Il sogno di Salvini si è infranto sul voto dell’Emilia Romagna. Dopo la sconfitta i leghisti si leccano le ferite e si comportano come la volpe che non riusciva ad arrivare all’uva. È la conferma che puntavano seriamente a conquistare una regione storicamente governata dalla sinistra e per comune riconoscimento, anche degli avversari, con buoni risultati. Ora la Lega deve ripensare ai suoi obiettivi e dovrà anzitutto discuterli con Fratelli d’Italia e Forza Italia che in Calabria ha ottenuto un buon risultato numerico. I toni sono già cambiati, restano toni rabbiosi, ma gli obiettivi sono diluiti nel tempo: il voto nelle altre regioni a primavera, le comunali a Roma nel 2021. Per ora è sparito l’assillo leghista che sosteneva la sequenza: vincere in Emilia per pretendere la crisi di governo, poi le elezioni anticipate. Attualmente sembra di moda non ammettere le sconfitte, che anzi vengono presentate propagandisticamente come una quasi vittoria. Anche lo schieramento vittorioso ha di che riflettere perché se Bonaccini ha retto il confronto portando nella campagna elettorale i risultati del governo regionale, va detto con chiarezza che senza la presenza politica delle sardine il confronto sul piano politico generale sarebbe stato molto complicato. Infatti se era un argomento forte sostenere che le elezioni erano regionali e su questo piano il confronto era nettamente a favore di Bonaccini, non si poteva lasciare sguarnito il confronto politico nazionale, certo usato strumentalmente ma anche di grande impatto sul futuro del paese e quindi era importante rispondere anche su questo piano.
Del resto l’Emilia Romagna è sempre stata un modello di governo con ambizioni nazionali e non comprendere questo aspetto avrebbe mutilato le potenzialità degli argomenti e la capacità di mobilitazione. Per questo le sardine hanno avuto un ruolo decisivo e il risultato finale è anche merito loro. Infatti le sardine hanno deciso di rispondere all’aggressività della Lega con toni ben diversi, hanno detto chiaramente che era finita l’epoca in cui la Lega poteva spadroneggiare senza avere risposte adeguate in campo, in particolare nelle piazze. In sostanza l’alternativa dei partiti alla Lega non ha saputo trovare un ruolo forte mentre per la parte che riguardava i risultati del governo regionale era meglio che il confronto venisse sostenuto da chi aveva governato che conosceva meglio i problemi ed era in grado di mettere in luce la pochezza della Bergonzoni e del suo non programma. È sul piano della risposta politica alla Lega che si è rischiato il vuoto, per di più in una regione tradizionalmente con una forte politicizzazione. Questo sarebbe stato un ostacolo che poteva portare a risultati ben diversi. Non a caso le iniziative delle sardine hanno trovato ascolto in settori della società emiliana che da tempo erano critici verso l’insufficienza del respiro politico nazionale in Emilia Romagna, pur avendo in molti campi la possibilità di rivendicare risultati di indubbio rilievo nazionale, in particolare nello stato sociale. Si dovrà ancora riflettere su questa situazione perché chiuso positivamente il risultato elettorale resta il problema di ricollegare un’esperienza regionale di rilievo a quella nazionale. In altri termini ridare alla regione un ruolo nazionale, ingaggiando un confronto sulla base di soluzioni alternative.
Ad esempio è del tutto aperto il problema dell’autonomia regionale differenziata, aperta dalla Lombardia e dal Veneto, con diversa intensità. Se la Lega fosse riuscita a portare a risultato la sua impostazione quasi secessionista per i poteri richiesti, per i costi relativi, per lo sconquasso che avrebbe portato al rapporto tra nord e sud, oggi saremmo, come paese, in una situazione molto difficile. L’impostazione dell’Emilia Romagna era in parte diversa, meno antagonista ma comunque troppo subalterna all’iniziativa di Veneto e Lombardia. Può essere che pesasse in questa impostazione l’obiettivo di non lasciare alla Lega l’argomento, offrendo una soluzione diversa, in sostanza una soluzione tattica. Resta il fatto che comunque era necessario contrapporre la linea quasi secessionista della Lega una linea fortemente ancorata ai valori costituzionali per tutto il nostro paese, cioè che i diritti riguardano tutti, in tutte le regioni e con una linea forte non solo di solidarietà verso il mezzogiorno ma dicendo chiaro e forte che pensare di abbandonare il Sud a sé stesso è un errore perché è il primo mercato di sbocco proprio della parte forte del Nord e quindi la solidarietà non è carità ma un obbligo per evitare il suicidio. Ora si dovrà tornare sull’argomento ed è sperabile che toni e impostazioni dell’attuale governo cambino di segno. Non solo perché Il Sole 24 Ore ha candidamente ammesso che il ritardo sull’autonomia differenziata costa alla Lombardia 10 miliardi di euro. Ora se la Lombardia guadagnasse questa cifra enorme dall’autonomia differenziata, aggiungendo il Veneto ed eventualmente l’Emilia Romagna ed altre regioni del nord, si avrebbe una cifra molto importante in un gruppo di regioni che – stante il vincolo dell’invarianza dei costi complessivi imposti dal Mef – inevitabilmente verrebbero caricati sulle spalle delle altre regioni, in particolare del Mezzogiorno. Tutto questo senza avere ancora identificato neppure i livelli essenziali dei servizi, dell’istruzione, ecc. Anzi nel testo presentato dal governo attuale è scritto che se entro un periodo definito i livelli essenziali non venissero definiti scatterebbe comunque il passaggio dei poteri.
Il ministro Boccia ha sbagliato impostazione della proposta che ha avanzato e per di più non ha risolto la debolezza intrinseca del rapporto tra atti legislativi, se l’ultimo è l’accordo tra regione e governo in quella sede possono essere modificate le normative precedenti e quindi saremmo da capo, senza alcun valore di contenimento. L’autonomia differenziata è un argomento decisivo per il futuro del nostro paese e fa parte degli argomenti della politica nazionale e come altri costituisce il nucleo di una politica nazionale che deve fronteggiare la destra con alternative, non con accomodamenti subalterni. Qui sono arrivate le sardine. Non potevano ovviamente sostituirsi ai partiti politici e di governo altrimenti si sarebbero fatte partito, invece sono riuscite a restare in un ambito preciso ponendo con forza il problema di reagire alla prepotenza della Lega, di andare nelle piazze a ribadire valori, di assumere un netto connotato antifascista e contro la violenza e altro ancora. E’ bastato per contribuire a vincere. Senza di loro il risultato non ci sarebbe stato, anzi il loro contributo ha reso evidente la domanda di una politica capace di offrire un’alternativa alla destra e di ingaggiare una battaglia culturale e politica per battere la destra.
Torna il bisogno di alternativa, per questo le sardine hanno trovato ascolto in diverse generazioni e in diversi orientamenti, con successo, ma la domanda che hanno posto le sardine e chi li ha seguiti è di avere una politica diversa da uno schieramento (in realtà oggi neppure lo è) democratico e di sinistra, di avere un’alternativa politica chiara in campo contro la destra. La risposta ancora non si intravvede e richiede un cambio di passo e di sostanza, diciamo pure una svolta politica.