FREROT

di Corrado Fois - liberacittadinanza.it - 04/07/2023
Se nella Repubblica non regna la giustizia, la libertà non è altro che un nome- Robespierre

Melenchon ha fatto la sua intemerata, ma è venuto fuori un po' un trombone. Ha sparato frasi auliche anche se scomode - su cui le anime pie fanno il solito moralismo ( vedi CorSera ed i suoi commenti)- ma non è andato dritto al cuore delle cose. Non so perché visto che ne è perfettamente capace. Credo sia leggermente in imbarazzo.

Personalmente lo considero l’unico politico decente in tutto quel che resta della vecchia sinistra europea ed apprezzo le sue radici politiche internazionaliste e trotzchiste, ma resta il punto che mi ha sconcertato: sullo scontro in campo per le strade di Francia ha fatto, a mio avviso, del generico populismo. Comunque molto meglio di quel che sento dire da Liberation, dall’Humanité ed ovviamente dalla nostra stampa conformista.

Il punto centrale dei commenti in onda ed in stampa mi pare miope. Parlare di emarginazione delle comunità immigrate, di razzismo e di islam per questi scontri di piazza è fuorviante. Non mette a fuoco il reale problema e vira il tutto su un’inclusività – mancata o sperata- con toni da parrocchia. Da quando l’inclusione degli immigrati come di chiunque non nasca bene è prevista nel sistema capitalista?

Gli ultimi restano ultimi qualunque colore abbiano e guai se si lamentano o reagiscono. In Francia è così da sempre ed è così in Italia. A Torino non si affittavano case ai meridionali negli anni 60 ed ancora adesso per quel che si sente, ai primi casini in strada la colpa è dei terroni e dei marocchi. Nella Milano cosmopolita girava una bella battuta: lo sai perché a Londra hanno i negri e noi abbiamo i napoletani? Perché loro hanno scelto per primi. Di che diamine di inclusione si parla in un mondo che, negli ultimi 30anni in particolare, è stato costruito su scorie culturali, dal sarcotzismo al berlusconismo. Dove contano solo i simboli, come la Lamborghini di quel pezzo di merda di ragazzotto che ha fatto strame di ogni regola umana. Dove i modelli culturali sono rigurgitati dai social, dove la politica è una scorciatoia per il furto. Dove non esiste un’alternativa politica al potere ormai cristallizzato senza alternativa.

Non si parli di inclusività, mancata o sperata. E’ solo ed è sempre divisione per classi.

In Francia un poliziotto spara ad un figlio di immigrati per una strappata in avanti mentre in Italia gli assassini in Lamborghini o sul Suv che a 250 all’ora girava per Roma stanno a casa con la mammina in comodi domiciliari. Perché loro sono i figli di quella borghesia che ha sempre un cugino da qualche parte, in politica, in magistratura.

Che futuro ha oggi un ragazzo di Scampia, di Rogoredo o di Nanterre o di Tottenham? Zero. Che futuro aveva 30 anni fa? Un lavoro che nessuno vuole pagato da fame.

Si tira in ballo l’islam, la religione musulmana. Cazzate. E’ così difficile chiamare le cose con il loro nome? Sottoproletariato. Sfruttamento e lavoro precario. Violenza subita e restituita. Cosa c’entra la religione! Questi ragazzi sono musulmani come io sono cristiano, per caso.

E’ lotta di classe diamine! E’ un’insurrezione sottoproletaria, confusa perché non è organizzata, non ha un bersaglio ed un progetto, ma solo rabbia e solitudine. Sono ragazzi incazzati e sperduti che si danno appuntamenti coi social perché non esiste una strategia dato che I leader d’azione com’era Melenchon si sono messi a dibattere e pontificare. Come ogni rivoluzionario fallito. Come facciamo ormai tutti. Ma siano come siano sti ragazzi questi praticano comunque lo scontro di classe. Inutile girarci intorno.

Non è la questione musulmana come sento dire dai commentatori di tutte le tv. Non si è visto in piazza il contributo della borghesia musulmana francese. Neanche nelle collette per aiutare la famiglia di frerot Nahel. Ed è bene ricordare che per i ricchi l’integrazione non è mai mancata, mai. I padroni delle catene dei negozi saccheggiati sono arabi. Il Paris St Germain, la squadra di calcio di Parigi, è degli emiri. Ed in piazza non c’erano i mafiosi algerini che con questi casini perdono milioni di euro di spaccio ogni giorno. C’erano invece i giovani cavalli che per pochi euro al giorno e rischiando botte e galera arricchiscono quella forma perfetta di capitalismo che è la mafia.

In piazza si battono oggi i figli disperati della classe operaia. Gli eredi di quella generazione che ha lavorato tutta la vita per avere in cambio una pensione che si sposta in avanti, case fatiscenti in un quartiere di merda, in una vita di emarginazione. Ed ora la sinistra dei salotti piagnucola coi genitori .. tenete i figli a casa! Beh, se lo scordino perché in piazza andrebbero anche i genitori se 40 anni di lavoro in catena di montaggio non li avessero riempiti di artrosi.

Ed in aggiunta a questa caterva di ipocrisie appiccicose la stampa aggiunge commenti sul rischio contagio. Per CorSera, per Repubblica, per Le Monde esisterebbe una specie di covid musulmano che si diffonderà dappertutto. Non bastava la paura del migrante adesso anche lo spettro di una rivolta religiosa. Ma quante idiozie si devono sentire?

Per questi giornalisti non esiste il contagio dello sfruttamento, dei migranti lasciati a morire in mare o sulle scogliere di Ventimiglia o di Calais. Il contagio dei morti sul lavoro voluti dall’imprenditoria per risparmiare. In Europa come nelle discariche del Ghana. Questi non esistono. Non sono contemplati tra le paure degli intellettuali i contagi imperialisti.

I sepolcri imbiancati come Ezio Mauro non vedono dove sta la prima causa della violenza, sono ipnotizzati dai roghi delle auto e dimenticano quelli della Thyssen.. E che diamine, capisco che Marx vi dia lo squaraus signori della stampa..ma almeno Newton!

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale ed opposta.

Frerot Nahel non era uno stinco di santo. Come puoi esserlo in una banlieu, come puoi esserlo quando vedi i giovani ricchi - musulmani o cristiani che diamine conta- che vanno in giro con belle auto mentre tu non hai nulla nemmeno la speranza.

Frerot Nahel aveva 17 anni e nessuna vita davanti. Frerot Nahel aveva la faccia piena di schiaffi e di sputi. Frerot Nahel era un bambino, cazzo!

E se mille frerot come lui vedono nella sua fine la loro, e si incazzano e rompono tutto, e poi qualcuno che non c’entra si fa del male, diamine.. si deve capire. Senza ipocrisie. E se sfondano vetrine e rubano scarpe ne ha la prima responsabilità chi le ha imposte come un mito di successo, dalla Nike ai rappers.

Perché questa è la società che abbiamo lasciato costruire. Tutti noi. Questa società è il prodotto delle socialdemocrazie e delle ipocrisie inclusive. Che sarebbero: ti lascio a Scampia o Sarcelles, ti lascio senza un futuro, ti pago in nero ma ti metto la biblioteca nell’oratorio. Quanta bontà.

L’unica inclusione è nella dinamica sociale, nelle pari opportunità per tutti e poi chi ha le gambe cammini. Nei controlli sui loghi di lavoro, in una polizia di quartiere, nell’istruzione di pari qualità, nel salario minimo non nominale. Questo è un mondo in cui 200 famiglie detengono la ricchezza di due miliardi di essere umani ed è peggio del medioevo. L’inclusione non è prevista. Per nessuno. Musulmano, cristiano, ebreo o politeista pagano.

Ma frerot Nahel non lo sapeva povero figlio, e non sapeva nemmeno perché proprio a lui era toccata quella vita vuota come un tunnel senza uscite. Quasi fosse una sua colpa od un destino e non un sistema economico ed una gestione politica basata sul profitto.

Non lo sapeva perché hanno chiuso le sezioni del partito nei quartieri vent’anni fa e chi doveva occuparsi di dare un progetto politico ed aiutarlo a formarsi una coscienza di classe era in parlamento, nei talk show, od ai corsi di armocromia.

 

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