Il 10 gennaio 2024 meriterà un richiamo speciale nella storia dell’autonomia differenziata. Le opposizioni hanno proposto di invertire l’ordine del giorno anteponendo la trattazione del disegno di legge di iniziativa popolare al testo di Calderoli. La maggioranza ha detto no.
È troppo forte la pressione dello scambio perverso tra autonomia e premierato, che cementa la destra a palazzo Chigi. Ha ragione De Cristofaro, quando dice che lo scambio non si può fare «né sulla pelle dei cittadini, e nemmeno sulla pelle di questo parlamento». Scambio invece che il leghista Romeo ritiene utile e fisiologico.
Di più. Il governo ha collegato il disegno di legge Calderoli al bilancio. Una «vergognosa violazione delle regole» per il senatore Giorgis (e per Boccia, strumentale e disonesta), dato che si certifica l’assenza di oneri sul bilancio. Il fine è stato continuare il lavoro sul testo anche durante la sessione di bilancio. Con l’effetto collaterale di aprire a un rischio inammissibilità per un eventuale referendum abrogativo. E comunque con l’effetto ultimo di vanificare l’obiettivo posto dall’articolo 74 del regolamento del senato, che è – come dicono il senatore Patuanelli e le senatrici Maiorino e Musolino – di portare in aula la volontà popolare espressa nel disegno di legge.
Ma, per il senatore Lisei e lo stesso Presidente Balboni, una lettera ha impedito l’ordinato svolgersi del lavoro in Commissione, con l’inopinato arrivo in aula di un disegno di legge non ancora approfondito. Ebbene, sono colpevole. È una lettera scritta e sottoscritta da me, come presidente del Coordinamento della democrazia costituzionale, sostenitore e sponsor della raccolta delle firme. Essendo scaduti i termini previsti, ho sollecitato l’approdo della legge di iniziativa popolare in aula.
Perché? Quale callido disegno?
Nessuno, ma solo il già citato articolo 74 del regolamento. La mia lettura è che la norma offre all’iniziativa popolare un percorso speciale, privilegiato e garantito, affinché l’istituzione si debba esprimere in modo diretto e specifico su quello che volontà popolare propone. L’inciampo per la Commissione non è venuto da un Don Chisciotte di passaggio, ma dalla forza della regola. Nel merito, la maggioranza decide. Ma assumendo una precisa responsabilità su punti determinati. Lo stesso sarà per le opposizioni.
Quali i punti per la nostra proposta di legge di iniziativa popolare? Quattro questioni, su cui le opposizioni dovranno curare che l’istituzione si esprima. La prima. È compatibile con qualsivoglia accezione di unità del paese un assemblaggio di regioni e province ognuna delle quali è titolare di un proprio regime giuridico e di rapporti finanziari potenzialmente irreversibile? O va riscritto il modello dell’articolo 116, fondato sull’intesa tra stato e regione? La seconda. I livelli delle prestazioni da garantire per tutti devono essere «essenziali» o «uniformi»? Il punto è già emerso come centrale nell’intervento del senatore Magni. La terza. Ci sono limiti alle materie regionalizzabili? Va rivisto l’elenco delle materie di competenza concorrente di cui all’articolo 117.3? Il punto è già emerso nel testo Calderoli, con lo sbilenco affidamento al presidente del Consiglio del potere di porre limiti alla trattativa con la regione ai fini dell’intesa. Il quarto. Si deve o no prevedere una clausola di supremazia della legge statale, come esiste per lo stato centrale in tutti i sistemi genuinamente federali?
La legge di iniziativa popolare e le firme che ha raccolto sono state un successo. Hanno portato le questioni nell’istituzione, compattando le opposizioni su un tema di grande rilievo, e con i tempi che corrono non è poco. Inoltre, apre sul dopo. Il senatore Boccia non solo definisce la filosofia di paese sottesa all’intervento di Romeo un patchwork, ma dice quel che tutti ormai vedono: «Non ci sarà un centesimo per riequilibrare le diseguaglianze». Queste sono tra le diffide da consegnare ai parlamentari della destra, perché sappiano che un conto arriverà nel prossimo turno elettorale. Su tutto il percorso delle riforme andrà trovata la sinergia tra il lavoro parlamentare e quello di territorio. Un risultato che non si poteva raggiungere solo con la piazza o chiedendo per il disegno di legge Calderoli un ritiro che non sarebbe mai avvenuto.
Così va impostata la resistenza popolare alle riforme pensate e volute dalla destra. Oggi, conta poco che il presidente Balboni richiami 40 emendamenti delle opposizioni al testo Calderoli. Sa bene che non hanno cambiato molto la sostanza originaria. Il mastino leghista ha fatto buona guardia. Se però, come dicono, il più mastino di tutti i mastini è quello napoletano, sappia il ministro che da queste parti ce ne sono, pronti a mordere e a non mollare la presa