In un paese completamente allo sbando, non si salva nè giustizia né coloro che, quest'ultima, la dovrebbero far rispettare. Per di più, emerge una sinistra comunanza di valori tra "gruppi" che invece dovrebbero essere il più lontano possibile tra loro
Il giornale di oggi riporta le foto dell'agente che portò le Molotov dentro la scuola Diaz di Genova.
Si ricorda come si trattò del deprecabile, per usare un eufemismo, episodio, del rinvenimento dentro la scuola di tali ordigni incendiari. Portati non da manifestanti, che erano pacifisti e per la maggior parte stranieri, come detto in un primo momento, bensì dalla polizia di Stato.
Complimentandosi, tutto sommato, fra sé e sé il lettore inconsciamente del fatto che le indagini, per fortuna, hanno funzionato, si ha invece l'amara sorpresa di scoprire come le dette investigazioni non sono state operate dalla polizia o dai carabinieri o dai servizi segreti o da chi ne ha più ne metta bensì da un giornalista. Inglese di quarant'anni,che, riportando le parole del giornale, nel 2006, nell'aula del tribunale di Genova, "... mentre raccontava di come i poliziotti l'avevano quasi ammazzato a calci e bastonate, ha scorto il sorriso sprezzante di alcuni difensoridegli imputati. Non riusciva a trattenere le lacrime, e intanto gli altri ridevano. La rabbia, la frustrazione, e l'inquietudine improvvisa: di non riuscire un giorno ad avere giustizia". Insomma: ha "rosicato", come si dice a Roma
Risulta quindi che dopo l'autocertificazione, ossia, in poche parole, il fatto che, se prima il dipendente dello Stato, faceva poco, adesso che i certificati uno se li fa da solo, non fa proprio più niente, abbiamo l'auto
investigazione.
Di fronte infatti allo sfacelo di questo grande carrozzone della giustizia italiana, il cittadino è lasciato in balia di se stesso di fronte alle peggiori bande di criminali. Che se ne fregano della giustizia, dea bendata con una spada spuntata che, con questi investigatori, fa paura a pochi.
Per di più, manco a farlo apposta, ad appena sei pagine di distanza dal primo trionfo della polizia di Stato, la notizia del pestaggio di Emanuel "negro". Operata, non da parte dei borgatari picchiatori della periferia romana, vista la tecnica, bensì da 10 vigili urbani. Quindi, la leghista polizia locale.
Ma per vedere che, tutto sommato, sbagliamo ad attaccare questa poliziadalla quale il cittadino onesto sembra che debba difendersi, appuriamo comeesistano invece ancora dei valori. Quelli che accomunano oggi, la polizia dello Stato, quella locale, i picchiatori borgatari romani, alla mafia e adaltre delinquenti organizzazioni.
Dopo solo sette anni, infatti, il poliziotto picchiatore in borghese con la coda di cavallo che prendeva a calci in faccia i manifestanti, forte della sua impunità, ha un nome. Non ce l'ha avuto, questi sette anni, quando ha regnato l'omertà assoluta.Tra i tanti colleghi poliziotti che lo conoscevano, non c'è stato nessun pentito, come invece spesso avviene in Cosa Nostra e altre organizzazioni siciliane di non lodevole oggetto sociale.
È stata solo la sua sfrontatezza che ha permesso l'identificazione, essendosi costui recato in aula a salutare gli sventurati amici dall'altra parte della barricata. Ossia dove normalmente, nei processi, a parte ogni tanto qualche innocente magari incriminato dalla polizia dello Stato per ingiuria o diffamazione, si trovano i delinquenti.
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