La bolla mediatica attorno a Mario Draghi, che già nel breve-medio periodo contribuirà ad indebolirlo invece che a rafforzalo, sta continuando ad avvolgere gli italiani in una nuvola di verità contraffatte e di bugie assolute pur di sostenere l’immagine farlocca di un premier infallibile, dotato di poteri illimitati e taumaturgici da contrapporre al precedente, un improbabile “simpatico azzeccagarbugli” (copyright di Massimo Giannini) approdato in modo oscuro a palazzo Chigi da abusivo. L’enfatizzazione spasmodica di qualsiasi cosa dica o faccia Mario Draghi e corrispettivamente di tutto ciò a cui non accenna e in cui saggiamente non si caccia perché la natura dell’accolita che lo sostiene non glielo permette, tantomeno la qualità di numerosi componenti della sua compagine governativa, è solo inversamente proporzionale all’attenzione negativa riservata a Giuseppe Conte.
Con il Consiglio dei ministri notturno che ha dato un volto ai 39 sottosegretari si è delineato in modo ancora più evidente il rapporto effettivo tra la fedeltà partitica e “l’alto profilo” universalmente evocato, che doveva essere l’elemento fondamentale e qualificante del governo delle “larghe intese” nato, secondo la vulgata mediatica unica, per riscattare il paese dalla deriva rovinosa a cui ci stava conducendo il Conte 2.
Il parto laborioso e rissoso a serata inoltrata dopo scontri e interdizioni reciproche per chiudere la partita dei sottosegretari ha riconfermato l’applicazione pedissequa del manuale Cencelli, già adottata per la designazione dei ministri, rafforzata da un calcolo distributivo di precisione millimetrica fondato su un algoritmo che attribuisce i posti in base al sostegno di ogni partito al governo in termini di fiducia: 11 al M5S, 9 alla Lega, 6 al Pd e Forza Italia, 2 a Italia Viva, 1 a LeU e centristi.
Se il metodo è quello partitico consolidato della prima Repubblica, i nomi sono quelli imposti dai partiti tenuto conto del criterio utilizzato riguardo gli schieramenti: per ogni delega ci sono sempre come minimo due componenti, uno appartenente alla ex maggioranza del Conte 2 e uno alla vecchia opposizione. Vale la pena di segnalare come promemoria per quelli che alle larghe intese avrebbero preferito la riproduzione della maggioranza Ursula senza la Lega e con dentro Fi, Pd in primis, che con i sottosegretari – più ancora di quanto avvenuto per i ministeri – a sfregarsi le mani è ancora una volta B.
Infatti Fi, dopo essere passata da 0 a 3 con la triade Brunetta-Gelmini-Carfagna, una conquista che già aveva suscitato comprensibile sconcerto e irritazione in molti elettori giallorosa e in particolare nella base del M5S, ora ha piazzato un fedelissimo e un pasdaran rispettivamente all’Editoria e alla Giustizia.
Tra le 6 poltrone ottenute, B. ha potuto piazzare il suo avvocato storico Francesco Paolo Sisto alla Giustizia, parlamentare di lungo corso e attivissimo legislatore a favore del suo cliente, già in giunta per le autorizzazioni a procedere, suo difensore per il processo escort in corso a Bari, in prima fila ai tempi delle leggi ad personam, del voto su Ruby nipote di Mubarak e delle manifestazioni eversive e intimidatorie al tribunale di Milano per reclamare l’impunità al suo assistito eccellente.
Nel lontano ma “indimenticabile” 11 marzo 2013 che segnò il punto più basso del degrado parlamentare, Sisto insieme ad un nutrito gruppo di colleghi, inclusa l’attuale presidente del Senato Casellati, sottoscrisse l’adesione al sit-in contro i magistrati che “perseguitavano” B. perché si trattava di “una protesta seria contro l’uso politico della giustizia”. Di recente ha tuonato in Parlamento contro le dimissioni di Armando Siri, indagato per corruzione, lanciando l’allarme perché “il paese è nelle mani della magistratura. Le Procure decidono la composizione del governo, questo è un attacco alle istituzioni”.
Ora si appresta naturalmente a scardinare le riforme Bonafede su corruzione e prescrizione, oltre che a mettere un super bavaglio alle intercettazioni.
Ma anche sull’altro fronte strategico dell’editoria B. ha ottenuto la delega per Giuseppe Moles, un suo fedelissimo che ha partecipato alla fondazione del partito, con incarichi a livello ministeriale in tutti i governi di B., vice-presidente del gruppo “Fi-Berlusconi Presidente”.
Anche se FI avrebbe voluto piazzare nel cuore pulsante e centrale del potere berlusconiano e a tutela del suo imperituro conflitto di interessi un uomo tout court di Berlusconi, una sorta di voce amplificata con un curriculum ultraventennale e una grinta da cane da guardia: Giorgio Mulè, quasi una vita da Panorama a Mediaset e poi ancora alla direzione del settimanale della famiglia Berlusconi fino all’elezione alla Camera con Fi nel 2018.
In extremis, grazie alla presa di posizione del M5S a cui si è aggiunto il Pd, c’è stata una riduzione del danno, oltre che una parenza di ripristino della decenza, con il dirottamento dell’uomo Mediaset dall’Editoria alla Difesa a beneficio del ministro Lorenzo Guerini.
E sempre all’insegna di competenza e comprovata correttezza e trasparenza professionale ecco un’altra poltrona targata Fi per Debora Bergamini, che forte della sua esperienza in “comunicazione” maturata negli anni d’oro del duopolio-monopolio berlusconiano va ai Rapporti con il Parlamento. Se la Bergamini impiegherà solo un decimo della “professionalità” profusa al servizio di B. allora proprietario di Mediaset e capo del governo per asservire il servizio pubblico a Mediaset, concordando i palinsesti, manipolando l’informazione e falsificando metodicamente la realtà a beneficio dell’ex presidente del consiglio, i rapporti tra Governo e Parlamento saranno idilliaci.
Ma oltre alle new entry bisogna accennare anche alle riconferme, soprattutto quelle che non ci saremmo aspettati, almeno se avessimo dato credito alle dichiarazioni degli interessati.
Non solo Italia Viva, a differenza delle drastiche riduzioni subite da M5S e Pd, ha riportato al governo tre suoi rappresentanti, lo stesso numero che aveva nel Conte 2. Ma sono sempre quei magnifici tre con le valigie ininterrottamente in mano per quasi due mesi e sono le stesse – e lo stesso – “Teresa, Elena, Ivan” che si sono vantati di “aver rinunciato alle poltrone per far prevalere le idee”.
Perché come ha ripetuto fino ad intronarci il loro mentore, nonché cantore di un despota sanguinario, “noi le poltrone le lasciamo, non le chiediamo, sono così orgoglioso della nostra diversità” e “da quel sacrificio nasce l’esperienza più importante della legislatura”.
A quel sacrificio-lampo, di cui la stragrande maggioranza degli italiani ha ben chiaro che la motivazione unica era l’annientamento del precedente governo, avremmo volentieri rinunciato in parecchi; tanto più che i dubbi e le perplessità riguardo “all’esperienza più importante della legislatura” tendono ad aumentare.