Che l’Italia fosse in svendita è risaputo, dunque non sto qui a fare la lista di tutto quello che i vari governi hanno ceduto al miglior offerente, imprese, spazi, porti, compagnie aeree o telefoniche etc. Suggerisco in proposito un libro di Aldo Cazzullo ( Outlet Italia – Mondadori, ed) credo sia del 2008, lo si troverà in saldo. Di certo sono reperibili altri testi ben più recenti, ma a me questo è bastato.
Il punto è un altro: oggi è in svendita la Repubblica. Non lo dico perché inorridito dal fatto che qualcuno si voglia intestare la scelta del cancellierato o del governo presidenziale. Le considero strutture tecniche di governo come lo è quella parlamentare. Ognuna può funzionare bene o male a seconda di quanto la si affini progettualmente, da come la si costruisca in termini di equilibri e contrappesi tra poteri ed ovviamente da chi la gestisce. La repubblica parlamentare non è una soluzione giusta in sé, lo sappiamo bene, così come quella presidenziale non è il diavolo. Presidente guida era Pepe Mujica oppure Mitterand, lo erano il riformista Kennedy ed il grande Thomas Sankara. La funzionalità e l’equità di ogni forma tecnica di governo dipendono dal comportamento dei partiti delegati, dai candidati scelti per amministrare, dal livello di controllo e di partecipazione dei Cittadini. In Italia, da destra a sinistra, si dibatte prevalentemente di formule, quasi mai di sostanza, di metodo e di responsabilità.
Nemmeno mi incupisce l’ennesima volta in cui i magistrati beccano – in ogni dove, da nord a sud isole comprese - un qualunque politico di qualsiasi livello a rimestare merda. Sono un italiano, sono abituato ad essere guidato da mediocri o da farabutti. Ricordo solo – tra i tanti esempi di scelte errate - che noi abbiamo avuto come presidente, in tempi davvero cruciali, Oscar Luigi Scalfaro. Quello con le basettone laccate Oreal, quel tipo esotico dell’io non ci sto, quel bigotto famoso per aver schiaffeggiato una donna secondo lui agghindata in abiti succinti. E poi ci lamentiamo dei musulmani e dei burqa. Un politico democristiano, vanesio e modesto, ingaggiato a rappresentare la Repubblica laica dal solito aggregato di sinceri democratici.
Credo che la Repubblica sia ormai in svendita perché nessuno, in questo strano Paese, se ne è più davvero interessato. Da decenni è come un vecchio cappotto lasciato nell’armadio in pasto alle tarme. Prima di attaccare il pezzullo mi sembra opportuna una precisazione che personalmente considero rilevante.
La Repubblica è la più grande conquista umana perché incarna un valore straordinario: la società nel suo insieme – comunità territorio leggi doveri diritti responsabilità- appartiene a chi la abita. La Repubblica è una forma di Stato, quindi struttura suprema, costruita su forti e precisi valori guida. Da questi discende la Democrazia, l’unica forma di governo realmente compatibile, che si articola attraverso forme tecniche di amministrazione e gestione che devono mutare con l’evolvere della complessità sociale. Tali forme tecniche - se il valore repubblicano fosse realmente ed interamente applicato- andrebbero definite coinvolgendo direttamente i Cittadini.
Quando il principale valore repubblicano – lo Stato appartiene ai Cittadini – viene disatteso o violato allora si vanifica l’essenza stessa della Repubblica che diviene oligarchica o partitocratica, com’è da noi. Io credo che dalla sua stessa nascita la nostra Repubblica porti in sé una patologia. Forse allora poteva essere comprensibile, ma nel tempo ed oggi no. Mai corretta, questa disfunzionalità si è calcificata fino a condurci al punto in cui siamo. Al punto, cioè, in cui la struttura democratica complessiva - governo ed opposizione – è diventata autoreferenziale escludendo la Comunità dalle scelte e dalle responsabilità, dalla progettualità e dal controllo.
Questo è il mio assunto. Mi auguro di cuore di sbagliare visione, anche se in questa abito da anni finendo col sentirmi un ospite in casa mia.
Il peccato originale
Immaginiamoci come i costruttori della Repubblica. Dopo una guerra devastante, dopo una dittatura invasiva e reazionaria ed una monarchia imbelle e corrotta siamo riuniti per dare forma al più grande sogno si possa sognare: definire il futuro del Paese. Credo che da gente pensante ci porremmo subito il problema essenziale: il metodo. Come dev’essere realmente qualificato chi scriverà le regole base della Repubblica, la sua Costituzione. Quanti giuristi e storici, quanti sociologhi o filosofi. Quali/quanti rappresentanti delle diverse comunità che formano la società, ad esempio quelle professionali, delle arti e dei mestieri. Quanti/quali tra quelli che hanno combattuto contro il fascismo saranno presenti per rappresentare il valore della Resistenza. La corretta composizione garantisce il rispecchiamento della società reale nel nuovo ordinamento dello Stato.
Il gruppo qualificato dev’essere, per evidenza logica, delegato dai Cittadini. Tutti gli italiani devono avere chiaro e toccare con mano da subito che quello che si va costruendo è il loro Stato. Ed è nuovo. Non c’è un re che decide, non c’è un duce. C’è la libertà che vuol dire essenziale partecipazione diretta. Responsabilità. I Cittadini, nel mondo nuovo, dovrebbero essere i padri costituenti della Repubblica nascente, anche se ovviamente delegano la redazione del testo. Attribuiscono, dunque, a qualcuno - con tanto di misure di controllo - il compito e non il ruolo, di rappresentarli. In proposito è bene ricordare che si delegano le attività e le responsabilità ad esse correlate, non l’identità. ( https://www.treccani.it/vocabolario/delega/ ). Questa doveva essere la nascita della Costituente, la prima condizione della Repubblica doveva essere questa, a mio avviso.
La Costituzione che racchiude la forza morale ed ideale e l’insieme di regole funzionali che ne discendono, si deve redigere attraverso un metodo di concertazione e di rappresentanza che coinvolga l’intero corpo sociale. Tutti e ciascuno.
La Storia ci dice un’altra verità. Chi si è assunto il ruolo di costitutore nel 1947? I partiti. La nostra Repubblica nasce dunque in questo modo, per interposizione, non per diretto coinvolgimento. I Partiti hanno deciso il cosa ed il come, hanno formato delle liste a partire dalle segreterie, si sono presentati agli elettori ed hanno ottenuto mandato per costruire la Repubblica. Perché?
E’ una domanda semplice ed insidiosa. La risposta si trova qui e là scomposta e va rimontata come un mobile Ikea. Dunque non sono sicuro che ciò che riporto sia la verità, ma questo ho capito: era necessario fare in fretta per dare un governo politico, un’amministrazione al Paese. Giusto.
Tuttavia sorge un’altra domanda, perché non si sono distinte le due attività, cioè da un lato l’elezione di un governo destinato all’amministrazione della cosa pubblica e parallelamente la composizione di un’assemblea costituente con il compito di dare forma e regole alla nuova Repubblica. La strada non era poi così complessa.
I Partiti sottopongono al voto Popolare un governo di amministrazione di larga coalizione, come si era già fatto durante la guerra dopo la caduta del fascismo. Ovviamente stavolta repubblicano. Contestualmente si costruisce la consultazione complessiva. Si forma una piramide organizzativa che parta dal territorio e sulla base dei fondamentali costitutivi - valori guida, forma di rappresentanza, regole di attribuzione dei poteri e separazione tra gli stessi, etc, insomma i temi trattati dall’Assemblea Costituente - si opera una prima proposta per regione. Questo ampio materiale, raccolto e categorizzato, sarà la base per il gruppo qualificato che dovrà redigere la Costituzione come testo compiuto. Questo gruppo – regolamentato in termini quantitativi e qualitativi - viene formato da rappresentanti eletti su base regionale. Infine, a lavoro svolto entro un tempo definito, il testo– scomposto tra parte di valore generale da tenere ferma e stabile e parte applicativa suscettibile di variazioni tempo per tempo – sarà sottoposto a tutti i Cittadini che lo voteranno ed approveranno col criterio di maggioranza.
Perché non si è fatto? Non lo so. So per evidenza che ai Cittadini il controllo sulla Costituzione del loro stesso Paese è sfuggito subito di mano. Lo hanno preso i Partiti.
Non discuto il risultato della Costituente cioè quella Costituzione Repubblicana che – a mio parere di Cittadino - è un testo guida a tratti meraviglioso e brillante. Mi pongo solo un problema di metodo. Come rappresentanza della Comunità, nel suo insieme e nelle sue sfaccettature, l’Assemblea Costituente, che era anche la base parlamentare del governo, è parziale e riduttiva. Perché? Ecco la risposta fattuale.
I Partiti elessero 556 deputati all’Assemblea Costituente ( di questi 207 DC 115 PSIUP 104 PCI ) . Tra tutti i deputati solo 21 erano donne, occhio e croce meno del 4%. Alla faccia della rappresentatività. A condurla fu chiamato Giuseppe Saragat, il meno rappresentativo tra tutti i socialisti come poi ci racconterà la sua storia politica. Il testo è frutto di una costante mediazione tra i partiti politici, che si intestano l’interpretazione degli interessi e delle speranze del Popolo. Ad esso non verrà poi chiesto di votarla. La Costituzione viene approvata dagli stessi che l’hanno scritta, promulgata e resa effettiva senza ulteriori consultazioni. Qui il link del verbale del voto finale dell’Assemblea. Istruttivo ( https://www.nascitacostituzione.it/finale.htm )
Qui vedo la patologia. L’Assemblea Costituente era al contempo la base fiduciaria del governo amministrativo. I due ruoli si sono mescolati nel negoziato sui contenuti e soprattutto si è innestato un preciso errore formale: il Parlamento ed il Governo sono la Repubblica, avendola fatta nascere. Ma non è così. Il Parlamento si forma ad ogni legislatura ed è composto così come gli elettori hanno scelto sulla base dei contesti socio politici che di volta in volta i manifestano. Esso vive a tempo. La Repubblica no. La Repubblica è la casa di tutti, di chi vince e di chi perde. Io ne sono un esempio: vivo la Repubblica, ma non mi rispecchio in questo governo. Tuttavia per quel peccato originale questo governo ed il parlamento che lo messo in carica - come altri prima - può mettere mano alla Costituzione che mi rappresenta e modificarla, senza il mio diretto concorso. Perché così si è sempre fatto, dall’inizio.
Io penso che non si doveva e non si debba affidare ad un governo e ad un Parlamento partitico il fondante della vita della complessiva comunità. Se si vuole cambiare la Costituzione si deve fare una Costituente che non sia influenzata dai partiti. Poiché essi sono, appunto, di parte.
Il peccato originale voluto nel 1947 dai partiti – che si sono intestati la vita repubblicana -si ritrova plasticamente nell’articolo 1 che io valuto l’unico improprio in tutta la prima parte della nostra bella e sempre viva Costituzione.
Lo cito: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Lo leggo come lo vedo: noi partiti abbiamo inteso che tu Popolo sia sovrano, ma lo sarai nei limiti che noi abbiamo fissato nel testo guida. Per inciso, la Repubblica non si fonda sul Cittadino- che non essendo primario diviene ovviamente secondario- ma sul lavoro. Dunque su una attività. A meno che non si intenda il lavoro come un valore guida. In tal caso sarebbe cortese spiegare in cosa consista il valore del lavoro in una società capitalista.
Oggi i saldi di fine stagione.
Come leggiamo nella Costituzione e come sappiamo per esperienza della sua applicazione, i partiti si sono intestati ogni libertà possibile ed i deputati, in modo identico pur nei diversi partiti, hanno fatto il resto. Hanno costruito una tale autoreferenzialità che oggi la nostra non è esattamente una Repubblica Parlamentare ma piuttosto di parlamentari, che è altra cosa.
Nulla di ciò che fanno i deputati ( mai nome fu più disatteso ) viene sottoposto a controllo da parte dei Cittadini. Li eleggi – a destra od a sinistra - e vanno dove vogliono senza mollare il mandato. Si attribuiscono in modo autoreferenziale vantaggi ed emolumenti. Si ritagliano ruoli e poltrone in una logica spartitoria, senza rispetto per valutazioni di metodo e di merito che sono invece rilevantissimi per la Comunità. Una modalità che ha consentito un Di Maio al lavoro od agli esteri, una Santanché al turismo, che ha dato gli interni a Maroni e Salvini, la giustizia a Mastella e la salute a Speranza. Che ha consegnato i beni culturali a Bondi, l’economia a Brunetta, la difesa a La Russa. Li abbiamo subiti, alla faccia della Cosa Pubblica.
Il peccato originale di aver inteso il Cittadino come secondario ha determinato le conseguenze che sono chiare a tutti. Una volta eletti costoro fanno il diamine che gli pare. Non mi interessa qui criticare Toti così come non mi appassiona giudicare Emiliano o De Luca. E’ il metodo che giudico errato, è la sostanza di fondo e non l’epifenomeno che mi preoccupa. Toti viene eletto e frequenta chi vuole e come vuole, fottendosene di rappresentare i Liguri, nel loro insieme. Così fanno tutti gli altri citati. Il perché è spiegato nella parte operativa della Costituzione che riguarda le libertà del singolo parlamentare, nazionale o regionale. Discrezionalità molto ampie, visto che proprio i parlamentari, in evidente conflitto di interesse, sono i redattori del regolamento.
Scrive Michele Serra a proposito dei vari casi tipo Liguria la questione morale precede, e di molto, carte e processi. Sono d’accordo, ma la questione morale non è solo come il singolo deputato o governante interpreti il ruolo assegnato, ma cos’è questo ruolo, come viene definito il codice etico, cosa implica la responsabilità di rappresentare, in che modo si assegna il compito ed ovviamente chi ne misura la qualità e ne valuta la prestazione.
La morale repubblicana, ormai da decenni, appare incarnata dai giudici. Ma da quando una Repubblica si fonda sulla magistratura e da quando uno dei poteri da separare diventa pubblica morale? La virtù repubblicana è nel suo Popolo. O meglio: nel fatto che il Popolo scelga, valuti, revochi chi ha deputato a rappresentare i suoi interessi.
Ma se il Popolo stesso non è altro che elettore, se nessuno spazio è dato alla sua responsabilità, se non può esercitare alcun controllo su chi delega e paga, se non può proporre uno straccio di legge che diamine di Repubblica è mai questa?
Vedo in questa marginalità del Popolo la questione morale alla base di ogni altra. Quale legittimazione ha la nostra Repubblica, nella sua origine e nella sua stessa essenza, se chi la sostanzia è estraneo ad ogni processo decisorio. Per conseguenza mi domando quanto abbia ancora senso proseguirne l’attuale forma. Mi pare la domanda centrale che ci si deve porre davanti allo sfascio costante a cui abbiamo assistito e sofferto. Peraltro da sempre, non solo in questi tempi osceni. Un sistema che riduce il concetto di delega e rappresentanza ad atti formali e permette autoreferenzialità politica è destinato a soffrire l’arbitrio.
Una volta i Partiti – pur invasivi - erano guidati da persone tridimensionali, da valori netti e strategie realmente definite. Oggi a destra abbiamo la sora Giorgia, che poteva giusto rappresentare una segreteria di quartiere nel partito di Almirante, ed un PD che non ha nulla a che fare con l’alta dignità politica del partito di Berlinguer. Scaduta la qualità dei vertici è rimasta solo la presenza ingombrante, quando non inquinante, di quel che resta dei partiti. Di essi Enrico Berlinguer disse, con la consueta lucida coscienza civile: non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss"". Parliamo di più di quarant’anni fa.
Vedo questo tempo come la fine di una stagione. Di una lunga stagione inopportuna e mal impaginata. In questo tempo scomposto si sono formate nuove generazioni di assuefatti, distanti dalla Stato che abitano, confusi nel loro ruolo, inclini a scaricare colpe senza assumere responsabilità come vedono fare dai politici di ogni parte. ‘O pesce fete da ‘a capa, dicono a Napoli.
Le nuove generazioni non hanno solo un lavoro precario, sono precari come Cittadini. Nulla del loro futuro è nelle loro mani. Non lo era nemmeno nelle nostre, ma abbiamo provato a prendercelo dando e prendendo calci nei denti. Non ci è riuscito perché si è dovuti passare dal silenzio al caos. Avessimo avuto tra le mani la possibilità di proporre leggi con referendum proattivi forse non sarebbe stato necessario arrivare allo scontro. Questa ricchezza democratica non ci è stata data. Eppure lo strumento referendario funziona e davanti alle grandi questioni civili, come fu per il divorzio, il Popolo ha sempre saputo scegliere.
Nessun partito a parte i radicali ha mai creduto nelle scelte degli italiani, non il PCI costretto controvoglia ai referendum, non i conservatori. Nemmeno i Costituenti hanno creduto nel Popolo che dovevano rappresentare, tanto scettici ed aristocratici da aver impedito il principio della forma referendaria attiva.
Trattati come bambini, giudicati per ogni svista, i Cittadini si sono adeguati alla più comoda delle scelte, il lascia fare. Non era questo che ci si aspettava da una Repubblica antifascista. E su questo tema vorrei dire la mia. Il problema non è che qualche residuale reazionario fatichi ad articolare la parola antifascismo, che fa fino e non impegna. Il problema vero è che il fascismo, come ogni dittatura sia essa visibile od ipocrita vedi i 50 anni democristiani, si elimina rendendo evidente al Cittadino l’importanza della partecipazione. Il significato più alto della politica. Deve avere ben chiaro che ogni sua decisione ritorna indietro e che egli ha il diritto ed il dovere della responsabilità. Eleggi un puttaniere, un coglione od un corrotto? Lo hai fatto tu. Impari.
Ma il Cittadino per primo sa che non è così. Pensa che non sia sua la colpa di certi governi e di certi ministri ed in fondo non ha torto, pur non avendo ragione. Il suo voto è dentro una gabbia di scelte che non può modificare. Vota liste preconfezionate. Segreterie di partito, lobby industriali o finanziarie le maneggiano. L’eccesso di discrezionalità lasciato al singolo deputato fa il resto. Che cacchio di democrazia ne viene fuori? Davanti al continuo sgretolarsi di ogni impegno preso prima delle elezioni e di ogni pudore nel gestire la cosa pubblica il Cittadino si distanzia dal voto, lo considera alla fine inutile. Così al già negativo lascia fare si è sostituito il non serve a niente.
Se una cosa non serve, che la mantengo a fare? Venga pure l’uomo della provvidenza che oggi non è più un fascista in orbace, ma un tecnico in un abito grigio di Armani. Il passato non ritorna, certo, ma non è che detto che il futuro sia meglio. Di certo abbiamo solo il presente che è il nostro tempo di saldi.
Saldi di fine stagione o peggio, per cessazione di attività. Sperando, magari, di poter vendere l’immobile al cinese di turno.