Le elezioni regionali sarde sono da anni sotto osservazione degli esperti di politica, perché sono tradizionalmente le prime che si svolgono in Italia e in genere anticipano la tendenza dei successivi esiti elettorali dei vari schieramenti. E’ una sorta di test, di sondaggio, che serve ai partiti nazionali per orientarsi ed aggiustare il tiro nei successivi appuntamenti elettorali.
Questa volta si è evidenziata da subito una spaccatura e uno scontro fra FdI e Lega sulla candidatura del futuro Presidente (o Governatore che dir si voglia) della Regione sarda. La cosa, sinceramente, ci faceva ben sperare.
All’uscente presidente Sardo-Leghista Christian Solinas, infatti, si è contrapposta la candidatura dell’uscente Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, di FdI. Una guerra fra poveri, in verità, vista la scarsa caratura politica dei due contendenti. Il primo ci ha fatto addirittura pensare che nel palazzo della Regione non ci fosse nessuno, tanto era inconsistente la sua politica, scialba e fumosa. L’altro, il sindaco, è invece impossibile ignorarlo: ha distrutto la città con inutili lavori ai marciapiedi e alle strade, rendendo Cagliari una sorta di Beirut bombardata, in cui siamo costretti a scavalcare pezzi di marciapiedi, che non avevano nessun bisogno di essere sostituiti e senza riuscire a capire dove mettere i cassonetti della spazzatura. Figurati questo casino a livello regionale! E lui che dice che farà di tutto per correggere gli errori di Solinas! Truzzu che si fa fotografare con la scritta (a pennarello!) TRUX sul braccio, per solidarizzare con l’ex calciatore Di Canio, sanzionato per il tatuaggio DUX. Oggi la gira a goliardata, ma non convince nessuno, come la mascherata nazista di Bignami. Questa destra è fascista e bisogna non sottovalutarla.
E comunque; all’inizio sembrava che non si riuscisse a trovare un accordo e che il muro-contro muro avrebbe potuto significare una spaccatura davvero insanabile, ma con un tempismo da Provvidenza manzoniana, la Magistratura si è abbattuta su Solinas, mettendolo molto opportunamente fuori gioco. Così adesso la corsa di Truzzu appare molto più agevole. E tuttavia la sua vittoria non è affatto scontata, anzi: sembrava profilarsi una possibile sconfitta, visto che non solo i due candidati della destra apparivano così poco affidabili, per come avevano gestito le rispettive cariche, ma anche e soprattutto perché, una volta tanto, il fronte della opposizione (Pd e 5Stelle) appariva compatto e qualitativamente molto superiore. La candidata del fronte progressista è la pentastellata Alessandra Todde, e sembrava che non ci fosse nessun’altra candidatura, quando come al solito qualcuno si è messo di traverso: in questo caso Renato Soru.
Non è un fatto inatteso: Soru – noi lo conosciamo molto bene – non è uno che fa squadra, mai. È piuttosto uno che corre sempre per conto suo, che narcsisticamente pensa solo a sé e purtroppo lo ha dimostrato continuamente quando era lui il Presidente della Regione. È riuscito così a deludere tutti in modo irreversibile. L’uomo è un tessitore lento e tenace, è imperioso, accentratore, dispotico, decisionista e non sopporta le critiche, né che quelli che gli stanno intorno abbiano un pensiero autonomo. Forse è per questo che ha più attenzioni per gli avversari che per i collaboratori, che tende sempre a svilire, quando non a disprezzare. Ma facciamo un passo indietro e vediamo come è arrivato al vertice regionale.
Nell’agosto del 2003 Soru - con una lettera aperta sui quotidiani locali - si propose come candidato alla presidenza della Regione sarda. Si propose, ma i partiti del CS lasciarono cadere la sua lettera nel più assoluto silenzio. Fummo noi della Rete dei Movimenti della Sardegna a rispondergli pubblicamente e a indicarlo come nostro candidato, contro tutto e tutti.
Allora Soru si presentava come un uomo semplice, un po' timido e impacciato, tormentato da momenti di silenzio imbarazzato e imbarazzante, ma - quando poi carburava - pieno di una passione civile che pareva assolutamente disinteressata e sincera. Che la sua fosse (o no) una opportunistica interpretazione da Oscar, nessuno oggi può affermarlo in modo categorico, certo è che nel momento in cui si propose, nessuno avrebbe mai dubitato che fosse il candidato migliore che potessimo avere. Era proprio l'homo novus che cercavamo e di cui la politica aveva bisogno.
Ma i partiti non ne volevano sapere: lo scontro durò diversi mesi, arrivando a spaccare i DS al loro interno e portando la Margherita sull'orlo di una scissione.
Soru ebbe allora molta pazienza: voleva essere accettato dai partiti ed era disposto anche a farsi prendere a calci. Ce lo disse lui stesso in una delle nostre riunioni, con quella che noi pensammo essere una disarmante ingenuità. Allora sosteneva: «Spesso i partiti confondono coalizione con lottizzazione, ma io non faccio trattative col centrosinistra per un posto in più nel listino o in Giunta, non siamo al mercato delle vacche. Troveremo l'accordo solo se ci sarà il reciproco riconoscimento di tutte le parti in causa, dai partiti alle associazioni e ai movimenti e se ci sarà condivisione, se avremo le stesse idee sulle cose da fare per cambiare la Sardegna».
E alla fine i partiti del centrosinistra capitolarono, davanti al suo crescente e inarrestabile successo popolare. Fu allora che si dimenticò di quanto detto e dei Movimenti, suoi primi amici e alleati. No, non è esatto: non si dimenticò soltanto, fece anche di tutto per toglierseli dai piedi. Forse gli ricordavano da dove era partito, forse non gli piace essere in debito, o forse indebolire il movimento spontaneo e autonomo dei cittadini e rimettere la politica sotto l'egida dei partiti faceva parte di un accordo con loro. Chissà, e tuttavia la sua decisione unilaterale di sciogliere il gruppo consiliare di Progetto Sardegna, per far confluire i consiglieri nei diversi partiti della coalizione credo che sia un fatto che oggettivamente rende verosimile questa possibilità.
In quel momento Soru si giocò quel che restava della sua credibilità presso i suoi primi alleati, una credibilità che aveva cominciato ad essere messa in dubbio già durante una campagna elettorale non priva di attriti e di decisioni autoritarie e personalistiche. Iniziava così una curiosa escalation: più saliva nella carriera politica e più scendeva nel gradimento e nella stima di molti che erano stati con lui dalla prima ora.
In quegli anni al governo regionale alcuni suoi stretti collaboratori furono allontanati, dimissionati, suicidati in varie forme e modi, dopo essere stati esautorati ed umiliati pubblicamente in ogni modo possibile. Tanti hanno scelto la propria dignità e se ne sono andati prima di essere svuotati, come uova à la coque.
Poi nel 2007 Soru entrò nel PD e si candidò alla presidenza del partito nell’Isola. Un presidente della Regione, un Governatore, eletto da un voto diretto dei cittadini, che si candida alla presidenza di un partito! Veramente assurdo e inapropriato! La cosa scatenò una bufera incredibile dentro il PD e deluse molti di quelli che nel PD non si riconoscevano, ma si erano riconosciuti in lui e lo avevano supportato e sopportato. Ma lui, impermeabile a qualsiasi critica o consiglio, si autocandidò ancora una volta, convinto che gli sarebbe andata bene come alla prima. Il che significa che non si era nemmeno accorto di quanti cadaveri aveva lasciato sul proprio cammino, e che a rispondergli non era rimasto nessuno. E infatti quando ci furono le primarie il suo avversario, Antonello Cabras - ex socialista e senatore del PD, esponente del vecchio establishment - prese tremila voti più di lui. I sostenitori di Soru insinuarono che Cabras avesse preso voti anche dalla destra e forse è anche vero, ma in altri tempi Soru avrebbe sbaragliato chiunque per migliaia e migliaia di voti. Questa sconfitta era un segnale chiaro: il suo elettorato gli stava dicendo che aveva sbagliato, che non doveva candidarsi. Punto. Ma lui non è stato in grado di capire perché non doveva farlo, e questo è ancora più grave. Quindi dopo la sconfitta alle primarie del PD, invece di fare autocritica e di capire perché il suo gradimento - proprio all’interno del partito che voleva guidare - fosse così in caduta libera, con un colpo di mano, in piena estate, convocò quelli del partito che ancora non erano in vacanza e fece eleggere una sua giovane fedelissima come presidente del PD. Una persona mai vista prima, che non aveva neppure partecipato alle primarie e che non era certamente espressione di tutto il partito. Questa soperchieria diventò frattura irrimediabile e cominciò una faida dentro il PD, fra i soriani e i seguaci di Antonello Cabras, il suo antagonista alle primarie. Veltroni allora venne in Sardegna, ma non seppe ricomporre questa diatriba: la sua politica possibilista del “ma anche”si infranse davanti ad uno scontro insanabile.
L’ultimo atto fu disastroso: nel 2008, dopo solo 4 anni dalla sua elezione, si dimise da Presidente della Regione. Perché? Sui giornali nazionali si sostenne che lo aveva fatto per difendere il suo progetto di salvaguardia delle coste. Non è esatto. Dall’agosto 2004 Soru riuscì ad ottenere il mandato di trattare in prima persona il tema della cementificazione delle coste. Era lui, scavalcando l’Assessore competente, che firmava gli accordi con sindaci e presidenti di provincia. Non gli bastava: voleva estendere questa prerogativa anche ai centri dell’entroterra. L’oggetto della discussione era su quale ruolo doveva svolgere il Consiglio e quale la Giunta, nella gestione del piano paesistico. Ovviamente il presidente tendeva a trasferire più poteri alla Giunta (e dunque in realtà a sé), mentre il Consiglio voleva uguale competenza. E il consiglio, troppe volte bypassato e svulito, finalmente ritrovò un po’ di orgoglio e disse basta, compresi i consiglieri della sua parte.
E lui si dimise, non per un atto di umiltà, ma per un atto di superbia e per punirli. Per arrivare alle elezioni anticipate senza che i suoi avversari potessero prepararsi e organizzarsi e così perdessero. Perché lui era convinto evidentemente di vincere anche senza di loro e di zittirli così una volta per tutte. Non aveva insomma capito niente di quello che era successo - intorno a lui, nel suo elettorato e fra i suoi ex alleati - in tutti gli anni che aveva governato. Una mossa che ci costò la vittoria e consegnò la Sardegna alla destra, non solo: fece in modo che la coalizione che lo aveva fatto vincere nel 2004 si sbriciolasse in una diaspora infinita.
E adesso in queste elezioni del 2024, sta facendo lo stesso numero: voleva essere lui il candidato, ma dopo gli scontri provocati nel Pd e nel CS, dopo aver dimostrato in tutti questi anni la sua inaffidabilità, anche nel Parlamento Europeo, in cui spicca come grande collezionista di assenze: è nfatti il 726esimo su 751 deputati (750 più il presidente) per il numero di assenze, era ovvio che nessuno lo volesse candidare! E lui cosa fa? Si crea una sua coalizione, mettendo insieme cani sciolti, un po’ di indipendentisti, qualche sopravvissuto di Rifondazione comunista e si candida. Per ripicca, per far perdere la coalizione che non l’ha candidato e nella quale c’è pure sua figlia…a meno che davvero non creda di poter vincere! E comunque questa storia grottescamente personale e addirittura familiare ( sua figlia lo ha attaccato violentemente in una intervista al Corriere della sera) sta diventando irritante, perché a noi dei suoi deliri di onnipotenza non ce ne importa niente, ma se tutto questo giro di ripicche e di capricci può nuocere alla nostra parte, beh, questo ci importa eccome!! Comunque sia: oggi, 25 gennaio, è l’ultimo giorno utile per la presentazione delle liste e dei candidati, ma Soru non ha fatto un passo indietro. Dunque si candiderà e perderà, perderà malamente, a meno che la Lega per fare un dispetto a FdI e al CS non decida di votare per lui… ma non potrà vincere comunque… Purtroppo però sarà un modo di far vincere la destra, un’altra volta. Un comportamento il suo veramente egoistico fino all’autolesionismo, ma tuttavia assolutamente in linea con la demenziale corsa al massacro di sé stessa, che la sinistra persegue ormai da tempo, collezionando una sconfitta dopo l’altra e sempre per lo stesso motivo. Gli unici a non sapere perché perdono in continuazione sono proprio i responsabili di questa débacle: una classe dirigente litigiosa, egoista, incapace e inetta, ma soprattutto narcisisticamente autoreferenziale.
Ma in questi giorni noi sardi non stiamo pensando alle regionali: siamo in lutto. Ci è morto un parente stretto: Gigi Riva. Un esempio di persona completamente diversa dalla gente di cui abbiamo fin qui parlato. Lo abbiamo amato, al di là del calcio, perché ci ha amato a sua volta, ci ha scelto e lui, orfano e solo, ha fatto di noi la sua famiglia. E non è che ci sia capitato spesso, nel corso del tempo, che qualcuno ci volesse bene così. E che come lui ci regalasse visibilità e un sogno di riscatto. Mi ricordo di quando parlavano di noi solo come pastori e banditi, nonostante Grazia Deledda, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Ennio Porrino, Piero Schiavazzi, etc. testimoniassero che esisteva anche altro. Mi ricordo quando si leggeva sui giornali del “continente” frasi come “è sardo lo scassinatore di…” o anche “è sardo l’aggressore di…” quando gli stessi mai avrebbero scritto “è pugliese” o “è molisano…”.nè tantomeno laziale o veneto... poi è arrivato Riva, lo scudetto del 1970, i calciatori del Cagliari in nazionale, e improvvisamente siamo diventati visibili, riconoscibili, accoglibili. E lui è rimasto qui, nonostante i miliardi offerti dalle grandi squadre del nord. Con noi.
Ieri al suo funerale piangevano oltre trenta mila persone e su poco più di un milione di abitanti in tutta l’Isola non è poco. Ha voluto essere sepolto qui, a Cagliari, dove ha vissuto. Resterà con noi per sempre.
Barbara Fois