In via Caetani, il 9 maggio del 1978, 46 anni fa, nel portabagagli di una Renault 4 rossa viene trovato il cadavere del Presidente della DC Aldo Moro, dopo 55 giorni di prigionia. Il 16 marzo precedente, in un agguato di sedicenti Brigate Rosse, erano stati uccisi i componenti della sua scorta: sparando con armi automatiche, i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti sull'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). Alcuni furono finiti con un colpo di pistola alla nuca, come buona tradizione dei SS. A questo punto la domanda è: ma dove si trovava Aldo Moro? Davvero nella macchina con Ricci e Leonardi?
A vedere cosa è successo in quella macchina, crivellata di colpi, con quei due poveri servitori dello Stato massacrati senza pietà ci si chiede a ragione: ma come ha fatto Moro a uscire da quell’inferno di più di 90 pallottole senza neppure un graffio? Ma c’è di più…
A leggere il suo memoriale e le sue lettere ci si chiede perplessi come fa a non sapere nulla della fine della sua scorta? Ma soprattutto come fa a parlare con disprezzo degli uomini che lo proteggevano e che sono morti per lui? Gente con cui ha passato ogni giorno, comprese le feste, e con cui, come con Leonardi, andava ogni giorno a messa? Come abbia potuto assistere al loro cruento e scioccante massacro senza mai citarlo, freddamente indifferente. Non sembra possibile, non ci si aspetta da un uomo come lui così poca considerazione, rispetto e stima, ma soprattutto questa cinica assenza di umana pietà verso persone che hanno diviso per anni la sua quotidianità. E allora? E allora l’unica risposta possibile è che lui non c’era. E così si spiegherebbe anche perché la sua solita scorta doveva morire tutta intera… Mi rendo conto che sto parlando per enigmi. Allora voglio fare apertis verbis una ipotesi di come può essere andata. Lo faccio non da storica e nemmeno da giornalista, ma da appassionata “giallista”. Penserete che sto intortandomi in illazioni che sanno di fake news: correrò questo rischio. Vi dico come è andata per me e poi siete liberi di crederci o meno.
Mettiamo che il 16 marzo un autorevole membro dei SS, conosciuto dai membri della scorta perché
addirittura li ha formati e addestrati lui, fa una proposta strategica: quella mattina si deve votare in Parlamento per un nuovo governo Andreotti, con appoggio esterno del PCI. E’ una importantissima novità, che prelude alla fondazione del Compromesso Storico, quella formula politica nuova che accomuna comunisti e democristiani. Un passo politico che però potrebbe creare dei pericoli immediati, così dice l’uomo dei SS, e quindi è meglio se la scorta fa la strada che è stata scelta in precedenza, ma da sola e invece che Moro vada con un'altra scorta, che farà un’altra strada, che nessuno può conoscere. A Montecitorio poi si ricongiungeranno entrambe le scorte. Questo è, dice il personaggio autorevole, il modo più sicuro per arrivarci sano e salvo. Nessuno mette in dubbio il suo piano e la scorta solita va al sacrificio, per mantenere il silenzio su come sono andate le cose e soprattutto su chi c’è dietro. Intanto Moro invece va dritto alla sua prigione, mentre tutti lo cercano dall’altra parte della città: un piano perfetto e senza pericolo… mi tenevo per me questo sospetto, quando mi sono imbattuta con sorpresa e soddisfazione nelle parole della giornalista Rita Di Giovacchino, con ben altro corredo di prove!
“La giornalista Rita Di Giovacchino, in un suo libro, scrive di aver avuto accesso alle carte poste sotto sequestro dalla Magistratura romana a seguito dell'omicidio di Carmine Pecorelli, e ricostruisce la vicenda in modo che tutti i tasselli possano combaciare. Da testimonianze oculari, al termine della messa mattutina Moro avrebbe annuito ad un messaggio verbale suggeritogli nell'orecchio da parte del capo della scorta. Moro sarebbe stato affidato ad un'altra scorta, mentre la scorta originale avrebbe funto da "civetta" imboccando Via Fani, dove sarebbe stata a propria insaputa massacrata da un tiratore scelto ignoto ai brigatisti, ma - paradossalmente - noto agli agenti uccisi. La scorta sarebbe stata sacrificata per non lasciare liberi cinque scomodi testimoni. Sarebbe una messinscena postuma anche quella delle auto della scorta intrappolate nel blocco creato dai brigatisti. Moro non sarebbe stato prigioniero dei terroristi, bensì di un'altra organizzazione: in pratica i brigatisti avrebbero funto da "prestanome" e questo spiegherebbe le reticenze emerse tra i terroristi sul nome di colui che effettivamente sparò allo statista, sul fatto che venne trovata della sabbia sulle suole delle scarpe del cadavere di Moro e sui gettoni telefonici ritrovati nella tasca della sua giacca, nonché sull'ora della morte e sulla tonicità muscolare del cadavere. Questo spiega anche la sibillina frase che pronunciò Sereno Freato - segretario particolare dello statista democristiano - dopo il ritrovamento del cadavere di Pecorelli: "Indagate sui mandanti del delitto Pecorelli e troverete i mandanti dell'omicidio di Moro". E spiega pure le morti di Carmine Pecorelli e di Antonio Chichiarelli, il falsario della Banda della Magliana che possedeva le Polaroid della prigionia di Moro e che redasse il falso comunicato brigatista…”. (il comunicato n.7, specifichiamo noi). A casa mia mi presero per matta, quando dopo aver letto le sue ipotesi, mi misi a girare per il mio studio battendo le mani ed esclamando “lo dicevo io che era andata così!!!Non poteva che essere così!!!”. Bravissima giornalista d’inchiesta, Rita Di Giovacchino è morta nel 2021 per complicazioni da Covid e non so esprimere quanto mi dispiaccia ancora oggi. Scriveva ultimamente per Il fatto quotidiano …
In tutti questi anni ho letto sul caso Moro tutto quello che potevo, comprese le audizioni della Commissione Stragi, le sentenze dei processi (26), articoli e memorie dei brigatisti ( contraddittori e bugiardi), ho visto film e documentari e mi sono fatta un’idea di quello che è successo. Ci sono troppe cose di cui parlare, fra l’altro altre morti sono collegata a quella di Moro e della sua scorta…Così ho pensato che era meglio se vi allegavo tutte le notizie raccolte in un Pdf che ho scritto 6 anni fa, per il quarantesimo anniversario di via Fani e che vi accludo a fine articolo. Sono elementi base, giusto per riassumere un po’ i termini del fatto, per chi ancora non ne sapesse molto. E’ importante ogni tanto rinfrescare la memoria, infatti il rapimento e l’assassinio Moro sono ancora al centro di analisi, indagini e dibattiti. Come per l’omicidio Kennedy: si arriverà mai alla verità? Per ora quello che è chiaro è che sembra sia stato gestito dai Servizi Segreti non solo italiani ma di mezzo mondo.
Oggi su quel maledetto 16 marzo però ne sappiamo molto più di quanto potessimo sospettare allora, ma le bugie che ci sono state dette dalle istituzioni e dai brigastisti rendono difficile separare il loglio dal grano. Ora tuttavia sappiamo bene che Moro era stato rapito con l’unico scopo di farlo fuori, di ucciderlo: era infatti la vittima sacrificale perfetta, che con la sua morte avrebbe salvato la DC ormai affogata in un mare di scandali ( ricordate il racconto spendido di Sciascia Todo modo?) e nel contempo sarebbe colato a picco il progetto del compromesso storico. Un progetto che non piaceva all’America, ma nemmeno alla Russia, per motivi uguali e contrari. Ma non piaceva nemmeno alla P2, che usava la criminalità comune, come la banda della Magliana e perfino la mafia calabrese.
Dunque dietro questo rapimento con massacro c’era sia l’America che la Russia e c’erano, con contorno di criminali comuni, ben 7 Servizi segreti: il nostro, legato alla massoneria della P2 e a Gladio, la CIA, il Mossad, la Stasi, il KGB, SS francesi e inglesi. Gli inglesi? Altrochè! E da molto tempo anche. Facciamo un passo indietro.
E' il 1976. Per un anno intero la diplomazia, i servizi, le forze armate e anche il ministero della Difesa inglesi progettano "un colpo di stato militare da attuare in Italia per impedire il compromesso storico tra Moro e Berlinguer. Quel progetto, organizzato dettagliatamente e sottoposto poi all'esame di altri paesi Nato – Stati Uniti, Francia e Germania – alla fine venne abbandonato, perché gli americani non erano entusiasti, la consideravano un'iniziativa pericolosa". A sostenerlo sono due studiosi: Mario Josè Cereghino, ricercatore italo-argentino, nato a Buenos Aires ed esperto di archivi statunitensi e britannici, e il giornalista italiano Giovanni Fasanella, autore di diversi libri sulla 'storia invisibile' del nostro Paese. Il libro è intitolato Il golpe inglese ed è stato pubblicato dalla editrice Chiarelettere nel 2011.
Resistenze al piano inglese c'erano però anche da parte della Germania e della Francia di Giscard d'Estaing, tanto che "di fronte agli ostacoli provenienti dagli stessi Paesi membri, gli inglesi abbandonarono l'iniziativa e scelsero una seconda opzione, che definiscono testualmente, in un memorandum segreto del Foreign Office datato 6 maggio, il “sostegno a una diversa azione sovversiva”. Due anni dopo Moro veniva rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.
Il materiale analizzato dai due autori “ consente di ricostruire il colpo di stato più lungo della storia, perché durato oltre mezzo secolo: quello attuato in Italia dall'Inghilterra a partire almeno dal 1924, anno del sequestro e assassinio di Giacomo Matteotti, deputato socialista, fino al 1978 anno del sequestro e dell'omicidio di Aldo Moro, presidente della Dc, passando per un altro grande della storia italiana, Enrico Mattei. Un golpe in grado di condizionare il corso della politica interna ed estera del nostro Paese, che Londra ha sempre considerato alla stregua di un proprio 'protettorato'. Una guerra segreta combattuta contro di noi per il controllo del Mediterraneo, delle fonti energetiche e delle rotte petrolifere". In attuazione delle parole profetiche di Winston Churchill al delegato del papa Pio XII nel novembre del 1945: "L'unica cosa che mancherà all'Italia è una totale libertà politica".
Non può dunque stupire che Martin Morland dell'Ird di Roma ( l'Information Research Department) scrivesse a Londra il 28 aprile del 1976: "E' interesse della Gran Bretagna fermare l'avanzata comunista in Italia, con ogni mezzo a nostra disposizione".
E’ il caso di ricordare, a questo proposito, che Moro aveva rischiato di morire anche il 4 agosto 1974 sul treno Italicus: era già sul treno che l’avrebbe portato in Trentino dove la famiglia era in vacanza, quando fu fatto scendere per firmare delle carte importanti. Perse il treno, che più tardi saltò in aria, provocando la morte di 12 persone e una cinquantina di feriti. Lo ha raccontato nel 2004 sua figlia Maria Fida. Quella volta Moro si salvò la vita (qualcuno ci aveva ripensato?), ma non per molto però.
Ma allora, in quel marzo 1978, non era possibile immaginarsi niente di simile: non avremmo nemmeno creduto all’esistenza di questi intrecci oscuri e depravati. Però man mano che la prigionia di Moro si allungava sine die, dubbi e domande si affollavano nella mente della gente; in particolare insospettiva il fatto che - come in tutti i casi di sequestro - non si fosse applicato lo schema solito: o si libera l’ostaggio manu militari, quindi con un atto di forza, o si tratta coi rapitori, ma niente di questo in ben 55 giorni di prigionia, era stato fatto. Inoltre una serie di indizi ci portavano a credere che dietro alle BR ci fosse ben altro. Ma si pensava che ingenuamente fossero diretti da mani più ciniche ed esperte. Ora sappiamo bene che non erano inconsapevoli, ma conniventi. E che non sono pentiti, ma solo bugiardi . E scientemente contribuivano all’equivoco di identificare lo Stato con la Democrazia Cristiana e di considerare il bene della DC con quello collettivo del Paese. Una vera follia.
Fra le tante cose che restano oscure è il perché non abbiano ucciso Moro subito, insieme alla sua scorta. Perché, se tutti lo volevano morto? Sarebbe stato un martire perfetto e le BR avrebbero avuto il loro momento di gloria, il loro riconoscimento. E non ci sarebbero state complicazioni di nessun genere… dunque perché tenerlo in vita così a lungo poi, mentre la gente cominciava a tifare per lui e a odiare Br e DC?
La risposta più semplice è che c’erano troppi burattinai, in quel teatrino, e che non tutti erano d’accordo fra loro, perché ciascuno vi aveva un tornaconto diverso, ma che soprattutto a nessuno di costoro importava della vita di tante persone innocenti.
Barbara Fois