La propensione di questa destra al governo a demolire i caratteri fondamentali della Costituzione si basa su due progetti: il primo punta alla modifica della forma di governo e della forma di Stato attraverso l’introduzione del cosiddetto presidenzialismo alla francese; il secondo punta a rompere i presidi di eguaglianza e solidarietà che danno corpo all’unità della Repubblica, attraverso la realizzazione della cosiddetta “autonomia differenziata”, sulla falsariga delle richieste già avanzate da tempo da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Il secondo progetto è quello più pericoloso perché, ove andasse in porto, realizzerebbe una riforma irreversibile, avverso la quale non c’è rimedio alcuno. Se il percorso di una riforma costituzionale sbagliata, ove non approvata con maggioranza dei due terzi nelle due Camere, può essere bloccato dal corpo elettorale con il referendum (com’è già avvenuto due volte, nel 2006 e nel 2016); se il Parlamento è sempre libero di modificare con la stessa procedura una riforma costituzionale, ove maturi la consapevolezza della sua insostenibilità; avverso la legge che approvi le intese stipulate fuori dal Parlamento fra il governo e le Regioni non è possibile esperire rimedio alcuno. Non sarebbe ammissibile il referendum abrogativo, né il Parlamento potrebbe modificare le intese stipulate senza il consenso delle Regioni interessate.
Orbene, la Regione Veneto, la Lombardia e (parzialmente) l’Emilia-Romagna, in preda a una bulimia di potere, rivendicano l’attribuzione della competenza piena su tutte le 23 materie per le quali l’articolo 117 della Costituzione ha disposto che le Regioni abbiano competenza legislativa concorrente con lo Stato. Come se non bastasse, queste Regioni rivendicano anche quelle materie di competenza esclusiva dello Stato come le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Orbene, la crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia e dalle conseguenze della guerra in Ucraina ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro. È emersa l’esigenza di rafforzare il ruolo dello Stato con l’implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate a ridurre i divari territoriali e consolidare l’unità del Paese. Invece, proprio i beni pubblici fondamentali dell’istruzione, della salute, del lavoro, della tutela dell’ambiente verrebbero soggetti a disintegrazione in un’Italia ridotta a un insieme di repubblichette. Particolarmente inquietante sarebbe la frammentazione dell’istruzione che porterebbe un attentato all’unità spirituale del nostro Paese e all’eguaglianza dei cittadini, poiché la scuola, come insegna Calamandrei, è la principale istituzione dell’eguaglianza, il primo presidio della Repubblica istituito per “rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
A questo punto sorge la domanda: cosa si può fare per sventare questo pericolo che grava sulla Repubblica? Migliaia di cittadini si sono mobilitati con proteste e manifestazioni di massa, ma tutto ciò non basta. La miglior difesa è sempre l’attacco. Bisogna portare avanti un’iniziativa politica mirata a correggere le contraddizioni dell’avventata riforma del Titolo V, approvata dal centrosinistra nel 2001, per sventare i pericoli che nascono dall’interpretazione leghista di queste norme. Un gruppo di costituzionalisti, coordinati dal prof. Massimo Villone, ha messo a punto una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta alla modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione.
I punti essenziali sono tre: la riscrittura dell’articolo 116.3; la rivisitazione dell’articolo 117, con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella esclusiva dello Stato; l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale. La proposta lanciata dal coordinamento per la Democrazia costituzionale è stata fatta propria dai tre sindacati confederali della Scuola (Cgil, Cisl e Uil), dallo Snals e dalla Gilda. La raccolta delle firme online è iniziata il 10 novembre (per firmare si può andare al sito del Cdc: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it). Si potrà anche firmare ai banchetti realizzati in sede locale. A differenza che nel passato, le leggi d’iniziativa popolare non sono destinate a restare nel cassetto, perché il nuovo regolamento del Senato impone che siano portate in aula in tempi ragionevoli. C’è quindi la possibilità concreta di aprire una contraddizione politica all’interno del palazzo, che potrebbe rendere molto più accidentato, se non bloccare del tutto, il progetto dell’Autonomia differenziata.