Alessandra è una buona persona, perbene, valoriale, strutturata. Ha competenza e principi. Ha una dignità professionale. Non la conosco, ma la Sardegna è un posto trasparente e così, per quanto noi tutti siamo restii a dare giudizi o comunque a far girare chiacchiere, le cose o le persone si sanno. Ha vinto per questo, perché è credibile, ma non ha vinto solo per questo. Ha vinto perché ci si è messi insieme. In un aggregato sufficientemente chiaro, senza strani ospiti. Chissà se l’impronta lasciata servirà da lezione a livello a nazionale. Dico chissà, perché l’opposizione italiota è piena di tipi esotici. Quasi quanti ne ha il governo. Ed inoltre: ormai lo sappiano per esperienza che le lezioni, come le elezioni, lasciano il tempo che trovano.
La politica è caduta molto in basso. Lo abbiamo detto infinite volte, a rischio nausea da ripetizione, ma che ci posso fare? Al declino non riesco ad abituarmi. In Sardegna la destra, negli ultimi anni, ha presentato gente modesta come Solinas o Truzzu. Specchio della modestia dei loro sponsor. La sinistra d’altronde si è sempre divisa. Ad esempio: vedere quel che resta di Rifondazione entrare in lista con Soru ed i renziani è francamente mesto. Specchio dei tempi e di una verità ormai acclarata, non è il comunismo che ha terminato il suo tempo politico, sono certi comunisti a non avere né idee né tenuta.
Ed a proposito di Soru se non sbaglio si è detto sorpreso di aver perso. Se è vera la dichiarazione riportata, beh..si dimostra la teoria comportamentista della perdita progressiva: l’ex enfant prodige ha smarrito il prodige rimanendo enfant. Così è la vita. E taluni soggetti.
Ma soprattutto è triste vedere il sardismo politico sminuzzato in qua e là poco pensati. Triste ed anche sciocco. Se c’è una cosa in grado di fronteggiare il nazionalismo, per sua natura un male, è l’identità locale e la comunità. Come dice Holloway ( https://it.wikipedia.org/wiki/John_Holloway_(sociologo) ) Sotto il capitalismo la soggettività può essere solo antagonista.
Il PSDAZ si è frantumato decenni fa, perdendo del tutto la caratteristica distintiva e la spinta innovativa che gli avevano dato i suoi fondatori. Lo creò nel 1921 Emilio Lussu, in opposizione al fascismo crescente – centralista e nazionalista – ed alla sinistra consolidata. Con lui tra i fondatori Davide Cova e Camillo Bellieni. La loro idea era costruire una proposta politica coerente col principio identitario della comunità di base. Determinare un’autonomia decisoria, un governo locale che partisse dalle necessità reali, dalle tipicità della sua gente e del territorio. Dopo il crollo del fascismo e la guerra ci vollero ancora anni, per arrivare all’autonomia. Ci vollero movimenti di piazza e scontri ideologici in parlamento. Ci vollero morti e galere. Ed alla fine si ebbe. Con risultati gestionali tempo per tempo modesti, ma questo non toglie niente all’importanza della vittoria sul campo, alla qualità morale dei sardisti di allora.
Il PSDAZ degli ultimi decenni ha perso ogni senso. Prima è affogato nella bubbola dell’inoffensivo e pasticciato federalismo leghista e poi ne ha seguito la parabola sterilizzante voluta da Salvini. A sua volta costui è progressivamente scivolato in un gorgo di minchiate stroboscopiche che mixano miseramente il razzismo da bar dello sport ad un fascismo mal compreso. Non c’ha proprio testa, creatura.
Peccato l’evaporazione del PSDAZ perché una proposta politica radicata nel locale ed aperta ad una visione internazionale sarebbe la fortuna della Sardegna. L’Isola potrebbe ben percorrerla essendo dotata, dal dopoguerra, di quell’autonomia così voluta, così ampia e significativa. La storia insegna che infine sono sempre le persone a far la differenza e nel tempo le figure forti che hanno costruito l’autonomia regionale sarda sono passate avanti, chi è rimasto non è mai stato all’altezza.
Ed eccoci al punto odierno ed al senso del proverbio citato in sottotitolo, non conta il passo che fai ma l’impronta che lasci. L’impronta è questa: se non ci si divide su freguglie, giochetti di ruolo e miserie personali si trovano le ragioni della collaborazione. E la collaborazione è tutto.
Non ho nessuna fondata speranza che Conte e Schlein leggano l’orma lasciata in Sardegna e ne facciano tesoro. Questo non vuol dire che non ci speri. Per come butta la situazione sarebbe una grande opportunità politica costituire l’alleanza in modo stabile, in un quadro prospettico per tutte le elezioni ed un futuro governo.
La tenuta di insieme della destra fa acqua e la campagna delle europee può darle colpi decisivi. Queste elezioni sono l’ultimo banco di prova per il pingue Salvini, assunto che Zaia in libertà forse guarda alla segreteria. Dappertutto quello schema di insieme chiamato centro destra mostra crepe. Crovetto e Salvini guerreggiano su un tal generale ( con tutti i problemi che ci sono! ) il liberale europeo Tajani si incastra male con la visione statalista della Meloni. Insomma tutto mostra incongruenza. In compenso ad oggi il centro sinistra non esiste proprio.
Conte e Schlein disputano per la fascia da capitano? E’ questo il punto? Se è così siamo al ridicolo. L’opposizione per sua natura non ha un premier. Ha un piano. Ha una visione coagulante.
Attualmente il loro compito non sta nel decidere chi regge il timone, ma definire una rotta. Lo sapranno fare? Mistero. Al momento mi sembrano entrambe diplomati alla scuola per naviganti di Schettino. Vogliono correre in Abruzzo inebriati da una vittoria, a dar man forte al candidato locale. Bene, ci vadano. Insieme se è possibile.
Magari in un albergo della ridente Campobasso troveranno il tempo per guardarsi in faccia e porsi la semplice domanda: vogliamo cogliere un’inattesa opportunità politica o fare l’ennesima figura di merda? Ai posteri ..eccetera.
Intanto, seduto nel suo ufficio, da cui sprona l’Europa ad essere competitiva e pronta ad investire, Mario Draghi – e chi egli rappresenta – guardano a noi. Siamo un gran bell’esempio per tutti!
L’unica democrazia europea commissariata da tecnici due volte in dieci anni. Può dare indicazioni risolutive a Germania e Spagna, e poi, suvvia, appare ovvio che due senza tre non c‘è.