Un altro mondo è necessario

di Marco Bersani - italia.attac.org - 03/04/2020
O la borsa o la vita. Forse si può anche riassumere così il tempo della pandemia, con l’alternativa secca tra gli interessi insaziabili di un mercato finanziario che ricatta ogni decisione politica e la difesa del diritto non solo a vivere meglio o a trasformare la società ma oggi perfino ad esistere

L'elemento dirompente che la drammatica emergenza sanitaria e sociale ci consegna è la consapevolezza che un modello fondato sul pensiero unico del mercato e sulla priorità dei profitti non garantisce protezione alcuna. La privatizzazione dei sistemi sanitari, i tagli draconiani sull’altare dei vincoli di bilancio, la mercantilizzazione della ricerca scientifica hanno trasformato un serio problema sanitario in una drammatica emergenza, che ha stravolto l’insieme delle società, la vita delle persone e le loro relazioni sociali, rendendo la precarietà una dimensione esistenziale generalizzata.

Se la crisi economico-finanziaria del 2007-2008 aveva decretato la fine della favola del mercato che avrebbe prodotto tanta ricchezza da garantire “a cascata” benessere per tutti, con l’epidemia Covid19 è finita l’illusione ‘sovranista’ che il benessere esistente potesse essere appannaggio di alcune fasce sociali e/o di alcuni territori economicamente avanzati.

La crisi sistemica – economica, ecologica, sociale e sanitaria – del modello capitalistico ne ha reso evidente l’incapacità di garantire protezione. Il conflitto è letteralmente diventato fra la Borsa o la vita. Scegliere quest’ultima significa aprire una lotta generalizzata per l’uscita dal capitalismo.

La pandemia si batte con l’ecologia

Non siamo in presenza di un evento esogeno al modello economico-sociale. L’attuale pandemia Covid19 non è qualcosa di esterno o di provenienza sconosciuta. La nostra crescente vulnerabilità ai virus ha la sua causa profonda nella distruzione sempre più veloce degli ecosistemi naturali. Il dilagare della deforestazione, la drastica diminuzione di biodiversità, l’agricoltura chimicizzata, gli allevamenti intensivi, l’industrializzazione, l’urbanizzazione e l’inquinamento hanno portato a un cambiamento repentino degli habitat di molte specie animali e vegetali, sovvertendo ecosistemi consolidati da secoli, modificandone il funzionamento e permettendo una maggior connettività tra le specie.

Da questo punto di vista, l’attuale epidemia è già parte della più generale crisi climatica che, in presenza dell’emergenza sanitaria, tutti sembrano aver rimosso o deciso di posticipare.

L’urgenza di un’inversione di rotta rispetto al modello capitalistico, di per sé indifferente al “cosa, come e perché” si produce, assume un significato ancor più pregnante.

Serviranno moltissime risorse economiche per superare l’attuale pandemia e la profondissima crisi economica che seguirà. Sin da subito, occorre pretendere che siano esclusivamente indirizzate alla costruzione di un altro modello, socialmente ed ecologicamente orientato.

Riproduzione sociale batte produzione economica

Dentro l’attuale emergenza sanitaria, si evidenzia la contraddizione fondamentale del modello capitalistico fra produzione economica e riproduzione sociale. La considerazione esclusiva della prima e la conseguente svalutazione della seconda divengono manifeste nelle misure prese dai governi per affrontare l’epidemia: proteggere la produzione, evitare il tracollo economico è stata la loro priorità, con il risultato di avere trasformato un grave problema sanitario in una tragedia di massa nei territori più industrializzati del Paese.

Gli scioperi operai, autorganizzati dai lavoratori, sono stati scioperi per la vita (riproduzione sociale) contro i profitti (produzione economica). La pandemia dimostra come nessuna produzione economica sia possibile senza garantire la riproduzione sociale, come il pensiero femminista da sempre ricorda. E se la riproduzione sociale significa cura di sé stessi, degli altri e dell’ambiente, è esattamente intorno a questi nodi che va ripensato l’intero modello economico-sociale, costruendo una società della cura contro l’economia dello sfruttamento e del profitto.

Riappropriarsi della ricchezza sociale

La pandemia ha reso evidente la trappola artificialmente costruita intorno al tema del debito pubblico, utilizzato come ricatto per poter deregolamentare i diritti sociali e del lavoro e mettere sul mercato i beni comuni e i servizi pubblici.

Sono gli stessi antesignani della priorità dei vincoli di bilancio a dire oggi che si può e si deve spendere, che occorre farlo subito e senza tetto alcuno, dimostrando con ciò l’uso politico che è stato sinora fatto del debito pubblico.

Se la protezione delle persone implica il superamento del patto di stabilità, del fiscal compact, dei parametri imposti da Maastricht in avanti, significa che questi vincoli non solo non sono necessari, ma sono la causa principale, grazie ai drastici tagli alla spesa pubblica sanitaria, della trasformazione di un serio problema sanitario in una tragedia di massa,

È giunto il momento di riappropriarsi della ricchezza sociale espropriata dalla libertà incondizionata dei movimenti di capitale, dalla finanziarizzazione dell’economia e della società, dalla privatizzazione dei sistemi bancari e finanziari, dall’usura degli interessi sul debito.

Occorre rivendicare il controllo dei movimenti di capitale, il carattere pubblico della Banca Centrale Europea e il suo ruolo di garante illimitato del debito pubblico degli Stati, e la socializzazione del sistema bancario, a partire da Cassa Depositi e Prestiti.

Per impedire che le aperture di oggi sulla capacità di spesa diventino domani catene d’austerità ancor più stringenti e per mettere finalmente la finanza al servizio della società e non viceversa.

Beni comuni e servizi pubblici fuori dal mercato

Nessuna protezione è possibile se non sono garantiti i diritti fondamentali alla vita e alla qualità della stessa. Riconoscere i beni comuni-naturali, sociali, emergenti e ad uso civico – come elementi fondanti della coesione territoriale e di una società ecologicamente e socialmente orientata, significa porre come obiettivo di tutte le scelte politiche ed economiche il raggiungimento del pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere. La tutela dei beni comuni, e dei servizi pubblici che ne garantiscono l’accesso e la fruibilità, deve prevedere un’immediata sottrazione degli stessi al mercato, una loro gestione decentrata, comunitaria e partecipativa, nonché una capacità di spesa adeguata e in nessun caso incomprimibile.

Fuori dalla precarietà/reddito per tutti

Dentro questa emergenza sanitaria e sociale abbiamo sperimentato cosa vuol dire la precarietà in senso esistenziale: le nostre certezze, i nostri riti quotidiani, i nostri universi relazionali sono stati messi a soqquadro e abbiamo dovuto prendere atto della fragilità intrinseca della vita umana e sociale. Ma moltissime donne e uomini hanno fatto conti anche più concreti e drammatici su cosa significhi non avere un reddito perché si ha da sempre un lavoro precario e non garantito. O, pur avendo un reddito, non poter far valere i propri diritti – alla vita e alla salute – rifiutando il ricatto di lavorare in condizioni di palese non rispetto delle norme di sicurezza.

Tutto questo rende evidente come nessun orizzonte possa essere seriamente messo in campo senza scelte che affrontino da subito il superamento di tutte le condizioni di precarietà.

Nel pianeta la ricchezza prodotta è più che sufficiente a garantire un’esistenza dignitosa a tutti i suoi abitanti, mentre la crisi ecologica e climatica è per la prima volta una crisi causata dalla sovrapproduzione e non dalla penuria. Entrambi questi elementi richiedono un ripensamento del significato stesso del lavoro e spingono ad intraprendere da subito la strada del reddito incondizionato di base da garantire a tutte e tutti.

Riprendiamoci il Comune

L’epidemia da Covid19 obbliga a mettere in discussione il paradigma della ricerca di una folle crescita, interamente basata sulla velocità dei flussi di merci, persone e capitali e sulla conseguente iperconnessione dei sistemi finanziari, produttivi e sociali. Sono esattamente i canali che hanno permesso al virus Covid19 di portare il contagio in tutto il pianeta a velocità mai viste prima, viaggiando nei corpi di manager, amministratori delegati, tecnici iperspecializzati, così come in quelli di lavoratori dei trasporti e della logistica, e di turisti.

Ripensare l’organizzazione della società comporta la rilocalizzazione delle attività produttive a partire dalle comunità territoriali, che dovranno essere il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente e socialmente orientata.

Si tratta di “riprendersi il comune” come spazio fertile e vitale, e come terreno della riappropriazione sociale, basata esclusivamente sul perseguimento dell’interesse generale, sottraendo da subito al privato e all’ideologia privatistica tutti i settori che riguardano la produzione di beni e servizi primari per i bisogni della popolazione, le infrastrutture materiali e digitali, la ricerca in tutte le sue forme.

Ma si tratta anche di superare il “pubblico” dirigista e burocratizzato per costruire il “comune” come spazio potenziale dell’autogoverno delle comunità territoriali, solidali e federate.

In questa direzione, “riprendersi il Comune” va letto anche nel significato concreto di riappropriarsi degli enti della democrazia di prossimità, messi con le spalle al muro da decenni di politiche di austerità, finalizzate a far mettere loro sul mercato il patrimonio pubblico, i servizi pubblici locali e il territorio, ovvero i beni collettivi che permettono a una somma di individui di potersi definire comunità.

Realizzare la democrazia

La questione della democrazia è più che mai centrale. Tutto quanto sopra descritto può avere la possibilità di realizzarsi solo in un contesto di reale democrazia, intesa come partecipazione consapevole del massimo numero di persone possibili alle decisioni che tutti ci riguardano.

Contesto ancor più necessario in questo momento, sia perché bisogna collettivamente imporre una radicale inversione di rotta a poteri economici, finanziari e politici che hanno sinora preso decisioni senza mai nemmeno ipotizzare una qualche forma di partecipazione popolare, che non fosse l’esercizio formale della delega nelle periodiche elezioni; sia perché le libertà individuali e sociali, compresse in tempi di pandemia per straordinaria necessità, rischiano di poter essere messe in discussione anche con il ritorno all’ordinarietà.

Data la quantità e la profondità delle trasformazioni necessarie, perché davvero si possa dire “Mai più come prima”, è forse il giunto il tempo di avviare dal basso un percorso di discussione ampio e ‘costituente’ per la definitiva fuoriuscita dalle politiche liberiste e dal modello capitalistico.

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