L’ora più buia è il titolo del film di Joe Wrigh che racconta i dilemmi di Winston Churchill alle prese con la fase più drammatica della guerra, quando nel maggio del 1940 l’esercito inglese, sconfitto dai nazisti, stava per essere sopraffatto a Dunquerke.
L’ora più buia è quella in cui è precipitato il nostro Paese dopo il drammatico annuncio del Presidente del Consiglio, nella notte di mercoledì 11 marzo, di ulteriori misure restrittive, quando soltanto due giorni prima era stato esteso a tutt’Italia il regime più severo previsto per la Lombardia e le altre zone rosse del Centro-Nord. Non abbiamo mai vissuto una situazione simile, neanche durante le guerre che per ben due volte nel secolo scorso hanno sconvolto la nostra vita collettiva e i destini individuali. È vero che oggi non ci dobbiamo confrontare con il carico di morte, di fame e di distruzioni proprio delle guerre, però siamo in presenza di un male che affligge l’intera comunità nazionale e impatta sulla vita di ciascuno come negli eventi bellici. Non era mai accaduto, neanche durante l’ultima guerra che venissero chiuse tutte le scuole sul piano nazionale, che venissero chiusi tutti i bar, che venissero chiuse tutte le chiese e non si celebrasse più messa, che un regime di isolamento simile agli arresti domiciliari (con facoltà per alcuni di recarsi al lavoro) venisse imposto a tutta la popolazione italiana.
In queste ore stiamo sperimentando la fragilità di un sistema economico sociale fondato sulla potenza della tecnologia e sulla competizione esasperata a livello globale.
È chiaro che le misure draconiane (seppur necessarie) adottate possono funzionare se ci sarà una forte disciplina che può nascere soltanto da un profondo sentimento di solidarietà nazionale. In altri versanti drammatici della storia (pensiamo all’8 settembre) il popolo italiano ha saputo superare i particolarismi, le divisioni, gli egoismi individuali e trovare una straordinaria capacità di resistenza collettiva. Anche in questo tornante della storia confidiamo che il popolo italiano darà prova di impegno solidale nel perseguimento del bene comune.
Questa epidemia, come tutte le pestilenze passerà, e dopo ci troveremo di fronte alla necessità di rimboccarci le maniche e di ricostruire il tessuto economico-sociale lacerato dal virus. Il vero problema è la risposta che noi sapremo mettere in campo e la lezione che saremo capaci di trarre da questi eventi. L’esperienza umana ci insegna che da un male può nascere un bene, il problema è come si reagisce. Dal male assoluto della seconda guerra mondiale e della Shoà, abbiamo saputo trarre il bene del ripudio della guerra, della dichiarazione universale dei diritti umani, delle nuove costituzioni democratiche. E se oggi l’orizzonte internazionale è diventato di nuovo buio e il male della guerra è divenuto di nuovo endemico in tante parti del mondo, ciò è accaduto perché i principali attori della politica internazionale si sono completamente svincolati da quel sistema di valori generato dalla lezione della guerra.
Adesso, per fortuna in modo molto meno drammatico di una guerra, l’epidemia ci costringe a confrontarci con l’insostenibilità del main stream e dei miti che ci hanno reso così fragili. A cominciare dall’illusione che si possa fare a meno di un tessuto di solidarietà sacrificandolo al predominio degli interessi particolari e che ci possano essere vie di salvezza individuali che prevalgano sul bene comune. Ha dichiarato il prof. Marcello Tavio presidente della Società degli infettivologi: «la grande lezione che ci dà già ora il Coronavirus è che questa sanità si deve rinforzare. La sanità pubblica non si tocca, se non con gravi rischi per la popolazione e, come si vede, anche per l’economia. Si vada a privatizzare qualcos’altro, non la salute».
Il tema della sanità si incrocia con quello del dissennato progetto di dividere l’Italia in tanti staterelli, separando i vagoni del Nord dal resto del Paese. Se c’è una cosa che insegna il dramma dell’epidemia di COVID-19 è che anche le Regioni “forti” sono deboli, che hanno bisogno delle Regioni del Sud, come queste hanno bisogno delle Regioni del Nord, come l’Italia intera ha bisogno del sostegno dell’Europa, perché nessuno, grande o piccolo che sia, si può salvare da solo.
Dobbiamo guardare il mondo con occhi diversi per far sì che, uscendo dall’epidemia, si possano ricomporre le fratture e ricostruire un tessuto di solidarietà recuperando il primato dei beni pubblici repubblicani sull’individualismo accecato dal profitto. Solo così potremo scrutare nella notte oltre quest’ora buia e affrontare l’interrogativo che pone il profeta Isaia: «sentinella quanto resta della notte?».