assoluta dei componenti.

Per le liste (brevi) no al blocco totale, sì a quello parziale (come sarebbe per il solo capolista). Che però basta di fatto a consegnare in larga misura ai vertici di partito la scelta dei parlamentari. Per un verso la gestione elastica del rapporto con il decisore politico è una saggezza necessaria per il giudice delle leggi. In un paese democratico c’è una tensione inevitabile con il decisore politico eletto. Ma un eccesso di saggezza indebolisce la funzione di garante della Costituzione, impattando anche su quella del presidente della Repubblica. La possibile o probabile benedizione in Consulta esclude infatti la “manifesta incostituzionalità” che la prassi richiede per l’esercizio di poteri formali del Presidente, come un rinvio alle Camere (art. 74 Cost.).

Alternative? Guardiamo ai punti fermi del Meloni-pensiero. Il primo: la soglia del premio al 40% non pone problemi alla maggioranza, che altresì per i sondaggi mantiene dal voto 2022 uno stabile vantaggio sulle opposizioni. Il secondo: il premio del 15% sulla soglia assicura un esito analogo al Rosatellum (circa 44% dei voti, Camera 59% e Senato 56% dei seggi). Il terzo: la lista bloccata pur solo sui capilista consente un adeguato controllo delle assemblee. Tutto questo concede al premier la sostanziale investitura popolare con maggioranza sicura in sede parlamentare voluta da Meloni. Che assumiamo contraria, invece, a un proporzionale senza premio, e a preferenze sull’intera lista. Del pari contraria a modelli alternativi come il doppio turno, che consentirebbe ai perdenti nel primo di coalizzarsi. Una opzione sgradita a FdI, e forse anche al Pd.
Riusciranno le opposizioni a incidere?

Probabilmente no, e chissà se lo vogliono davvero. Si è dimostrata illusoria l’idea che il maggioritario avrebbe favorito una evoluzione bipartitica assistita da una fisiologica alternanza. Ha invece consolidato la frammentazione e ha reso inevitabili coalizioni eterogenee in cui anche i partiti minori, comunque necessari per la vittoria, hanno un potere contrattuale. Mentre a tutti torna utile controllare la scelta dei parlamentari. In sostanza, il Meloni-pensiero riproduce l’esistente. È una legge elettorale Gattopardo, che tutto cambia perché tutto rimanga com’è. Al più, rende superfluo il premierato.

Più precisamente, la legge elettorale (ordinaria) disegna in vista delle elezioni del 2027 un modello che rimane poi modificabile. La riforma costituzionale ingessa anche il futuro. La prima si sottrae in larga misura, per la giurisprudenza della Consulta, al referendum abrogativo, mentre il premierato è a rischio di un voto popolare, e senza quorum. Ma Meloni non punta a rafforzare politica e istituzioni per la salus rei publicae. Questo richiederebbe altro, e ne parleremo. Per mantenere la poltrona a Palazzo Chigi basta la legge elettorale. Il resto è un optional.

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